Italianieuropei 5/2005

il Sommario

l' Editoriale

I guasti della nuova legge elettorale

Il cambiamento elettorale che in modo subitaneo è stato deciso dalla maggioranza di centrodestra riaccende, fra le altre, la vecchia disputa sui rapporti di causa/effetto fra i sistemi elettorali e l’assetto delle forze politiche: sono quei sistemi a plasmare questo assetto o è piuttosto quest’ultimo che sceglie e consolida i meccanismi elettivi ad esso più congeniali? La risposta prevalente che troviamo nei libri è la seconda e quello che sta accadendo oggi da noi si presta più a confermarla che a smentirla. L’Italia aveva scelto un assetto politico bipolare, che contava tuttavia sul passare degli anni per determinare nei due poli, e pur presenza di una pluralità di componenti all’interno di ciascuno, quella coesione che gli è comunque essenziale. Il sistema elettorale, in particolare attraverso i collegi uninominali, era un ingrediente non minore di questo processo di radicamento.

gli Articoli

Editoriale

Verso il partito democratico

of Dario Franceschini

L’idea di un Partito democratico italiano, ritornata in queste settimane al centro del dibattito, ha radici profonde in un percorso politico che viene da lontano. Per molti è stato un sogno da custodire in segreto, un’utopia, irrealizzabile. Per la generazione cui appartengo un obiettivo cui cominciare a lavorare. Adesso è arrivato il momento di mettere mano all’opera. Adesso, perché un terremoto si è abbattuto sul sistema politico italiano, rischiando di riportarci all’inizio di quella transizione, per molti aspetti ancora incompiuta, che abbiamo vissuto in questi dieci anni. Quel terremoto si chiama riforma elettorale proporzionale. La nuova legge è la causa che ha prodotto gli sconvolgimenti delle ultime settimane, e che ha innescato le reazioni da parte degli attori sulla scena. Come accade in un organismo che si ammala: entrano in azione gli anticorpi.

Pensare la Politica

Sui risultati delle elezioni primarie dell'Unione di centrosinistra

of Salvatore Vassallo

L’analisi tenta di rispondere ai seguenti interrogativi. Quali segmenti dell’elettorato del centrosinistra hanno partecipato con maggiore intensità alle primarie? E quali segmenti dell’elettorato del centrosinistra hanno sostenuto in maniera territorialmente più omogenea Prodi? I dati dicono che è stato territorialmente più omogeneo il contributo che è venuto alla partecipazione e a Prodi degli elettori DS rispetto a quello venuto dagli elettori della Margherita. Indipendentemente da questi fattori strettamente politici, Prodi ha ottenuto una quota di voti maggiore nelle province dove è più forte la cultura civica. Le primarie per l’elezione del candidato a primo ministro del centrosinistra svoltesi il 16 ottobre rimarranno probabilmente nella storia politica italiana come un evento di prima grandezza, per le dimensioni totalmente inattese della partecipazione che esse hanno registrato. Per questa stessa ragione continueranno a costituire un interessante interrogativo per gli studiosi dei comportamenti politici.

 

Pensare la Politica

La controriforma elettorale: logiche partigiane, disastri sistemici, riduzione del danno

of Stefano Ceccanti

Per spiegare in modo non depressivo (per chi legge) i termini aridi, anche se tutt’altro che irrilevanti, della controriforma elettorale all’esame del Senato, possiamo utilizzare tre passaggi concettuali che ne illustrano i fondamenti, denominandoli rispettivamente (e per il momento enigmaticamente): l’incubo dell’aprile 1996, l’effetto Lazzaro, la riduzione del Purgatorio.

Il caso

L'euro, lo shock asimmetrico e la clemenza dei mercati

of Luigi Spaventa

L’Unione monetaria europea è la storia di un successo senza precedenti: politico nelle decisioni che ne furono all’origine, tecnico nella rapida ed efficiente realizzazione del progetto di sostituire una moneta unica a undici (e poi dodici) monete nazionali. Fu un successo particolare per l’Italia, che, con un inconsueto scatto di reni, riuscì all’ultimo momento a salire sul treno in partenza. Ma alle primavere radiose degli anni di decisione e di preparazione seguirono inverni di scontento: perfino, e forse ancor più, nel nostro paese. Nino Andreatta ne sarebbe rimasto costernato: con sarcasmo avrebbe liquidato l’analfabetismo di alcune argomentazioni; con convinzione avrebbe elencato i lucri emergenti e i danni cessanti offerti all’Italia dalla moneta unica. Mi chiedo tuttavia se, da studioso, si sarebbe fermato qua. Un economista che non cada nella trappola della polemica politica, un paio di questioni sulle conseguenze dell’euro se le deve porre: non certo per argomentare che per l’Italia fosse preferibile restar fuori, ma per comprendere piuttosto perché l’euro, lungi dall’essere una panacea, pone obblighi maggiori alla politica economica. 

 

Il caso

I figli di Alessandro Rossi

of Gianni Toniolo

Quanto è cambiato il capitalismo italiano – o quanto sono cambiati i capitalisti italiani – dal tempo di Alessandro Rossi? Sarà forse una deformazione professionale ma mi pare utile partire da questa domanda per discutere le questioni sollevate dallo scambio tra D’Alema e Profumo. È lo stesso D’Alema, d’altra parte, a ricordare che «le nostre debolezze vengono da lontano» (anche se forse non pensa vengano da tanto lontano…). Si può partire utilmente da Alessandro Rossi per chiederci quale fosse il «senso della direzione» prima che esso andasse perduto, come lamentata da Profumo. E per chiederci se sia desiderabile recuperare vecchi ordini di marcia e, in caso di risposta negativa, se e come sia possibile individuare e perseguire direzioni nuove, che rispondano più che in passato agli interessi nazionali, tenuto delle «condizioni al contorno», soprattutto internazionali, dalle quali il nostro capitalismo, piaccia o meno, non può astrarsi.

Il caso

Un capitalismo in cerca di nuovi padroni. Perché le imprese italiane non crescono?

of Sandro Trento

Nell’interessante dialogo tra Alessandro Profumo e Massimo D’Alema, pubblicato sul numero scorso di «Italianieuropei», sono stati toccati molti dei temi cruciali che riguardano le difficoltà di sviluppo dell’economia italiana e le caratteristiche di fondo del nostro capitalismo, dalla questione della scarsa crescita delle imprese all’indebolimento del nostro sistema imprenditoriale, dalle liberalizzazioni al ruolo del sistema finanziario. L’intervista offre lo spunto per alcune considerazioni sulla frammentazione del nostro sistema produttivo e sul modello italiano di capitalismo.

 

Il caso

Il rilancio della competitività dell'industria italiana

of Stefano Chiarlone

Un’analisi delle prospettive del capitalismo italiano non può trascurare l’industria, nella quale l’Italia mantiene una rilevante quota di occupazione e prodotto interno lordo. Le sue recenti difficoltà riflettono, in parte, lo scarso adattamento di taluni sistemi produttivi e territori a un diverso schema di vantaggi comparati mondiali e a una maggiore frammentazione internazionale delle filiere. Per superarle, occorre che la politica economica si dedichi ad accelerare la transizione delle imprese verso una collocazione internazionale maggiormente coerente con la dotazione fattoriale relativa dell’Italia. A questo fine, si impongono nuove modalità per l’internazionalizzazione delle imprese – che ne garantiscano una maggiore competitività internazionale – e occorre che si attivino investimenti finalizzati a rendere disponibile sul territorio un rinnovato insieme di fattori produttivi (materiali e immateriali, umani e non), funzionali alla localizzazione di imprese capaci di creare valore, tramite il loro utilizzo.

 

Il caso

Cooperazione e politica: un modello interpretativo

of Mattia Granata

Il 15 aprile scorso duemila cooperatrici e cooperatori di tutta Italia entravano nella rinnovata Scala di Milano ad assistere al concerto promosso dalle Associazioni delle cooperative di produzione e lavoro della Legacoop, per rendere omaggio alle imprese che avevano contribuito in modo fondamentale al restauro del Teatro simbolo di Milano e del paese. Quando pochi mesi dopo l’Unipol annunciava la sua OPA sull’ex Istituto nazionale di credito per la cooperazione, pareva aprirsi la porta di un altro «salotto buono». Sono solo alcuni dei numerosi segni, tanto simbolici quanto concreti, che testimoniano la solidità e la maturità che questo «sistema» di imprese ha raggiunto. Non bastassero queste certezze, vi sono i dati che confermano come esso da solo, con i suoi soci e il suo milione di addetti, contribuisca per l’8% al PIL nazionale.

Il caso

La cooperazione nell'economia italiana

of Alberto Zevi

Secondo le valutazioni ufficiali la crescita reale finirà per essere nulla o pressoché nulla nel corso del 2005 e non raggiungerà che uno scarno 1,5% nel 2006. L’inflazione dovrebbe attestarsi sul 2,1% circa nel 2005 e sul 2,2% nel 2006. Nel 2005 e nel 2006 l’Italia non rientrerà nei parametri, per quanto resi meno stringenti, del Patto di stabilità e il rapporto fra deficit pubblico e prodotto interno lordo rimarrà abbondantemente al di sopra del limite del 3%: al 4,3% nel 2005 e al 3,8% l’anno successivo. Nel 2005 l’avanzo primario – che solo fino a cinque anni fa era pari, se non superiore, al 5% – supererà a stento lo 0,5%. Dopo dieci anni di discesa ininterrotta, infine, si prevede che il debito pubblico nel 2005 ricominci a salire.

 

Il caso

Dai cento giorni ai cinque anni: il "senso di una direzione"

of Nicola Rossi

Quanto è cambiato il capitalismo italiano – o quanto sono cambiati i capitalisti italiani – dal tempo di Alessandro Rossi? Sarà forse una deformazione professionale ma mi pare utile partire da questa domanda per discutere le questioni sollevate dallo scambio tra D’Alema e Profumo.1 È lo stesso D’Alema, d’altra parte, a ricordare che «le nostre debolezze vengono da lontano» (anche se forse non pensa vengano da tanto lontano…). Si può partire utilmente da Alessandro Rossi per chiederci quale fosse il «senso della direzione» prima che esso andasse perduto, come lamentata da Profumo. E per chiederci se sia desiderabile recuperare vecchi ordini di marcia e, in caso di risposta negativa, se e come sia possibile individuare e perseguire direzioni nuove, che rispondano più che in passato agli interessi nazionali, tenuto delle «condizioni al contorno», soprattutto internazionali, dalle quali il nostro capitalismo, piaccia o meno, non può astrarsi. 

Policy Network / Il modello sociale europeo

Premessa (Policy Network 5/2005)

of Redazione

In preparazione al Consiglio europeo informale del 27 ottobre scorso, Policy Network – il think tank britannico presieduto da Peter Mandelson – ha promosso un dibattito sul futuro del Modello sociale europeo con l’obiettivo di fornire un’approfondita analisi accademica relativa alle sfide che il MSE si trova a dovere affrontare, nel tentativo di identificare risposte politiche innovative e di consolidare al tempo stesso tra le forze progressiste europee il consenso necessario per riformare il MSE.

 

Policy Network / Il modello sociale europeo

Gli europei e le élite

of René Cuperus

Viviamo in tempi perigliosi. La storia ci insegna che nei processi di modernizzazione, l’accelerazione è spesso accompagnata da controtendenze, di natura a volte assai pericolosa. Si tratta infatti di processi che hanno dinamiche contrastanti. Tanto per citare un esempio macroscopico, la rivoluzione industriale e l’evoluzione della società liberale moderna hanno finito per produrre la democrazia e la prosperità, ma al tempo stesso hanno dato luogo a patologie quali il comunismo e il nazional-socialismo. Sembra come se stessimo vivendo un nuovo periodo di ipermodernizzazione. Tutti i segnali indicano cambiamento, transizione e trasformazione. Basta ripercorrere la lista di quei processi divenuti ormai luoghi comuni: globalizzazione, unificazione europea, rivoluzione informatica (ICT), avvento dell’economia postindustriale del sapere, immigrazione e sviluppo di società multietniche, individualismo e frammentazione sociale, degrado ambientale, rivoluzione dei media commerciali e dell’intratteniment, spostamenti del potere geopolitico a livello globale, terrorismo internazionale legato all’Islam politico.

Policy Network / Il modello sociale europeo

Una cornice flessibile per un'Europa plurale

of Patrick Weil

Cinque città hanno prestato il loro nome ad accordi simbolo della crescente autorità dell’UE in materia di immigrazione. Nel 1985, cinque paesi UE riuniti a Schengen, Lussemburgo, stipularono un accordo che creava un’area di libera circolazione. In virtù di tale accordo, venne stilata una lista comune di paesi i cui cittadini avrebbero dovuto richiedere il visto d’ingresso, e predisposta la creazione e la messa in comune di una banca dati, lo Schengen Information System, per stabilire a chi negare il diritto di accesso in tutti i paesi Schengen. Oggi, «Schengen» è stato esteso oltre i confini dell’Unione, con l’adesione di Islanda e Norvegia. E benché il Regno Unito e l’Irlanda vi aderiscano solo in parte, l’accordo è divenuto il caposaldo della cooperazione comunitaria nella gestione dell’immigrazione, con l’obbligo per tutti i nuovi aderenti all’UE di adeguarsi agli standard di Schengen, adeguamento che ha comportato un’aumento significativo dei controlli al confine e il miglioramento dei dispositivi e delle infrastrutture di cui disponevano questi paesi.

Europa / Europe

Europa in crisi. E adesso? Che fare?

of Günther Schmid

L’Europa è in crisi. E anche tutte le iniziative intraprese negli ultimi mesi non hanno fatto altro che inasprire ulteriormente una tale crisi. Prima, nel luglio scorso, il no dei Francesi e degli Olandesi alla Costituzione europea. Risultato che ha in pratica portato al congelamento del progetto, il quale, comunque, in questa forma, non sarà più ripresentato. Successivamente, il fallimento delle trattative riguardanti il budget dell’Unione, discusse al vertice di Bruxelles nell’agosto sempre di quest’anno. Ci troviamo al punto, ancora adesso, che non esiste alcun piano finanziario in grado di offrire un qualche margine di sicurezza alle varie aspettative programmatiche, né tantomeno un preventivo in grado di garantire un risarcimento adeguato a coloro che risultano essere i perdenti dell’allargamento del processo di integrazione europea. È vero che il presidente della Commissione europea Barroso sta lottando aspramente per la realizzazione di un fondo integrativo di 11 miliardi di euro a sostegno delle maestranze coinvolte nei licenziamenti di massa (vedi il recente caso della Rover) affinché, tramite l’allestimento di programmi di riqualificazione, abbiano la possibilità di trovarsi un nuovo lavoro. Va però detto che le prospettive per una tale forma di garanzia occupazionale europea non appaiono affatto rosee.

Europa / Europe

Il lavoro nella Costituzione europea

of Gianpiero Golisano

L’idea di Europa «Fare l’Europa vuol dire tre cose, vuol dire accettare tre obiettivi: il primo, che ci ipnotizza, è un obiettivo politico-amministrativo; l’altro, su cui stendiamo un velo pudico, è un obiettivo economico-finanziario; il terzo, che trattiamo come un antipasto o come un dessert, è un obiettivo culturale». Le parole di Lucien Febvre (1879-1956), pronunciate nel corso delle lezioni tenute nell’anno accademico 1944-45 al Collège de France e venate di scettico sarcasmo, sembrano purtroppo assai attuali. Tuttavia, il rallentamento del processo di coesione europea, dovuto alla mancata ratifica (frettolosamente definita «bocciatura») del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa da parte di Francia e Olanda, non corrisponde all’estinzione del progetto. Un referendum, in un dato momento storico, può anche risolversi per l’emersione di una maggioranza sfavorevole e irrazionale. Zygmunt Bauman ha chiarito che i numeri grandi hanno autorità per la loro dimensione: il presupposto di base (anche se raramente è dichiarato) è che «tante persone non possono essere dalla parte sbagliata», soprattutto se sono la maggioranza.

Le idee

Premessa (Le Idee 5/2005)

of Redazione

Negli ultimi due anni la Fondazione Italianieuropei ha avviato una riflessione sui temi connessi all’esercizio della funzione giurisdizionale, al rapporto tra potere politico e poteri neutri, e alla forme di legittimazione, responsabilità e governo della magistratura e dell’avvocatura. In particolare, la Fondazione ha promosso tra il 2003 e il 2005 tre specifici seminari su «Giustizia e politica» (14 giugno 2003), «Sistema di governo della giustizia, poteri neutri e funzioni giurisdizionali» (13 dicembre 2003) e «Avvocatura» (22 aprile 2005). Negli ultimi mesi, infine, un gruppo di lavoro della Fondazione coordinato da Massimo Brutti e Gianni Di Cagno, riprendendo e approfondendo le proposte e gli spunti emersi nei seminari, ha elaborato un documento sui temi della giustizia, con l’obiettivo di contribuire alla definizione del programma di governo dell’Unione di centrosinistra. Il documento è stato presentato a Roma il 28 ottobre 2005, nell’ambito del convegno «Giustizia e politica: appunti per un programma di governo».

 

Le idee

Giustizia: appunti per un programma di governo

of Redazione

Quattro anni di assedio all’indipendenza della magistratura da parte delle forze di Governo hanno avuto l’effetto non solo di erodere le garanzie dei cittadini, ma anche di determinare una sorta di narcosi sui reali problemi della giustizia italiana. Per questo, compito odierno del centrosinistra in tema di giustizia deve essere quello di produrre un’analisi realistica della situazione e costruire un nuovo programma di governo, che vada oltre il pur necessario impianto difensivo su cui ci si è attestati negli ultimi anni. Un programma di governo che comprenda sì l’abrogazione delle cosiddette leggi-vergogna e di ogni provvedimento lesivo del principio costituzionale dell’indipendenza dell’ordine giudiziario; ma che sappia al contempo interpretare sia le istanze di rinnovamento dell’amministrazione della giustizia e dei ceti professionali che vi concorrono, sia le domande di garanzie e di efficienza dei cittadini.

Chiesa e Politica

Cattolica e secolarizzata? I paradossi del voto religioso in Spagna

of Josè Ramon Montero e E. Kerman Calvo

In quest’articolo vorremmo analizzare alcuni paradossi riguardanti l’impatto della religiosità sulle scelte elettorali, e rivedere criticamente alcune tesi ricorrenti nella sociologia e politologia contemporanee. In maggioranza, i sociologi tendono a partire dal presupposto che quest’impatto stia rapidamente scomparendo, o sia già del tutto inesistente. E spiegano questo fenomeno con la secolarizzazione dei cittadini dei paesi democratici, ritenuti ormai quasi totalmente autonomi dalle élite ecclesiastiche in materia di preferenze elettorali. Ciò comporterebbe la scomparsa del cleavage religioso, con l’adozione dei cosiddetti valori postmaterialisti in luogo dei criteri morali tradizionali, l’inutilità crescente delle ideologie e il declino del confronto politico basato sull’identità religiosa, grazie all’uso crescente di criteri razionali nelle decisioni elettorali.

 

Chiesa e Politica

Un nuovo incontro tra fede e ragione

of Piero Fassino

Viviamo in un mondo percorso da grandi inquietudini e da grandi domande. Il terrorismo è entrato nella nostra vita e nella vita del mondo. Un terrorismo che ci ha rivelato l’intrinseca fragilità di un pianeta interdipendente e globale anche nei livelli di insicurezza e nelle paure. Ogni cittadino del mondo ― che viva a Londra, Madrid, Sharm El Sheikh, Bali, Casablanca, Gerusalemme, New York o in una qualsiasi delle tante altre città che in questi anni sono state ferite dal terrorismo ― si percepisce come un destinatario di una violenza cieca, che può colpire ovunque e chiunque. E ciò determina nelle opinioni pubbliche di tutto il mondo un diffuso sentimento di inquietudine, di insicurezza, di incertezza che cambia abitudini, relazioni tra le persone, modi di vivere e di pensare.

Chiesa e Politica

Religiosità e voto negli anni del maggioritario

of Paolo Segatti e Cristiano Vezzoni

La contrapposizione tra laici e cattolici ha avuto, come è ben noto, un ruolo decisivo nella formazione del sistema dei partiti e ha condizionato il comportamento elettorale di milioni di italiani. Il suo peso è stato maggiore di altre linee di divisione, come ad esempio il conflitto tra capitale e lavoro. A cavallo degli Settanta e Ottanta, anche in Italia si sono manifestati segni evidenti di una riduzione sensibile del numero di cattolici coinvolti nella vita della Chiesa. Un processo che ha inciso sulle fortune elettorali del partito votato dai cattolici. Ciò è accaduto in particolare nelle regioni settentrionali del paese, quelle per altro dove il voto alla DC si manifestava attraverso l’appartenenza ad una sub-cultura territoriale. Il che ha offerto non piccole opportunità di crescita elettorale a nuove formazioni come la Lega, che del localismo nudo e crudo si sono erte rappresentanti. Tuttavia l’allineamento tra religiosità e voto alla DC si è protratto a lungo. Ancora nelle elezioni del 1992, alla vigilia del terremoto politico del 1993-94, la DC riusciva a conquistare la maggioranza del voto dei cattolici che si recavano a messa ogni domenica. Poi si è mossa la politica; le regole della competizione sono cambiate; è venuta la decisione di sciogliere la DC.

Le città

Che cosa manca a Milano?

of Pietro Modiano

Che cosa manca, a Milano? Che cosa manca, di Milano, al nostro paese? E che cosa manca al paese? Sono le domande che le classi dirigenti della società e della politica di questa città dovrebbero farsi molto di più, al punto di farsene un proprio continuo cruccio; domande che in realtà si fanno, una volta ogni tanto. Salvo poi, come spesso è avvenuto, stupirsi, rimpiangere, ritrarsi e inventare ansiosamente un cambiamento purchessia. Perché questo è il problema – e il fascino – di Milano, che Milano «non è Milano»: «non ne vuole sapere di essere se stessa. Sta diventando sempre qualcos’altro. Ci arrivi, decidi di passeggiare, passeggi in un perenne cantiere e pensi quando sarà finito. Il cantiere, la città. Ma non finiscono mai, il cantiere, la città, e continuano a cambiare». È il rifiuto di Milano a guardarsi allo specchio, compiaciuta del suo pragmatismo e della sua capacità di cambiare, superare le avversità, lasciarsi le macerie alle spalle. Il rifiuto di darsi una funzione nazionale, e viverla con coerenza.  

Le città

Governance e sviluppo economico dell'area metropolitana milanese

of Luigi Vimercati

Negli ultimi vent’anni Milano è stata oggetto di una grande trasformazione, che ne ha completamente cambiato la struttura produttiva. Questa trasformazione ha posto fine alla storia della città quale capitale dell’industria fordista italiana, con un numero limitato di grandi fabbriche che assorbivano la maggior parte dell’occupazione, e ha dato vita a un sistema produttivo fortemente frammentato e contrassegnato da un’accentuata terziarizzazione.

Le città

La cultura come motore di sviluppo

of Emanuele Fiano

La riflessione sul ruolo della cultura oggi nello sviluppo urbano è in realtà la metafora di una riflessione sulla politica locale, e più profondamente sul ruolo della politica nello sviluppo locale. Lo dico partendo da Milano. Osservando contemporanemanente il fenomeno della crisi del modello Albertini che ci viene consegnato, ma anche il momento del centrosinistra che da quella crisi non ha ancora tratto le fondamenta per un’inversione di tendenza. Salvatore Carruba si è dimesso da assessore alla cultura della giunta Albertini il 24 febbraio di quest’anno, poche ore dopo la revoca di Carlo Fontana da Sovrintendente della Scala; dopo aver condiviso per quasi otto anni un percorso politico nel quale aveva creduto e nel quale aveva visto la possibilità di realizzare un progetto culturale liberale. Le sue dimissioni sono state il segno di un fallimento. Come ogni processo politico quel fallimento ha avuto un simbolo, in questo caso la crisi della Scala, e ha denudato un mito: che la buona borghesia milanese di cui Carruba è parte, fosse coesa nell’appoggiare l’opera retorica del sindaco restauratore che si paragona a Maria Teresa d’Austria.

Le città

Milano e la sfida del governo. Cinque domande per un nuovo riformismo

of Carlo Cerami

La sinistra è all’opposizione a Milano dal 1993. Questo vuol dire che, nella capitale economica del paese, la sinistra non ha mai espresso un sindaco eletto direttamente dal corpo elettorale. Esiste, dunque, un problema che va al di là della sola politica e mette in gioco lo stesso profilo culturale del campo progressista. Con un’immagine, potremmo dire che la sinistra sembra aver smarrito in questi anni lo spirito della città di Leonardo. Una figura che viene giustamente ricordata in un recente libro di Luca Doninelli come emblema e logo naturale della città, «per aver dato non solo la grande Chiusa o il Cenacolo o per aver progettato la difesa della città in caso d’assedio, ma per la sua impronta d’ingegnere e d’artista, di genio pratico ansioso di trasformare in prassi i propri studi, di naturale progenitore del design industriale e del rapporto arte-industria, di pensatore e cerimoniere, inventore di automi maschere e fontane, per il suo temperamento che coniuga precisione e nevrosi, limpidezza musicale e necrofilia, calcolo e irrequietezza, per il subbuglio incessante della sua anima». 

Le storie

Diario Americano 6

of Giulio Sapelli

Si parte. Si va verso il Nord America, e ci si ferma dapprima a Boston, per proseguire poi per Chicago. E qui si sente quanto gli Stati Uniti siano un insieme di gloriose tribù governate da una oligarchia a tratti illuminata, a tratti cieca dinanzi ai suoi compiti mondiali e nazionali. Boston è un tratto d’Europa che tenta disperatamente di divenir sempre più tale, costi quel che costi sul piano dei rapporti con la grande mela e con la capitale amministrativa della nazione. Le donne sono il primo segno di ciò. Sono vestite come delle europee, con tailleur un po’ fuori moda per noi, ma essenziali per il loro status bostoniano, con golf e golfini che non vedrete da nessuna altra parte d’America, compreso il giro di perle che risplende discreto, con qualche acconciatura un pò osé, ma che non va mai oltre a dei chignon che mi ricordano l’infanzia. Insomma, un gran piacere d’essere in un esilio dorato e benevolente, che si dipana, nel tempo delle colazioni che facciamo in albergo dinanzi a una piazza splendente di fiori e di alberi fioriti, in un tripudio di raffinatezza. Qui, in questo fine albergo, incontro un operatore finanziario che stimo moltissimo per l’intelligenza e la cortesia.

 

Archivi del Riformismo

Luigi Einaudi e La bellezza della lotta

of Giuseppe Abbracciavento

In uno scritto apparso sulla «Rivoluzione Liberale» del 1922, Piero Gobetti tracciava un sintetico profilo del pensiero di Luigi Einaudi e ricordava come «il riconoscimento delle libertà come condizione e premessa necessaria all’agire politico» fosse il luogo in cui il liberalismo del professore di Dogliani incontrava e si confondeva con il pensiero radicale e socialista. Ne veniva fuori un ritratto di Einaudi forse un po’ troppo «gobettiano» – come rilevò acutamente Paolo Spriano nella introduzione alla prima edizione de «Le lotte del lavoro» – ma l’insistenza posta da Gobetti sulla insofferenza di Einaudi verso gli schematismi teorici e il suo scetticismo verso ogni vuota formula verbale ci restituiscono in assoluta pienezza la cifra più autentica dell’Einaudi uomo ed economista.

 

Nemici del Riformismo

Alle radici del pregiudizio antiriformista

of Federico Fornaro

Le radici del pregiudizio antiriformista che ha caratterizzato la storia della sinistra italiana del Novecento sono profonde e affondano nelle divisioni e nelle ripetute scissioni che hanno travagliato il movimento socialista. Uno dei momenti più alti dell’educazione all’odio di classe contro i «traditori delle masse rivoluzionarie» è stato certamente quello che gli storici hanno definito il «biennio rosso» (1919-1920). Ne l l’immaginario collettivo di molta parte della sinistra e di parte della pubblicistica, si è coltivata per decenni l’idea che in quella fase erano maturate anche in Italia le condizione di una rivoluzione proletaria sul modello dell’esperienza bolscevica del 1917 e soltanto l’ignavia e il «tradimento» dei dirigenti riformisti del sindacato e del Partito socialista avevano impedito che la spinta rivoluzionaria potesse dare la spallata finale al capitalismo e alla borghesia dominante.