In Cile tira aria nuova

Written by Marcelo Contreras Sunday, 02 March 2008 20:19 Print
Come si spiega che in Cile, un paese con una società tradizionalmente maschilista e quanto mai conservatrice, non solo una donna, ma addirittura una donna separata, non credente e socialista sia divenuta la prima donna capace di espugnare la presidenza della Repubblica?
Come si spiega che in Cile, un paese con una società tradizionalmente maschilista e quanto mai conservatrice, non solo una donna, ma addirittura una donna separata, non credente e socialista sia divenuta la prima donna capace di espugnare la presidenza della Repubblica?In primo luogo, bisogna considerare il fatto che la società cilena è in realtà molto meno conservatrice di quanto non mostrino i mezzi di comunicazione e i suoi stessi ambienti elitari. Non è un caso che Salvador Allende sia stato eletto presidente, oltre trentacinque anni fa, con una maggioranza relativa e che il Cile abbia avuto il Partito Comunista più importante e influente della regione. O che la storica alleanza fra socialisti e comunisti abbia avuto un peso così ingente nella storia politica del paese. O che la Democrazia Cristiana cilena, a differenza delle sue omologhe europee o latinoamericane, si riconosca come forza popolare e faccia parte di un’alleanza di centrosinistra. Lo stesso Partito Socialista, nelle cui fila milita la presidente del Cile, è stata l’unica compagine di sinistra in America Latina a rendersi protagonista della transizione, vivendo in uno stato di proscrizione e clandestinità, per poi convertirsi in quella che è stata una delle forze di governo degli ultimi sedici anni. L’elezione di Ricardo Lagos, il primo presidente socialista dopo il rovesciamento del governo di Salvador Allende, dimostra la forza del pensiero di sinistra nel Cile del dopo Pinochet.Né sono irrilevanti, al fine di spiegare questa presupposta «anomalia» rappresentata dall’elezione di Michelle Bachelet, i cambiamenti e le trasformazioni profonde indotte dall’attuale alleanza di governo, che è uscita vincitrice da ogni singola elezione democratica tenutasi a partire dal 1989. Il Cile e la società cilena hanno vissuto mutamenti assai profondi, non solo dal punto di vista dello sviluppo economico (il paese ha più che raddoppiato il proprio reddito pro capite negli ultimi quindici anni) o sociale (in questi anni il Cile ha ridotto di oltre la metà il proprio livello di povertà, passando dal 40% a poco più del 18%, secondo l’ultimo studio ufficiale del 2002, e migliorando la totalità dei propri indici sociali), ma anche dal punto di vista dei valori e della cittadinanza. Una cittadinanza che oggi ha preso le redini di se stessa e assunto la consapevolezza dei propri diritti.Nonostante il fatto che nelle ultime elezioni i suffragi ottenuti dai candidati di destra abbiano impedito sia a Ricardo Lagos che a Michelle Bachelet di essere eletti al primo turno, la destra non rappresenta ancora una vera e propria alternativa come forza di governo. Trascina ancora il gravoso fardello del suo compromesso con il regime militare, dal quale non ha saputo svincolarsi, a dispetto del tempo trascorso.Michelle Bachelet è l’erede legittima di Ricardo Lagos. Fu Lagos a nominarla ministro della salute nel suo primo gabinetto, e a mettere in rilievo la sua figura imponendole perentoriamente una scadenza entro la quale porre fine alle file di pazienti che aspettavano di essere accuditi di fronte agli ambulatori per l’assistenza sanitaria primaria, suscitando così forte empatia e solidarietà nei confronti della signora ministro. Da quella posizione passò al ministero della difesa. Un azzardo su tutta la linea. Non solo per il fatto di essere donna e per di più socialista, ma soprattutto per la sua condizione personale di vittima della repressione durante il regime militare e di figlia di uno dei pochi generali costituzionalisti – che pagarono con il carcere la propria fedeltà alla Costituzione – che morì in prigione in circostanze quanto mai oscure. In entrambe le cariche ministeriali Michelle Bachelet ha dato prova di affidabilità e inclinazione alla comprensione del prossimo, qualità che la proiettarono sulla scena come la migliore alternativa per rilanciare l’attuale coalizione di centrosinistra che, alla fine del mandato di governo in corso, avrà compiuto vent’anni di permanenza al potere.Il fatto stesso che due donne, Michelle Bachelet e Soledad Alvear, entrambe ministre di Ricardo Lagos, siano divenute le principali figure politiche del paese e le candidate più serie alla presidenza, dimostra il grande successo del governo precedente e il vasto appoggio popolare di cui godeva al termine del proprio mandato.Non sarebbe, tuttavia, giusto tentare di spiegare il cosiddetto «fenomeno Bachelet» solo chiamando in causa i successi del governo precedente o la congiuntura storica con la quale ha coinciso. Michelle Bachelet, oltre ai pregiudizi scaturiti dalla sua condizione di donna, ha dovuto far fronte alla dura concorrenza della candidata della Democrazia Cristiana, Soledad Alvear. Una vera e propria campagna in stile «primarie », il cui esito costrinse la candidata democristiana a rassegnarsi di fronte all’evidenza, messa in luce dai sondaggi d’opinione, che davano Michelle Bachelet saldamente in testa nelle preferenze dell’elettorato.Michelle Bachelet è una donna dalla simpatia travolgente. Questo traspare chiaramente dalle sue apparizioni televisive, così come dalle occasioni di contatto con la gente. Inoltre ha carattere, nonostante la destra abbia tentato, nel corso della passata campagna elettorale, di farla passare per debole, poco risoluta e priva di senso del comando. La sua è semmai una leadership di tipo nuovo, quasi agli antipodi con quella pugnace di Ricardo Lagos. Una leadership più protettiva, di prossimità, persino materna, ma ugualmente ferma al momento di prendere decisioni, come hanno potuto toccare con mano tanto i partiti della sua coalizione quanto il paese intero durante questi dieci mesi di governo. Una guida popolare, che entra in contatto con la gente, soprattutto con i più poveri e i meno abbienti, che trasmette fiducia e irradia credibilità. Una figura di sinistra, contrassegnata da un passato traumatico, metabolizzato senza rancori ma certo con forti convinzioni.Per quanto si tratti di un governo di continuità rispetto alle amministrazioni precedenti, la presidenza di Michelle Bachelet rappresenta un’innovazione assoluta per gli ultimi quindici anni e reca la promessa di cambiamenti profondi per il paese. Sospinta dal suo essere donna e dalla sua ossessione per le pari opportunità, ha plasmato un gabinetto paritario e ha tentato di estendere tale modello all’intero governo.Difficilmente sarà possibile tornare sui propri passi in questo processo di coinvolgimento delle donne nella vita pubblica, anche per il radicale ricambio delle elite al potere, il cui rinnovamento ha rappresentato una vera sfida dopo tre amministrazioni di coalizione, nelle quali molte figure di dirigenti, tanto tecnici che politici, si erano alternati a rotazione sulle varie poltrone. Al momento della designazione del proprio gabinetto di governo Michelle Bachelet ha preferito optare per figure nuove e poco conosciute, pur preoccupandosi di mantenere gli equilibri politici tipici di un governo di coalizione. La generazione degli anni Sessanta, e anche quelle precedenti, aveva già avuto e colto la propria «seconda opportunità» con Patricio Aylwin, Eduardo Frey e Ricardo Lagos, e per quanto non sia da escludere che qualcuno di questi possa svolgere un ruolo da protagonista in avvenire, pare evidente che il futuro appartiene alle nuove generazioni. Ai figli della democrazia.Emerge però anche la volontà di impostare un nuovo stile di governo. Meno partitocratrico e un po’ più popolare. Il governo Bachelet è un governo politico, sostenuto da una coalizione di centrosinistra che lo ha portato al potere e che lo appoggia con la propria maggioranza parlamentare. Allo stesso tempo però è caratterizzato da una maggior apertura verso la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini nel processo decisionale, come si evince dalla costituzione dei comitati consultivi presidenziali, destinati a dibattere questioni di rilievo, quali la riforma dell’istruzione o il sistema previdenziale. Tali comitati vedono la partecipazione dei rappresentanti delle diverse correnti politiche, degli esperti e degli esponenti della società civile e hanno lo scopo di discutere ed elaborare proposte che riflettano i consensi e sottolineino i veri e propri punti di dissenso. La sfida raccolta dall’attuale governo in questo campo equivale ad aprire canali istituzionali alla partecipazione dei cittadini. Nel suo primo messaggio alla nazione, il 21 maggio scorso, Michelle Bachelet ha fissato le priorità del proprio governo e tracciato la propria rotta. Ribadendo un elemento cruciale, al quale ha accordato priorità fin dal primo momento del suo mandato così come nel corso della sua campagna presidenziale, la presidente ha messo l’accento sull’uguaglianza tra generi e sulla lotta all’esclusione in tutte le sue forme. Ponendo in rilievo l’aspetto sociale, ha definito quattro assi, o priorità, volti a superare le esclusioni e ad edificare una società sempre più ospitale e inclusiva: il sistema previdenziale (il Cile ha un sistema previdenziale basato sulla capitalizzazione individuale, che esclude le fasce a basso reddito, con impieghi a termine e basso potenziale di risparmio); la copertura nell’età prescolare (che al momento non supera il 20% dei bambini) e una più elevata qualità dell’istruzione elementare e media, così come un incremento delle borse di studio per l’istruzione superiore (il paese ha ampliato la copertura scolastica, ma la qualità dell’istruzione pubblica rimane scarsa). La terza trasformazione annunciata dalla presidente è quella inerente all’innovazione finalizzata allo sviluppo, nonché ad una politica di riqualificazione degli ambienti urbani, ma anche ad alloggi sociali più ampi e di migliore qualità.Ai quattro obiettivi enumerati dalla presidente nel suo primo messaggio alla nazione si aggiungono altre quattro aree nelle quali ha promesso di realizzare grandi riforme durante il proprio mandato. La prima riguarda la creazione di un sistema di protezione sociale che, come lei stessa ha precisato, «accompagni l’individuo per tutto il suo ciclo vitale, proteggendolo fin dai suoi primi passi, assicurandogli le opportunità di ricevere un’istruzione e avere un lavoro, coprendo i rischi di malattia e invalidità e garantendogli una vecchiaia dignitosa». La costruzione di questo sistema di protezione sociale, con tutto ciò che implica nel campo dell’occupazione, della salute, degli alloggi e della previdenza, che potrebbe non essere una novità per l’Europa, rappresenta invece un enorme passo avanti per un paese che per molti aspetti, nonostante i suoi successi, continua a versare in una condizione di sottosviluppo. La costituzione di tale sistema di protezione sociale è stato definito dal capo di Stato una priorità per il proprio governo.La seconda area prioritaria indicata dalla presidente è quella che punta a un Cile più prospero, mirato all’innovazione e alla produttività. A tal fine Michelle Bachelet ha annunciato un ambizioso programma di investimenti pubblici nelle infrastrutture. Anche l’idea di trasformare il Cile in una potenza alimentare era emersa nel messaggio presidenziale, accompagnato dall’impegno da parte del suo governo a potenziare il settore (il secondo del paese, dopo quello minerario), che genera approssimativamente il 25% del PIL e occupa circa il 20% della forza lavoro. Una menzione speciale durante il suddetto messaggio presidenziale è stata dedicata dalla presidente alla questione delle risorse energetiche, di cui il paese è deficitario. La presidente ha affermato che il paese dovrà utilizzare tutte le risorse a sua disposizione per generare energia elettrica, ivi incluse quelle rinnovabili, quali le fonti idrauliche, eoliche e geotermiche, ed ha affermato che «il paese non può permettersi il lusso di non sfruttare queste risorse, soprattutto alla luce della situazione internazionale, caratterizzata da restrizioni e prezzi elevati».La terza priorità del governo Bachelet è «un Cile dove si viva meglio», e con questa espressione si intende alludere alla sicurezza dei cittadini, al sistema di trasporti sia nella capitale che nelle regioni, ad iniziative da intraprendere nel settore culturale, nonché alla ratifica della Convenzione per la protezione e la promozione della diversità culturale approvata dall’UNESCO. Infine, la prima carica eletta dello Stato ha affermato che la quarta priorità del suo governo è un Cile più integrato, con istituzioni democratiche di qualità. A tal fine ha preannunciato un progetto di riforma del peculiare sistema elettorale binominale, retaggio della Costituzione di Pinochet e configurato in modo tale da sostenere la seconda maggioranza (la quale deve ottenere il 34% dei voti in un determinato distretto o circoscrizione per ottenere uno dei due seggi in palio) a discapito delle frange minoritarie in parlamento (in proposito non ha mancato di fare riferimento alla scarsa rappresentanza femminile in parlamento). Anche il riconoscimento costituzionale delle popolazioni indigene è incluso in questa parte del programma presidenziale – quella cioè relativa a una maggiore integrazione del paese – ed è definito come un atto di riparazione storica, un imperativo etico, nonché il riconoscimento di una nazione costruita da molti popoli diversi.La presidente della Repubblica ha riservato nel suo discorso un posto speciale all’eccezionale situazione che il paese attraversa in questo momento, frutto dell’elevato prezzo del rame (il principale prodotto d’esportazione del Cile), che ha prodotto un utile considerevole – tanto da collocare il Cile nell’inusuale condizione di paese creditore, in ragione del suo basso debito estero – e ha aperto un arduo dibattito quanto al migliore impiego del suddetto eccedente. A tal proposito il capo di Stato ha asserito che la storia dell’America Latina e del Cile è costellata da fin troppi esempi di momenti buoni che sono stati mal amministrati e poi sfociati in crisi. Ha dunque richiamando tutti alla prudenza nella gestione di questa manna transitoria usando le entrate permanenti, risparmiando gli eccedenti congiunturali e attenendosi rigidamente alla regola del sopravanzo di bilancio (l’1% del PIL), conformemente alla linea generale tenuta dalle amministrazioni di coalizione degli ultimi anni. Michelle Bachelet nel corso di questi dieci mesi di governo è stata coerente con queste priorità: ha messo l’accento sulla protezione sociale (protezione dell’infanzia, riforma previdenziale e dell’istruzione), sui cosiddetti temi etici («la pillola del giorno dopo», distribuita gratuitamente presso i consultori pubblici sanitari alle adolescenti maggiori di quattordici anni), sulla riforma del sistema elettorale e, in modo speciale, sul tasso di crescita, che quest’anno si calcola attorno al 5%, con una previsione d’incremento che dovrebbe portarlo al 5,7% nel corso del prossimo anno.In verità, nonostante le buone notizie collegate al prezzo del rame (che per l’anno in corso promette eccedenze pari ad oltre dieci milioni di dollari americani e più del doppio per il prossimo anno, nel caso in cui dovessero essere mantenuti i livelli attuali) e seppure il Cile abbia sottoscritto numerosi trattati di libero scambio con Unione europea, Stati Uniti, Cina, Messico e Canada e altri siano in fase negoziale con India e Giappone, si registra una certa perdita di slancio del tasso di crescita, in gran parte giustificabile alla luce dell’elevato prezzo dei combustibili che il Cile è costretto ad importare. Capire come dare nuovo impulso alla crescita, approfittando del positivo livello del prezzo del rame e delle buone condizioni dell’economia mondiale, rappresenta una vera e propria sfida ed è al centro di un dibattito interno al paese. Il governo e le autorità economiche hanno optato per la prudenza, a dispetto del fatto che il bilancio programmatico del prossimo anno – il primo del nuovo governo ad essere sottoposto all’attenzione del parlamento – contempli un incremento dell’8,9%, che lo renderà di fatto il bilancio programmatico più ampio della storia recente del paese e, nel contempo, il più austero della regione.Michelle Bachelet ha dato prova di una solida capacità di guidare le attività di Stato e di gestire le relazioni internazionali, nonostante le divergenze e le tensioni in seno alla sua stessa coalizione, che è divisa in senso trasversale sulla questione dell’eventuale appoggio del Cile alla candidatura del Venezuela alla carica di membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il regime di Hugo Chavez, stigmatizzato come populista e tacciato di ingerenza nella regione, non è ben visto dalla destra e dalla stessa Democrazia Cristiana cilena. In ultima analisi, la decisione di astenersi, considerata come la presa di posizione con il minor costo politico interno, appare la scelta migliore a fronte dell’impossibilità di ottenere il quorum necessario a eleggere il Venezuela o il Guatemala, ossia i due paesi candidati a rappresentare la regione al Consiglio di sicurezza.Nello stesso modo, la presidente è riuscita a stabilire un ordine del giorno senza esclusioni con la Bolivia, per discutere un vasto programma bilaterale, che include la storica rivendicazione marittima del paese vicino, scaturita dalla perdita dell’accesso al mare nella guerra che nel 1879 vide il Cile scontrarsi con il Perù e, appunto, la Bolivia. Con questo dibattito senza «temi tabù» si esplicita tutta l’intenzione del governo di dirimere questa storica controversia.In ambito internazionale la presidente ha indicato che una delle priorità della sua politica sarà quella di avanzare sul cammino dell’integrazione della regione. Con occhio sempre e comunque attento alla Comunità sudamericana delle nazioni, il Cile partecipa in veste di paese associato al Mercosur e, sempre nella stessa veste, è appena entrato a far parte della Comunità andina delle nazioni (CAN), con il proposito dichiarato di dare impulso ad un iter di convergenza tra i due suddetti processi.Il bilancio di questi primi dieci mesi è di ottimo auspicio per la presidente Bachelet, che non solo è riuscita a far progredire il proprio programma sociale e i cosiddetti temi etici (non senza divergenze con la Chiesa cattolica), ma anche a contenere quelle richieste e pressioni sociali che sono inevitabili nei periodi di prosperità. I recenti accordi salariali con i lavoratori del settore sanitario e con il sindacato degli insegnanti sono molto importanti per mantenere il basso livello di conflitto sociale di cui il paese ha goduto negli ultimi quindici anni.Forse il problema irrisolto è quello rappresentato dalle mobilitazioni degli studenti della scuola secondaria, che manifestano la necessità di una maggiore qualità dell’istruzione pubblica ed esprimono una serie di rivendicazioni studentesche. Il governo ha ascoltato gli studenti ed ha accelerato la formazione di una commissione consultiva ad ampio spettro destinata allo studio di una nuova riforma. Tale misura non ha però del tutto mitigato le preoccupazioni e le pressioni degli ambienti studenteschi, che aspirano ad accelerare ulteriormente tale processo e a svolgere un ruolo di primo piano in seno alla riforma. Il governo ha affrontato con fermezza gli eccessi del movimento e ne ha richiamato i leader al senso di responsabilità, reiterando il proprio impegno a trovare una soluzione a questo problema non trascurabile per un paese dove si investono circa 60 dollari al mese per studente nel settore della pubblica istruzione, mentre nelle scuole private i genitori, o chi per loro, pagano rette di quasi 400 dollari americani al mese. «I cittadini dell’America Latina stanno perdendo la pazienza di fronte alle disuguaglianze» ha recentemente affermato il presidente della Banca mondiale. I segni che lo dimostrano emergono chiaramente non solo dalle esplosioni di violenza urbana a opera degli studenti, dalle cosiddette «sbarre scatenate» negli stadi o dai movimenti dei «senzaterra ». Si evincono anche da una certa «svolta a sinistra» osservabile nella regione, che spiega l’elezione di Ignacio Lula da Silva in Brasile, Tabaré Vasquez in Uruguay e della stessa Michelle Bachelet in Cile, ma che reca come contropartita l’affiorare nella regione di un nuovo populismo, concretizzatosi in Venezuela, Ecuador, Perù e in molti altri paesi latinoamericani. Anche questa è una sfida ineludibile per il governo di Michelle Bachelet.Quello di Michelle Bachelet è un governo che ha solo quattro anni di tempo (senza possibilità di rielezione immediata), grazie alla decisione dell’amministrazione precedente di accorciare il mandato. Un lasso di tempo oltremodo esiguo per realizzare l’ambizioso programma del governo. Per questa ragione l’agenda ufficiale appare sovraccarica, con tanti fronti sui quali operare simultaneamente. La presidente è perfettamente cosciente del tempo limitato a sua disposizione, ed è per questo che ha invitato i suoi ministri e collaboratori ad essere attivi e non reattivi di fronte ai problemi. Ad anticipare gli avvenimenti, a scendere in campo. A non temere la mobilitazione cittadina e cercare soluzioni: queste sono le consegne che ha diramato e alle quali ella stessa cerca di attenersi nel suo nutritissimo programma, nel quale si mescolano le sue uscite allo scoperto, i suoi incontri con la gente, le sue visite all’estero e la sua ferma conduzione delle cose di governo. Eppure nelle maglie serrate del suo programma, la presidente ha trovato il tempo di recarsi a «Villa Grimaldi», luogo di prigionia e tortura durante il regime militare, dove essa stessa e sua madre, Angela Jeria, furono detenute e soffrirono gli orrori della repressione. Lì ha incontrato i sopravvissuti e i familiari delle vittime, per ribadire il proprio impegno per i diritti umani e la sua aspirazione di continuare ad avanzare sul cammino della verità e della giustizia che, nonostante i progressi di questi ultimi anni, ancora è negata a tanti cittadini e cittadine cilene.Michelle Bachelet è già entrata nella storia del Cile dalla porta principale, divenendo la prima donna presidente. Il suo desiderio di costruire un sistema integrale di protezione sociale che accompagni gli individui dalla nascita alla vecchiaia, in una versione latinoamericana del cosiddetto welfare State (senza il quale il modello di economia sociale di mercato non è sostenibile), unito al promettente momento economico attraversato dal paese e alle proiezioni di crescita futura, fanno presagire un netto successo della sua amministrazione. Già da ora è chiaro che non si tratterà di una mera parentesi nella tradizione patriarcale che contraddistingue la storia del paese. Per mano di Michelle Bachelet le donne sono arrivate alla vita pubblica, e nella vita pubblica resteranno. Resteranno per conquistare nuovi spazi. Oggi si parla di quote rosa in parlamento. Sempre più donne occupano posti di lavoro e assumono responsabilità pubbliche. La stessa presidente ha chiamato le imprese private a percorrere il cammino verso l’uguaglianza di genere. Forse nel 2010 sarà un uomo a succedere a Michelle Bachelet alla presidenza.Ma questa eventualità è tutt’altro che scontata. La senatrice Soledad Alvear, attuale presidente del Partito Democratico Cristiano, continua la propria carriera, molto ben recepita nei sondaggio d’opinione. Nella stessa destra sta facendosi strada una nuova leadership al femminile. Non è che il Cile si stia incamminando verso un matriarcato. È che «tira un’aria nuova» nel paese, come direbbe la presidente Bachelet. Ma più che aria che profuma di donna, è aria che profuma di uguaglianza. Un lungo cammino, quello che ancora deve percorrere il nostro paese, e non solo per ottenere una vera e propria uguaglianza in materia di genere, ma anche di estrazione socioeconomica, etnia o religione. Ancora più importante è ridurre il divario nel campo del reddito, visto che il Cile continua ad essere uno dei paesi con la peggiore distribuzione del reddito di tutta la regione. E questa sì, che è una sfida ancora più grande.