Dal 2004 alle elezioni politiche, tra voto locale e voto nazionale

Written by Guido Legnante Thursday, 01 January 2004 02:00 Print

Il calendario elettorale dei prossimi due anni è particolarmente denso. Fra pochi mesi vi saranno le elezioni europee e le elezioni locali in oltre la metà dei comuni (fra cui varie decine di capoluoghi) e delle province, nel 2005 le elezioni nelle 15 regioni a statuto ordinario e infine nel 2006 (se la legislatura non avrà un termine anticipato) le elezioni politiche. Vi fu la stessa sequenza nel triennio 1999-2001, quando al sostanziale pareggio alle europee (ma con la storica vittoria di Giorgio Guazzaloca a Bologna) seguì il netto successo della Casa delle Libertà alle regionali prima e alle politiche poi.

 

Il calendario elettorale dei prossimi due anni è particolarmente denso. Fra pochi mesi vi saranno le elezioni europee e le elezioni locali in oltre la metà dei comuni (fra cui varie decine di capoluoghi) e delle province, nel 2005 le elezioni nelle 15 regioni a statuto ordinario e infine nel 2006 (se la legislatura non avrà un termine anticipato) le elezioni politiche. Vi fu la stessa sequenza nel triennio 1999-2001, quando al sostanziale pareggio alle europee (ma con la storica vittoria di Giorgio Guazzaloca a Bologna) seguì il netto successo della Casa delle Libertà alle regionali prima e alle politiche poi.

Discuteremo alcune delle implicazioni connesse a un calendario di questo tipo. Anche se il voto europeo è tradizionalmente differente da quello politico e le riforme della cosiddetta «seconda Repubblica» hanno contribuito ad autonomizzare il voto locale dalle dinamiche relative al livello nazionale, ci sono infatti elementi di forte interdipendenza fra ciascuna elezione e quelle che la precedono. Per questa ragione, chi vuole vincere le elezioni del 2006 deve interrogarsi su come utilizzare le elezioni di questi due anni per avviare un percorso virtuoso. In particolare è utile riflettere su due punti. Da un lato, sull’interpretazione dei risultati elettorali che emergeranno dalle tornate di questi due anni e su come essi verranno percepiti dall’opinione pubblica e dagli stessi attori politici. Dall’altro lato, su quali siano le opportunità e i rischi legati alla scelta fra le diverse strategie a disposizione.

 

Il ruolo delle elezioni non nazionali

Vi sono varie ragioni per sottolineare il grado di autonomia delle elezioni non nazionali che precederanno lo showdown del 2006.1 Sin dalla loro istituzione, nelle elezioni europee vi sono stati risultati in parte diversi rispetto alle dinamiche politiche nazionali, con il successo dei partiti più «espressivi» (come Verdi, Radicali, leghe e nel 1999 la Lista Bonino) o comunque «di opinione» (come per alcuni aspetti è Forza Italia).2 Quanto ai livelli locali, le riforme hanno conferito loro più autonomia istituzionale, legittimità e interesse agli occhi degli elettori e più visibilità presso gli osservatori e i media. Al livello regionale, che pure è tipicamente il più «politico» fra quelli locali, l’elezione diretta e l’attenzione dei media hanno conferito ai «governatori» più autonomia e visibilità. Lo sviluppo delle competenze su varie materie di policy ha accresciuto la rilevanza delle loro scelte e l’attenzione degli elettori. Nel voto infatti si sono osservati scarti cospicui fra i voti di lista e ai presidenti, alti tassi di riconferma, personalizzazione: nel complesso un discreto grado di autonomia del voto rispetto alle logiche nazionali.3 Una delle principali novità dell’ultimo decennio consiste poi nel nuovo ruolo assunto dalle elezioni comunali e legato a vari elementi:4 l’elezione diretta che ha personalizzato la selezione dei candidali e le campagne elettorali, la marcata variabilità nelle scelte coalizionali compiute dai partiti, la sensibilità degli elettori all’offerta politica, che li ha spesso spinti ad abbandonare le logiche di schieramento per adottarne altre di diversa natura, in primo luogo personale. I sindaci uscenti, in particolare, hanno avuto un netto successo elettorale, evidenziato da molti indicatori, e hanno anche spesso scoraggiato la ricerca di candidati forti e la mobilitazione degli elettori nel campo avversario.

Le elezioni locali non sono però del tutto autonome dalla politica nazionale. Da un lato, l’attenzione dei mass media resta focalizzata su quest’ultima, anche in virtù della sua centralità per le scelte di policy (anche dei governi locali), delle fratture e ricomposizioni delle alleanze, del clima d’opinione verso governo e forze politiche. Dall’altro lato, è aumentata anche l’influenza di segno opposto: la chiarezza degli esiti delle consultazioni locali rende infatti più nitide le etichette di vincitori e sconfitti che gli attori politici si porteranno addosso sino alla elezione successiva.

A questo proposito basta ricordare alcune vicende seguite alle elezioni locali dell’ultimo decennio. Le prime elezioni maggioritarie, quelle del 1993, verranno ricordate soprattutto per il successo delle coalizioni imperniate sul PDS, le regionali del 1995 (dopo la batosta del 1994, la crisi del governo Berlusconi e la nascita del governo Dini) per il primo test positivo dell’Ulivo guidato da Prodi, quelle del 1997 per il successo dell’Ulivo in molte grandi città (anche se ottenuto soprattutto grazie alla presenza di molti sindaci uscenti). Per il centrosinistra le cose iniziarono a volgere male nel 1999, con le europee e soprattutto con la sconfitta nella città simbolo della sinistra, Bologna, dove le liti nei DS e l’abile scelta del centrodestra di appoggiare un candidato come Guazzaloca portarono al più imprevedibile dei risultati.5 Un risultato che, nella lettura degli osservatori, faceva da introduzione alla nuova sconfitta alle regionali del 2000, che portò addirittura alle dimissioni del presidente del consiglio Massimo D’Alema, e poi alla nuova e netta sconfitta nelle politiche del 2001. Infine il voto del 2003, soprattutto per il successo di Riccardo Illy in Friuli Venezia Giulia e il successo di Enrico Gasbarra nelle provinciali romane, passerà agli archivi come una netta vittoria del centrosinistra.

 

Risultato politico e risultato elettorale

C’è però da chiedersi quale sia l’effettiva base empirica di queste considerazioni. Nel 1993, ad esempio, il successo della sinistra era da ricondurre più all’assenza di avversari competitivi di centrodestra che alla conquista di voti in campo avverso. Nelle successive elezioni politiche infatti l’offerta politica di centrodestra costruita da Silvio Berlusconi ebbe buon gioco nel chiedere il voto su basi ben diverse: il governo del paese, la scelta di un presidente del consiglio efficiente, fermare il «pericolo comunista» che a soli quattro anni dalla caduta del Muro di Berlino si era appena mostrato così presente.

Anche i risultati del 2000 erano in realtà meno chiari che in apparenza. Certo, quando un voto che coinvolge quindici regioni su venti porta un presidente del consiglio a dimettersi vi è un indiscutibile elemento di chiarezza. Eppure, furono proprio quelle dimissioni, forse, a fornire all’opinione pubblica quella che invece era solo una delle possibili chiavi di lettura di quelle elezioni: che il governo non aveva conquistato nuovi elettori e anzi, soprattutto a causa della riforma sanitaria e di quella scolastica (per non parlare del vulnus della caduta del governo Prodi), ne aveva persi sia (molti) in direzione dell’astensionismo sia dello schieramento avversario, mentre la nave «Azzurra» e le preoccupazioni per criminalità e immigrazione avevano convinto gli italiani della bontà delle proposte del Polo delle Libertà. Questa (corretta) lettura del «risultato politico» delle elezioni trovava però una corrispondenza molto scarsa nei dati empirici relativi al «risultato elettorale»:6 rispetto alle elezioni del 1996 il centrosinistra aveva perso meno di due milioni di elettori contro i quasi tre persi dal Polo, non era stato particolarmente colpito dall’astensionismo (con la parziale eccezione di Toscana ed Emilia-Romagna), gran parte del movimento elettorale era avvenuto all’interno degli schieramenti e il successo del centrodestra era sostanzialmente riconducibile alla ritrovata alleanza con la Lega Nord. Infine, anche il successo dell’Ulivo nel 2003 – che in molti hanno spiegato con l’insoddisfazione degli elettori verso le attività del governo Berlusconi sull’Iraq e/o sulla giustizia e/o sull’economia – è in parte dovuto a dinamiche e ragioni differenti da quelle appena menzionate. Il risultato più clamoroso, il successo di Illy, non è legato alle dinamiche nazionali, ma al contrario alla coerente strategia del candidato di centrosinistra di denazionalizzare e personalizzare il più possibile la competizione.7 Quanto ai comuni, la scarsa «qualità» elettorale dei candidati della CDL, che ha portato alla loro sconfitta, è legata probabilmente alle tensioni fra i partiti al governo e al fatto che gli elettori hanno punito in sede locale un’offerta politica troppo focalizzata, nel bene e nel male, sul suo leader nazionale.8 Di conseguenza, il voto del 2003 è difficilmente proiettabile su elezioni successive: nelle elezioni locali entrambe le coalizioni dovranno di nuovo scegliere buoni candidati senza eccedere in alchimie di partito, mentre in quelle meno locali (vale a dire europee e regionali) non è escluso che per il centrodestra la centralità del suo leader torni a essere più una forza che una debolezza.

Le differenze fra le interpretazioni del voto degli attori politici e dei media (che tendono a enfatizzare «cambiamenti», «espansioni», «successi», «rivincite» e così via) e degli studiosi (che spesso sottolineano gli elementi di continuità nelle scelte degli elettori) sono comprensibili alla luce del fatto che fra i comportamenti di voto e il significato politico delle elezioni vi sono due fondamentali mediazioni (fra loro interrelate): da un lato le aspettative dichiarate – e non – degli attori, e dall’altro lato i tempi della comunicazione sui mass media, che chiedono di commentare i risultati a urne appena chiuse preferibilmente descrivendoli in termini di «novità» che possano interessare i consumatori di comunicazione. D’altra parte, l’attenzione per gli elementi di novità è comprensibile proprio alla luce della grande stabilità dell’elettorato e dell’equilibrio fra le forze in campo, che rendono interessante interrogarsi sulle motivazioni degli elettori (anche se pochi) che cambiano le loro scelte, chiedersi se i voti «mobili» siano stati sensibili agli avvenimenti politici, ipotizzare se le novità riscontrate possano prefigurare risultati futuri.

Che gli attori politici e gli operatori dei mass media interpretino le elezioni in modo diverso dagli studiosi non è insomma una novità. Il punto da sottolineare è però che la lettura dei risultati elettorali è uno dei momenti più vivaci della lotta politica, dal quale coalizioni, partiti e leader escono con un’immagine di forza o di debolezza che li accompagnerà almeno sino all’elezione successiva. Ormai più di venti anni fa, gli studi dell’Istituto Cattaneo evidenziavano da un lato la «specificità» del voto amministrativo rispetto al voto politico,9 e dall’altro lato che «(…) anche la risposta al fondamentale interrogativo su chi sia il vincitore trovi il suo fondamento sulla affannosa trattativa che si sviluppa, in non più di due tre ore, sotto gli occhi delle telecamere e come, delle varie risposte possibili, non sempre la vincente risulti la più fondata sui dati di fatto. Solo gli esperti sanno però quanto definitivo sia quell’affrettato verdetto, quanto inappellabile anche di fronte alle più puntigliose, documentate e convergenti analisi scientifiche».10

Se è vero che la politica è un po’ un «teatrino», l’interpretazione del voto locale resta uno degli spettacoli sempre in cartellone. Solitamente, il canovaccio della rappresentazione prevede dei «vincitori», che provano a riempire il significato del voto di contenuti nazionali (approvazione o disapprovazione verso il governo, clima di opinione e così via) e di premonizioni sul futuro, mentre i «perdenti» ne sottolineano invece gli elementi locali (campagne elettorali, candidati, territorio) e strettamente congiunturali.

Nelle riflessioni sul voto è utile tenere presenti alcuni criteri per contestualizzare i risultati o non farsi guidare solo da quelli di maggiore valore simbolico (e che spesso, paradossalmente, sono stati ottenuti proprio perché gli attori politici hanno saputo fare una campagna autenticamente locale, come Guazzaloca a Bologna o Illy in Friuli-Venezia Giulia).11 In particolare nel caso di elezioni locali, la domanda «chi ha vinto le elezioni?» sintetizza infatti più quesiti.12 Vince chi conquista più regioni, province, comuni e/o quelli ritenuti politicamente più rilevanti per la loro centralità (economica, sociale, demografica). Ma vince anche chi, in base ai criteri ora menzionati, riesce a vincere dove in precedenza avevano governato i suoi competitori. Vince anche lo schieramento che ottiene più voti e/o che mostra la maggiore avanzata elettorale rispetto al passato, elementi che lo pongono con buone prospettive in vista delle successive elezioni politiche. Infine, in presenza di una «sfida» aperta fra le forze politiche rispetto al raggiungimento di un dato obiettivo (la conquista di un comune o una regione «simbolo», o che una data lista e/o coalizione superi una certa quota di voti, e così via), vince naturalmente chi riesce a conquistare la posta che è stata messa in gioco.

 

Obiettivi e scelte

A questi criteri contabili va aggiunto che nelle elezioni locali, più che in altre, gli attori politici perseguono simultaneamente più obiettivi: conquistare più amministrazioni, esibire con chiarezza la propria forza ai tavoli coalizionali, accumulare crediti per il futuro, e così via. In questo senso le aspettative che vengono caricate su ciascuna tornata elettorale sono molto rilevanti. Si tratta di un gioco molto delicato: da un lato i propri potenziali elettori vanno mobilitati dichiarandosi in grado di vincere, ma dall’altro vi può essere un danno all’immagine vincente se queste dichiarazioni vengono contraddette dal risultato reale (all’opposto, però, il netto successo di una coalizione può anche compattare le forze sconfitte). Per non parlare del fatto che non poche volte il successo locale è stato visto dai partiti componenti le coalizioni (soprattutto se al governo) come un viatico per chiedere maggiore spazio, dando però vita a tensioni intra-coalizionali che non sono apprezzate dagli elettori. L’ideale sarebbe quindi dichiarare che si vincerà e vincere solo un pochino più nettamente, ma non abbastanza da sentirsi sicuri che anche nelle elezioni politiche si sarà superiori ai propri avversari e/o da essere tentati di imbarcarsi in prove di forza con gli alleati.

Si tratta, come si vede, di un gioco tutt’altro che facile. A volte può essere opportuno scegliere dei percorsi sub-ottimali, come ad esempio non caricare di eccessive aspettative le elezioni locali e poi piuttosto, in caso di vittoria, sovra-interpretarne i contenuti in ottica nazionale. Oppure – è questa la strada scelta dalla CDL in molte elezioni degli ultimi anni – concentrarsi sugli elementi nazionali (vale a dire Berlusconi) che possono «trainare» il voto e mettere in secondo piano le candidature locali (una strategia che però non mette a disposizione molti argomenti per circoscrivere ai fattori locali le interpretazioni della eventuale sconfitta).

Naturalmente nello scegliere la strategia è importante considerare il tipo di elezione a cui si va a partecipare. Il successo di Illy in Friuli Venezia Giulia ha mostrato che anche nelle elezioni regionali vi può essere un’elevata mobilità elettorale, ma a condizione che gli elettori le percepiscano come autenticamente locali e lontane dai contenuti «romani». Le conversioni di elettori da uno schieramento all’altro sono però estremamente rare. La storia elettorale di questi anni mostra che i maggiori movimenti di voto (gli esempi migliori restano i successi rispettivamente di Guazzaloca nel 1999 e Illy nel 2003) si sono verificati in presenza di due condizioni: a) una depoliticizzazione della contesa, con la scelta di candidati che ne sottolineassero il carattere locale; b) una bassa mobilitazione, evitando quindi i toni ultimativi che solitamente tendono a convincere gli elettori di entrambi gli schieramenti a recarsi alle urne per votare come hanno sempre votato. Quando insomma la scelta di candidati personali, locali e magari un po’ impolitici (se non antipolitici) si è coniugata alla ricerca, presso gli elettori del campo avverso, di un voto magari difforme dalla loro biografia elettorale, ma senza essere percepito come una abiura, quanto invece come una scelta del tutto contingente.13

Il 2004 sarà la prima tappa di una lunga corsa che si concluderà con le elezioni politiche del 2006. Le caratteristiche nazionali delle europee prima e delle regionali poi andranno a bilanciarsi con il voto in numerosi comuni e province. Dal punto di vista dei riferimenti al piano nazionale, l’offerta politica di centrosinistra proporrà vari spunti: da un lato la costruzione di una lista unica dei principali partiti dell’Ulivo alle europee, e dall’altro lato la candidatura a Bologna di Sergio Cofferati, che sembrerebbe indicare (anche considerate le caratteristiche del suo competitore Guazzaloca) la richiesta agli elettori di un voto locale ma anche politico (una strada ragionevole, considerati i tradizionali equilibri politici della città e la possibile contemporaneità con le elezioni europee).

A meno di improbabili e massicce «conversioni» degli elettori in questi anni, ci sono buone probabilità che in un’elezione dai contenuti nazionali l’Ulivo resti però minoritario rispetto alla CDL, come è sempre avvenuto nell’ultimo decennio, tranne quando l’offerta della CDL si è disunita (con la Lega Nord che correva da sola). Per queste ragioni, e altre connesse alla natura della sua leadership, è probabile poi che la CDL scelga ancora di connotare la competizione in senso fortemente nazionale. Per l’Ulivo esiste quindi un potenziale rischio di caricare eccessivamente di aspettative questa tornata e, in caso di successo meno che pieno (ad esempio con la lista unica che rende un po’ meno del previsto, o con Guazzaloca che viene rieletto a Bologna, come sinora è capitato a tutti i sindaci delle grandi città eletti direttamente), di incrinare l’immagine di forza vincente (o almeno non perdente) costruita negli ultimi anni, anche sfruttando le difficoltà e gli errori del governo Berlusconi.14

Non è escluso che per l’Ulivo possa essere saggio prendere in considerazione l’ipotesi di connotare il voto anche in senso locale e solo in seguito, una volta che questo abbia portato a un buon numero di successi significativi, esibirne il carattere sistematico a livello nazionale. Per bilanciare i rischi connessi agli inevitabili connotati nazionali del voto, insomma, potrebbe essere opportuno cercare una connotazione il più possibile locale sia nella scelta dei candidati per le europee sia, soprattutto, nelle numerose elezioni comunali e provinciali. Si tratta di un percorso non semplice (a cominciare dal quesito su se e come riproporre a livello locale la «lista unica» dell’Ulivo). Il fatto che cercare di nazionalizzare i contenuti del voto abbia raramente portato a conquiste di voti in elezioni locali sembrerebbe però indicare che la scelta di deenfatizzare il contenuto nazionale del voto è certamente prudente e probabilmente sensata. Ci si può chiedere se il fatto di averla saggiamente seguita negli ultimi due anni (ottenendo una vittoria di misura nel 2002 e un successo più rotondo nel 2003) sia stato frutto di una scelta consapevole dell’Ulivo o solo l’effetto fortunato della mancanza di leadership nazionale di cui gode (nel voto locale) questa coalizione. Quello che è certo è che in questi anni si è visto che le elezioni che precedono le politiche hanno un ruolo molto rilevante nell’attribuire alle forze in campo le etichette di favorito o di potenziale sconfitto. Vi è un complesso gioco di influenze fra il livello della politica nazionale e quello delle altre elezioni, siano esse europee oppure sub-nazionali, così come fra le aspettative di attori e osservatori e le varie letture che possono essere date ai risultati. Si può correre con o senza il peso del pronostico, ma sarebbe insensato correre allo stesso modo in entrambe le circostanze. Anche di questo, e di come in linea di massima nazionalizzare la contesa implichi puntare su di essa una posta più alta, è utile essere consapevoli.

 

 

Bibliografia

1 Per la descrizione dei diversi sistemi elettorali (proporzionale alle europee, con elezione diretta e premi di maggioranza alle regionali, provinciali e comunali, che si differenziano fra loro per il turno unico o doppio, l’espressione o meno del voto di preferenza e vari altri aspetti) si vedano: sulle elezioni regionali R. D’Alimonte, Il sistema elettorale: grandi premi e piccole soglie, in A. Chiaramonte e D’Alimonte (a cura di), Il maggioritario regionale, Il Mulino, Bologna 2000, pp. 11-34; sulle provinciali e comunali S. Vassallo, Sistemi elettorali, in L. Vandelli, T. Tessaro e S. Vassallo, Organi e sistema elettorale, Maggioli, Rimini 2001, pp. 717-810; sulle comunali: A. Di Virgilio, Elezioni locali e destrutturazione partitica. La nuova legge alla prova, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», 1/1994, pp. 107-165; G. Baldini e G. Legnante, Città al voto. I sindaci e le elezioni comunali, Il Mulino, Bologna 2000.

2 Sul voto europeo del 1999 si veda P. Natale, Gli italiani e il voto europeo: molte conferme, poche smentite, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», 3/1999, pp. 547-571.

3 Chiaramonte e D’Alimonte (a cura di), Il maggioritario regionale, cit.; Baldini e S. Vassallo, Le regioni alla ricerca di una nuova identità istituzionale, in M. Caciagli e A. Zuckermann, Politica in Italia 2001, Il Mulino, Bologna 2001, pp. 127-145; D. Tuorto, La personalizzazione del voto nelle elezioni regionali: il caso del Friuli-Venezia Giulia, in «Il Mulino», 4/2003, pp. 708-712.

4 Baldini e Legnante, Città al voto, cit.; Legnante, Personalizzazione della politica e comportamento elettorale. Con una ricerca sulle elezioni comunali, in «Quaderni di Scienza Politica», 3/1999, pp. 395- 487; Baldini, Eleggere i sindaci, dieci anni dopo, in «Il Mulino», 4/2002, pp. 658-667. Nelle elezioni provinciali, anche a causa della scarsa rilevanza e visibilità di questo livello di governo, il ruolo dei fattori «non partitici» è rimasto invece più limitato tanto nelle candidature quanto nel voto.

5 Baldini, P. Corbetta e Vassallo, La sconfitta inattesa. Come e perché la sinistra ha perso a Bologna, Il Mulino, Bologna, 2000.

6 Legnante e Corbetta, Cambiamento politico e stabilità elettorale, in «Il Mulino», 3/2000, pp. 513-526.

7 P. Segatti, Il “metodo Illy”: le ragioni del voto in Friuli-Venezia Giulia, in «Italianieuropei», 3/2003, pp. 37-48.

8 Legnante, Le elezioni locali 2003 e la sconfitta (prima locale, poi nazionale) della Casa delle libertà, in V. Della Sala e S. Fabbrini, Politica in Italia 2004, Il Mulino, Bologna 2004, in corso di pubblicazione.

9 P. Corbetta e A. Parisi, La specificità del voto amministrativo, in A. Parisi (a cura di), Luoghi e misure della politica, Il Mulino, Bologna 1984, pp. 21-68.

10 Parisi, Studiare il presente rispettare la complessità, in Parisi (a cura di), Luoghi e misure della politica, cit., pp. 9-18.

11 Ricordandosi ad esempio che nelle 2001 la CDL vinse di solo 1,6 punti percentuali, con un distribuzione delle forze molto stabile in tutto il decennio precedente e senza che nella campagna elettorale Berlusconi (la cui operazione migliore era consistita nel ritorno della Lega Nord nell’alleanza di centrodestra) fosse stato capace di «affascinare» e convertire quote significative di elettori che non l’avevano votato in precedenza.

12 Legnante e Corbetta, Cambiamento politico e stabilità elettorale, cit.

13 Segatti, Il “metodo Illy”, cit.

14 Natale, Berlusconi e il consenso infedele, in «Italianieuropei», 4/2003, pp. 33-46.