Società delle reti, governance e qualità intrinseca del lavoro

Written by Paolo Botta Monday, 02 January 2006 02:00 Print

Il fenomeno della globalizzazione sta determinando delle profonde trasformazioni negli assetti sociali, economici e culturali. Sul piano socio-economico, a fronte di una crescita dei livelli di competitività internazionale, si assiste a processi di adeguamento delle economie alle nuove esigenze attraverso un’intensificazione dell’innovazione a tutti i livelli: tecnologico, organizzativo, nei processi, nei prodotti. Ciò vuol dire optare per modelli produttivi post-fordisti fondati su una continua valorizzazione delle risorse umane al fine di migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi in un mercato aperto e tendenzialmente non monopolistico. Il modello di produzione fordista è caratterizzato da una logica che potremmo definire «verticale», di tipo top/down, in coerenza con il contesto di monopolio della grande azienda, che impone ad un vasto mercato i propri prodotti standardizzati e una sostanziale atomizzazione della società, con scarsi collegamenti e interazioni poco significative. Il modello post-fordista, che si fonda invece su una logica che potremmo definire «orizzontale», prevede unità di produzione distribuite in maniera capillare su tutto il territorio di riferimento (geografico, economico e sociale), che si distinguono per una ricerca generalizzata della qualità sia nei processi sia nei prodotti sia a livello tecnologico.

Emergenza della società civile e orizzontalità dello sviluppo

Il fenomeno della globalizzazione sta determinando delle profonde trasformazioni negli assetti sociali, economici e culturali. Sul piano socio-economico, a fronte di una crescita dei livelli di competitività internazionale, si assiste a processi di adeguamento delle economie alle nuove esigenze attraverso un’intensificazione dell’innovazione a tutti i livelli: tecnologico, organizzativo, nei processi, nei prodotti. Ciò vuol dire optare per modelli produttivi post-fordisti1 fondati su una continua valorizzazione delle risorse umane al fine di migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi in un mercato aperto e tendenzialmente non monopolistico. Il modello di produzione fordista è caratterizzato da una logica che potremmo definire «verticale», di tipo top/down, in coerenza con il contesto di monopolio della grande azienda, che impone ad un vasto mercato i propri prodotti standardizzati e una sostanziale atomizzazione della società, con scarsi collegamenti e interazioni poco significative. Il modello post-fordista, che si fonda invece su una logica che potremmo definire «orizzontale», prevede unità di produzione distribuite in maniera capillare su tutto il territorio di riferimento (geografico, economico e sociale), che si distinguono per una ricerca generalizzata della qualità sia nei processi sia nei prodotti sia a livello tecnologico. L’approccio fordista pone al centro l’impresa con connotazioni fortemente verticali e monopolistiche, mentre quello post-fordista ha sullo sfondo l’emergenza preponderante della società civile (individui, associazioni, movimenti ecc.) anche a livello produttivo, sia nel senso che tutti i soggetti sociali sono interessati e partecipano allo sviluppo diffuso, sia nel senso che le realtà produttive sono attente ai mutamenti della domanda sociale per migliorare la qualità della propria offerta attraverso processi appropriati di apprendimento. Questo fenomeno può essere definito «orizzontalità dello sviluppo» e si identifica con l’emergenza della società, di cui si è parlato. Esattamente il contrario di quanto avveniva in precedenza, nella società fordista, quando invece la verticalità dello sviluppo (monopolistico) determinava una autoreferenzialità del mondo produttivo e una sostanziale estraneità della società civile e culturale ai meccanismi produttivi dominanti. Oggi invece predomina una tendenziale integrazione tra produzione e società, che si esprime nell’esistenza di una diffusa capacità innovativa nei diversi contesti (territoriali, produttivi, sociali, culturali) e nella crescita dell’impatto complessivo delle economie regionali (di uno Stato o di un’entità sovranazionale) sugli scenari internazionali più vasti (nazionali, internazionali e sovranazionali), in seguito allo sviluppo delle competenze locali. L’accelerazione del processo di integrazione europea e il recente allargamento pongono le premesse per accrescere l’onda d’urto dell’economia europea sugli scenari internazionali, a condizione che – come è negli obiettivi della società della conoscenza2 – sia presente uno sviluppo armonico e diffuso, da realizzare attraverso la valorizzazione delle risorse presenti su ogni territorio, in ogni settore produttivo, ma anche in ogni azienda e in ogni contesto sociale.

 

Innovazione e valorizzazione delle risorse umane

Il discorso svolto finora vale in modo particolare per il capitale umano, che è da considerare l’elemento fondamentale per il miglioramento continuo della qualità dei processi e dei prodotti. Infatti, l’accresciuta competitività internazionale, in un contesto di globalizzazione, determina una continua esigenza di innovazione in ogni settore, sia in quello scientifico in senso stretto sia nel mondo della produzione in senso lato, sullo sfondo di una stretta integrazione tra meccanismi produttivi e processi scientifici e tecnologici. L’innovazione implica un atteggiamento proattivo da parte di tutti; ma perché ciò possa veramente verificarsi appare decisivo creare le condizioni, a livello dei diversi contesti organizzativi, affinché sia garantita a tutti i lavoratori la possibilità di esprimersi, di manifestare le proprie capacità, di essere propositivi. La centralità delle risorse umane ha certamente delle conseguenze non irrilevanti a livello di organizzazione del lavoro, poiché rende necessaria una valorizzazione del capitale umano in tutte le sue componenti, anche attraverso forme di vero e proprio empowerment. Un elevamento delle capacità conoscitive, di analisi, di problem solving, di elaborazione progettuale e culturale, ma anche relazionali, di interazione, ecc., in tutto il mondo del lavoro, è un presupposto importante per dare le giuste risposte alle sfide della globalizzazione. In considerazione della necessità di stimolare l’innovazione appare, infatti, fondamentale porre in essere un processo di sviluppo che sia fondato sull’economia della conoscenza e sul professionalismo, che dovrebbe diventare una caratteristica precipua della maggior parte dei lavoratori, che hanno bisogno di accrescere le proprie capacità di adattamento ai cambiamenti in atto e la propria produttività, attraverso il possesso di quelle capacità di analisi e di elaborazione che sono tipiche delle professioni liberali, e che caratterizzano le competenze trasversali che non possono essere acquisite nei tradizionali assetti organizzativi fordisti, fondati su forti livelli gerarchici e su bassi livelli di qualificazione professionale per la maggior parte dei lavoratori. In ambito post-fordista risulta invece possibile una generalizzazione delle capacità «professionali» e delle conoscenze, ma ciò può verificarsi soltanto in un mondo del lavoro caratterizzato da una circolazione delle idee e delle conoscenze in tutti i segmenti di forza lavoro, sulla base di una fluidità non gerarchica dei flussi di informazione e dei saperi al fine di un elevamento generalizzato dei livelli culturali.3

 

Società delle reti e circolazione della conoscenza

Una maggiore circolazione delle idee nelle organizzazioni si associa a una diffusione delle informazioni a livello sistemico anche con l’ausilio delle tecnologie informatiche, strumento fondamentale della società reticolare.4 Gli assetti organizzativi di quest’ultima sono centrati sulla partnership e su network caratterizzati da nodi intensamente collegati tra di loro, per permettere una maggiore comunicazione tra gli attori e, quindi, una diffusione delle conoscenze tra il maggior numero possibile di soggetti. Inoltre, una maggiore partecipazione costruttiva da parte degli attori è un presupposto fondamentale per rendere possibile un arricchimento professionale e più alti livelli di proattività nelle performance lavorative. L’appartenenza a contesti sociali di tipo reticolare, da un lato rende gli attori maggiormente partecipi (ossia in grado di esprimere le proprie capacità e mettere a frutto i propri saperi), e, dall’altro, dà loro la possibilità di venire in contatto con le competenze che caratterizzano i differenti gruppi e individui che compongono i network, in cui è più facile una circolazione delle informazioni e delle conoscenze.

Lo sviluppo di reti inter-organizzative è espressione dell’esigenza di comunicazione tra soggetti ed entità nell’ambito della società della conoscenza. Si pensi all’importanza dei distretti industriali come luoghi in cui vengono valorizzate le sinergie tra attori e sistemi allo scopo di massimizzarne le potenzialità nei riguardi dei mercati internazionali, o anche alle comunità di pratiche5 di professionisti appartenenti a diversi territori. I network sono degli importanti strumenti per la valorizzazione del capitale sociale e per la realizzazione di politiche di benchmarking che siano fondate sul confronto, sulla individuazione di buone pratiche e sul raggiungimento dell’eccellenza nei processi di produzione di qualità.6

Nell’ambito delle reti sociali è, inoltre, possibile trasformare in modo interattivo informazioni in conoscenze, perché i soggetti hanno l’occasione di elaborare le prime attraverso il dialogo e l’apprendimento collaborativo e, quindi, di pervenire ad una loro trasformazione dapprima in dati (quantitativi e catalogabili) e successivamente in conoscenza. Una prima elaborazione delle informazioni richiede una loro classificazione quantitativa; una seconda inserisce i dati così ottenuti in più ampi sistemi di pensiero già esistenti o costruiti ad hoc: è in questo modo che si perviene alla conoscenza e che quindi si fa cultura.7 Le reti anti-gerarchiche rappresentano, almeno tendenzialmente, un canale importante di diffusione di informazioni e conoscenze utili per la crescita delle professionalità e per la valorizzazione delle risorse umane.

I network rappresentano una sfida anche nei processi scientifici del futuro, poiché favoriscono lo scambio culturale e l’apprendimento inter-organizzativo, che è un fattore fondamentale per l’avanzamento scientifico. Essi, inoltre, facilitano i rapporti tra diversi sistemi culturali (scuole, associazioni culturali, centri di elaborazione tecnologica, ecc.), da un lato, e comunità scientifica, dall’altro. Si pensi, a titolo esemplificativo, al rapporto tra scienza e tecnica oggi: la prima si alimenta delle acquisizioni della seconda, che si esplicano nei processi produttivi e organizzativi e, viceversa, la seconda si alimenta delle acquisizioni della prima. Il processo di integrazione tra ricerca (soprattutto di base) e tecnologia può essere letto anche dal punto di vista della società reticolare: sia la scienza sia la tecnologia si esplicano in network di ricercatori e tecnologi che, comunicando tra di loro, accrescono le proprie conoscenze e ottengono occasioni di riflessione e di analisi.

La società fondata sul modello fordista era sostanzialmente caratterizzata da scarsi livelli di socialità, nonostante il fatto che masse di lavoratori fossero concentrati in luoghi adibiti alla produzione (le grandi aziende), ma caratterizzati da modesti livelli di professionalità e sostanzialmente isolati nella propria mansione predefinita, precostituita e immodificabile. Con lo sviluppo del modello post-fordista questo scenario cambia completamente, perché si assiste ad una frantumazione del mondo del lavoro in micromondi, al cui interno i lavoratori sono in interazione intenzionale tra di loro allo scopo di realizzare forme di apprendimento reciproco necessarie per i processi di innovazione. Da un sostanziale isolamento degli attori, in un sistema produttivo caratterizzato da bassi livelli di integrazione (nonostante i grossi agglomerati anonimi di lavoratori), si passa a forme crescenti di interazione e di interconnessione (anche elettronica) che favoriscono livelli di consapevolezza e di reciprocità e rendono necessario lo sviluppo di strumenti di elaborazione intellettuale in contesti di incertezza (lettura della complessità, previsione di scenari futuri, costruzione di modelli di innovazione socioorganizzativa, adeguamento delle competenze).

 

Governance e partenariato

Nella società della globalizzazione appare fondamentale non solo utilizzare le reti che si formano spontaneamente e che sono una conseguenza dello sviluppo, ma anche favorire processi di networking mirati in relazione a obiettivi particolari e ad esigenze specifiche. Ciò può avvenire attraverso forme di governance,8 le modalità di governo fondate su processi di interazione in senso ampio e sul coinvolgimento di tutti gli attori interessati alla realizzazione di politiche di interesse generale: non solo soggetti istituzionali (enti locali, sindacati, camere di commercio ecc.), ma anche appartenenti alla sfera privata (imprese, liberi professionisti, ecc.). La governance sopperisce alla crisi di sovranità dello Stato nazionale,9 che non è più l’unico artefice e promotore degli interventi di trasformazione o di adeguamento della società, ma che diventa solo uno dei tanti soggetti in azione per il raggiungimento degli obiettivi necessari per affrontare le nuove sfide assieme agli esponenti delle comunità locali e delle rappresentanze della società civile e di organismi internazionali e sovranazionali, come l’Unione europea. La collaborazione tra diversi soggetti, sia istituzionali sia privati, è alla base delle politiche di governance che si avvalgono di uno strumento fondamentale come il «partenariato», che consiste nella libera collaborazione tra partner che non sono gerarchicamente ordinati per il raggiungimento di obiettivi comuni.10 Il partenariato va considerato l’aspetto operativo e organizzativo della governance e si realizza attraverso un coinvolgimento di attori individuali o appartenenti a diversi sistemi (partiti, organismi sociali e culturali, parti sociali ecc.). Esso rende possibile la gestione dei network, la cui esistenza si fonda sull’interazione tra stakeholder in partenariato. Ciò può avvenire in tutti gli ambiti: politico-istituzionale, economico, sociale, culturale, ma anche tra diversi settori della società (in primis tra la sfera pubblica e quella privata o tra sistema scolastico e formativo e mondo del lavoro).

La governance è un processo politico complesso che si articola in due aspetti fondamentali: da un lato, si manifesta nel partenariato, che rende possibile forme di integrazione e di coordinamento inter-organizzativo, dall’altro si esprime nella costruzione, nell’utilizzazione e nella gestione di «reti sociali». Questi due aspetti rappresentano rispettivamente la dimensione organizzativa e operativa e la dimensione sociale dei nuovi assetti istituzionali e politici che si stanno delineando. Forme di governance possono riguard a re il governo del territorio, il decentramento istituzionale, il federalismo, lo sviluppo locale, le imprese (con la corporate governance), la gestione delle politiche sociali, le relazioni industriali, il settore scolastico e formativo, quello culturale, ecc. Il partenariato è lo strumento principale per la realizzazione degli obiettivi della governance, perché dà la possibilità di attuare un dialogo paritario tra attori istituzionali e tra questi e i soggetti appartenenti alla società civile, permettendo la realizzazione di progetti indirizzati alla realizzazione di obiettivi, tra cui appare fondamentale quello di ridurre i costi di transazione.

 

Governance e glocal

La governance è una risposta democratica, fondata su un’ampia partecipazione degli attori della società civile alla crisi dello Stato nazionale conseguente alle trasformazioni determinate dai processi di globalizzazione, ed è da considerare una modalità prioritaria di gestione degli Stati sovranazionali, come l’Unione europea, perché rende possibile la realizzazione di politiche comuni sulla base del principio di sussidiarietà. Essa appare come un importante strumento per la realizzazione della coesione sociale a livello territoriale, perché permette una maggiore integrazione tra le regioni e all’interno di queste tra le diverse realtà sub-regionali attraverso accordi e collaborazioni tra i soggetti istituzionali locali.11 Nel caso italiano sono rinvenibili diverse forme di governance già in atto. Si pensi agli interessanti interventi della cosiddetta «programmazione negoziata», come i patti territoriali, ovvero all’introduzione della Conferenza dei servizi per gestire interventi a livello sovraregionale.12 Si pensi anche all’attenzione che può essere data dalle scuole dell’autonomia al rapporto con il territorio sulla base di «accordi di rete»13 funzionali a progetti che vedano il coinvolgimento degli istituti scolastici di un territorio; o anche ai consorzi presenti a livello subregionale per porre in essere obiettivi di sviluppo o per la realizzazione di opere infrastrutturali. Forme di governance sono riscontrabili soprattutto a livello di politiche di sviluppo locale, e in questo caso favoriscono forme di coesione a livello economico tra i diversi contesti economici regionali e subregionali, ma anche a livello sociale, come ad esempio nell’ambito degli interventi finalizzati alla lotta alla disoccupazione. Le politiche di governance sono fondamentali per la promozione e la gestione di uno sviluppo locale proiettato verso il mondo, nel quale ogni regione o comunità dovrà competere. L’imperativo del think global act local, che si fonda sulla capacità di pensare in termini di globalizzazione (ossia stando attenti alle esigenze della società globalizzata), ma agendo a livello locale (dove si formano le competenze per lo sviluppo locale), si attaglia a soggetti che, pur agendo per lo sviluppo del sistema locale (da privilegiare per accrescere l’impatto dell’economia regionale e nazionale nei mercati internazionali) in cui sono inseriti, lo fanno avendo chiari gli scenari dalla globalizzazione, che richiedono standard di qualità elevati per far fronte alle sfide della competitività internazionale.

Il mix tra le esigenze dei contesti locali di valorizzare le proprie risorse e quelle del mondo globalizzato, che richiede competenze universalmente valide (come quelle trasversali), allo scopo di far fronte alle domande provenienti dai territori più diversi, caratterizza il cosiddetto glocal, termine che riassume l’esigenza di fondere la dimensione globale con quella locale.14 Esso può essere realizzato tramite politiche di governance che cercano di conciliare i bisogni locali con quelli globali, attraverso una riflessione collettiva da parte degli attori interessati su tutte le opportunità esistenti. In questa ottica, la governance può essere considerata uno strumento fondamentale per gestire il glocal, che richiede la realizzazione di processi di integrazione tra differenti istanze e contesti.

 

Governance e valorizzazione delle risorse umane

La governance è al centro delle politiche europee: ad essa recentemente la Commissione europea ha addirittura dedicato un libro bianco,15 in coerenza del resto con la stessa politica di coesione economica e sociale, che realizza i suoi interventi attraverso i fondi strutturali. La politica della governance può essere, inoltre, considerata un importante strumento per la realizzazione degli obiettivi di Lisbona,16 relativamente allo sviluppo dell’economia della conoscenza, che si caratterizza per un concetto di scienza che utilizza le reti e lo scambio culturale interattivo, favorendo la diffusione del sapere indispensabile per la crescita dell’economia (post-fordista). La governance rappresenta un approccio fondamentale per porre in essere politiche indirizzate ad una piena valorizzazione di tutte le risorse di un territorio, tra cui in primis quelle umane, perché è da considerare un mezzo attraverso il quale i soggetti locali possono progettare interventi formativi integrati e realizzare l’apprendimento interorganizzativo (che si verifica nello scambio culturale e sociale e nelle relazioni tra sistemi diversi, come ad esempio tra una scuola e un impresa) necessario per l’economia della conoscenza, che si fonda sulla circolazione e sullo scambio dei saperi. Le reti non svolgono un ruolo importante soltanto nei processi di produzione scientifica, ma anche in quelli di apprendimento, su cui hanno una forte influenza: i network tra organismi sociali sono uno strumento per valorizzare le culture organizzative di ciascuno di essi, che vengono trasmesse da un’organizzazione all’altra e tra gli individui che ne fanno parte. L’apprendimento inter-organizzativo17 avviene nell’interazione tra diverse organizzazioni o istituzioni e può coinvolgere organizzazioni del mondo della produzione e del lavoro, centri di ricerca, oltre che istituzioni educative e comunità di pratiche.

 

Governance telematica ed e-learning

La governance è un processo complesso perché richiede un ampio coinvolgimento e un difficile lavoro di coordinamento tra attori che spesso hanno interessi divergenti o che sono collocati in territori spazialmente distanti e difficilmente raggiungibili. Per favorire questa forma di politica di integrazione può essere opportuna l’utilizzazione di strumenti elettronici di comunicazione, che rafforzano i meccanismi reticolari, ed è possibile realizzare una vera e propria governance telematica, che è caratterizzata dall’ampiezza dei soggetti coinvolti e dalla pervasività dell’interazione tra gli attori della rete interattiva, oltre che dall’utilizzazione di vere e proprie forme di e-learning18 fondate sull’apprendimento collaborativo.

L’utilizzo della rete elettronica per la comunicazione e per l’apprendimento può avere delle conseguenze significative a livello di tutti gli aspetti della vita sociale ed educativa. Internet potrà potenziare i rapporti umani rendendoli più frequenti e capillari, e favorire la costruzione di reti sociali utili per politiche di governance a vantaggio dello sviluppo locale e dell’apprendimento inter-organizzativo. L’uso del mezzo elettronico non va considerato soltanto una modalità per potenziare e rendere più frequenti i rapporti umani, ma è un modo diverso di concepire le relazioni umane e un modo nuovo di trattare la conoscenza e di realizzare l’apprendimento. La capillarità della penetrazione elettronica è tale da poter determinare un mutamento nei rapporti tra gli uomini, con delle conseguenze sull’universo simbolico di cui ci serviamo sia nelle nostre interazioni sia nell’elaborazione delle informazioni e della conoscenza. La rete elettronica può avere delle notevoli conseguenze anche a livello di costruzione e di implementazione delle politiche, con particolare riferimento alla governance (e alla glocal governance) e alle collegate reti sociali. Essa può favorire il dialogo sociale e l’apprendimento inter-organizzativo, sfruttando le potenzialità dell’orizzontalità dello sviluppo (non più concentrato e verticalizzato come nel vecchio modello fordista). Può, inoltre, favorire l’integrazione tra scienza e tecnica (tra la comunità scientifica e quella dei tecnologi) e trasformare positivamente i rapporti amicali da concentrati e occasionali a diffusi e programmati.

 

Stimolare un dibattito sulla qualità intrinseca del lavoro19

Il recente dibattito sul lavoro è quasi esclusivamente incentrato sui concetti di flessibilità e di precariato. È fuori discussione l’importanza di continuare a riflettere su questi temi, soprattutto in relazione all’esigenza di collegare la prima con la sicurezza, in coerenza con quanto auspicato dalle politiche europee con la cosiddetta flexsecurity. Ma è forse giunto il momento di fare un salto di qualità, iniziando a riflettere anche sulla qualità intrinseca del lavoro, un tema su cui già da tempo l’Unione europea sta riflettendo in diversi documenti che ne sottolineano la rilevanza sia per la crescita della produttività sia per rendere più attrattivo restare in attività (ciò è particolarmente vero nel caso degli anziani, per i quali si auspica non a caso un «invecchiamento attivo», obiettivo su cui insistono molti documenti europei), sia per accrescere la partecipazione dei lavoratori alle scelte che caratterizzano la vita lavorativa e di conseguenza i livelli della coesione sociale, anche in collegamento alla valorizzazione del capitale sociale esistente in ogni territorio. Basti ricordare la Comunicazione della Commissione sulla qualità del lavoro20 in cui si dà largo spazio agli aspetti intrinseci del lavoro, alle esigenze di apprendimento permanente, di dialogo sociale e di partecipazione dei lavoratori. In Italia manca ancora un autentico dibattito sull’esigenza di migliorare le condizioni di lavoro, non soltanto per il benessere individuale e per innalzare i livelli di soddisfazione dei lavoratori, ma anche per accrescere la produttività. Nella knowledge society, verso cui dopo Lisbona ci stiamo dirigendo, soprattutto a livello europeo, un autentico cambiamento dell’organizzazione del lavoro implica necessariamente una crescita della circolazione delle conoscenze nelle organizzazioni lavorative (sia private sia pubbliche) attraverso meccanismi reticolari in cui siano messe in discussione le tradizionali gerarchie funzionali a favore del lavoro di gruppo e della cosiddetta organizzazione piatta, in cui ciascun lavoratore sia valorizzato e possa liberamente e spontaneamente dare un contributo allo sviluppo.

 

La governance per lo sviluppo delle risorse umane e della formazione

Società delle reti non vuol dire solo circolazione democratica delle conoscenze e delle idee. Vuol dire anche capacità di realizzare politiche di governance da considerare uno strumento non solo per lo sviluppo locale, ma anche per l’apprendimento inter-organizzativo (che avviene quando sistemi diversi entrano in contatto, scambiandosi le proprie esperienze e i propri modi di vedere) e quindi per migliorare i processi formativi (che rappresentano dei luoghi privilegiati di facilitazione dell’apprendimento) tramite accordi sia tra le istituzioni scolastiche e formative sia tra queste e il mondo del lavoro, che diano la possibilità di porre in essere proficui scambi culturali necessari per il miglioramento della qualità delle risorse umane. Già esistono esempi di politiche indirizzate alla realizzazione di esperienze di governance di tipo reticolare: si pensi ai citati patti territoriali, alla Conferenza dei servizi per le politiche pubbliche, ai possibili accordi di rete previsti dall’autonomia delle scuole o ancora alle opportunità che queste ultime hanno di sviluppare un efficace rapporto con il territorio. Le politiche formative sono indirizzate a favorire l’apprendimento nei diversi contesti della vita attraverso logiche di partenariato che favoriscano l’integrazione tra sistemi diversi (tra scuole di diversa tipologia o tra queste e le differenti organizzazioni del mondo del lavoro o della società civile in genere). Ma tutto ciò non basta. È forse giunto il momento di andare oltre, riflettendo sull’opportunità di stimolare un’ampia discussione, da attuare in logiche di governance e partenariato con tutti i soggetti potenzialmente interessati (sindacati, organizzazioni datoriali, enti locali, partiti politici, altri organismi presenti sui territori, ecc.), allo scopo di porre in essere iniziative che facilitino uno stabile collegamento tra flessibilità e sicurezza e un miglioramento della qualità intrinseca del lavoro come presupposto per accrescerne la soddisfazione e la produttività. La crescita della partecipazione democratica nelle organizzazioni lavorative si prospetta come una nuova forma di democrazia dal basso, caratterizzata da momenti di coinvolgimento in grado di migliorare non solo le performance dei lavoratori nei sistemi produttivi, ma nello stesso tempo di sostenere e rendere possibile la cittadinanza attiva.

 

Bibliografia

1 Sul postfordismo cfr. E. Rullani e L. Romano (a cura di), Il postfordismo. Idee per il capitalismo prossimo venturo, Etas Libri, Milano 1998.

2 Sull’economia e sulla società della conoscenza, mi limito a ricordare: F. Blackler, Knowledge, Knowledge Work and Organisations. An Overview and Interpretation, in «Organisation Studies», 16/1995; I. Nonaka, H. Takeuchi, The knowledge-creating Company, Guerini, Milano 1997; E. Rullani, Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti, Carocci, Roma 2004.

3 L’esigenza di realizzare nell’Unione europea l’economia della conoscenza più competitiva del mondo è stata proclamata nel Consiglio europeo di Lisbona del 2000.

4 Sulla società reticolare è d’obbligo il riferimento all’opera di M. Castells, Galassia Internet, Feltrinelli, Milano 2002.

5 Sulla comunità di pratiche si rinvia a: J. S. Brown, Le comunità di pratiche, in «Sviluppo & Organizzazione», marzo-aprile 2002; E. Wenger, Communities of Practice: Learning, Meaning and Identity, Cambridge University Press, Londra 1998.

6 Il benchmarking è uno strumento di direzione aziendale per il miglioramento continuo attraverso il confronto sistematico con le imprese eccellenti. Su questo tema cfr.: H. Smith, M. Armstrong e S. Brown, Benchmarking and threshold standards in higher education, Kogan Page, Londra 1999.

7 Su quesi temi si veda: B. Ferraris di Celle, Economia della conoscenza, in «De Qualitate», febbraio 2004; F. Gagliardi, Economia della conoscenza e coesione sociale. Gli strumenti di una politica europea, in «Professionalità», 68/2002.

8 Sulla governance è da segnalare: R. Mayntz, La teoria della governance: sfide e prospettive, in «Rivista italiana di scienza politica», 1/1999; sul rapporto tra governance e capitale umano, cfr.: A. Grandori (a cura di), Organizzazione e governance del capitale umano nella nuova economia, Egea, Milano 2001.

9 Sulla crisi degli Stati nazionali si rinvia al libro di S. Cassese, La crisi dello Stato, Laterza, Bari 2002.

10 Sul partenariato rinvio a: P. Botta, Partenariato e risorse umane, in «Il Mulino», 4/2002 e Botta, Il partenariato formativo, in «Professionalità», 69/2002.

11 Per un esame della coesione rinvio a: Botta, Coesione sociale, qualità del lavoro, flessibilità e governance, in «Rivista Giuridica del Mezzogiorno», 2-3/2005.

12 Sulla conferenza dei servizi si rinvia a Cassese, op. cit.

13 Così come previsto dal Decreto del presidente della Repubblica n. 275 del 1999. Roma, 8 marzo 1999, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59.

14 Sulla glocal governance cfr.: G. Bressi, Opportunità e sfide per lo sviluppo glocale in Europa ed America Latina, in «Impresa & Stato», 63-64/2003.

15 Libro bianco su «La governance europea», Commissione europea, 5 agosto 2001.

16 Elaborati nel Consiglio di Lisbona del 2000.

17 Su questi temi si veda: C. Jones, W. S. Hesterly, S. P. Borgatti, Le reti organizzative, in «Sviluppo & Organizzazione», 170/1998; A. Signorelli, Relazioni interorganizzative, Franco Angeli, Milano 1991; P. Smith Ring e A. H. Van De Ven, Partnership organizzative, in «Sviluppo e Organizzazione», 148/1995.

18 Sull’e-learning mi permetto di rinviare a: Botta (a cura di), Capitale umano on line: le potenzialità dell’e-learning nei processi formativi e lavorativi, volume Isfol, Franco Angeli, Milano 2003.

19 Sulla qualità del lavoro rinvio a Botta, Coesione sociale cit.

20 Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni.