Il futuro del Partito Laburista

Written by Patrick Diamond Sunday, 02 March 2008 20:02 Print
Il Partito Laburista britannico sta attualmente attraversando un periodo di agitazioni dopo oltre un decennio di stabilità, di armonia politica e di risultati positivi al governo. All’origine del successo di Tony Blair e del governo laburista ci sono tre vittorie elettorali consecutive, dopo un secolo durante il quale il partito conservatore era stato la forza dominante della politica britannica.

Il Partito Laburista britannico sta attualmente attraversando un periodo di agitazioni dopo oltre un decennio di stabilità, di armonia politica e di risultati positivi al governo. All’origine del successo di Tony Blair e del governo laburista ci sono tre vittorie elettorali consecutive, dopo un secolo durante il quale il partito conservatore era stato la forza dominante della politica britannica.

I risultati di Blair e dei laburisti sono stati sostenuti da un irresistibile progetto per il paese, noto comunemente come «Terza via» della socialdemocrazia, fondato sulle riforme costituzionali, la modernizzazione economica, una nuova enfasi sulla ridistribuzione e sulla giustizia sociale e la riscoperta del ruolo storico della Gran Bretagna come ponte fra l’Europa e l’America.

Il New Labour emerse negli anni Novanta, quando la sinistra riformatrice rivisitò la socialdemocrazia tradizionale in seguito al crollo, all’inizio degli anni Settanta, della riorganizzazione compiuta nel dopoguerra. Le ragioni addotte furono che le misure introdotte dopo il 1945 – la nazionalizzazione, la proprietà pubblica delle principali industrie, la gestione keynesiana della domanda, la pianificazione economica e il centralismo attuato da Whitehall – non erano più in grado di far fronte ai problemi della Gran Bretagna.

Da questa premessa derivarono una serie di ambiziosi progetti strategici per il Partito Laburista e per il paese: a) la sinistra in Gran Bretagna avrebbe dovuto offrire una concreta alternativa al thatcherismo, pur rimanendo ancorata al suo impegno verso i valori della socialdemocrazia; b) avrebbe dovuto armonizzare il tradizionale obiettivo della ridistribuzione con una strategia per la creazione di ricchezza in grado di migliorare la capacità produttiva dell’economia britannica; c) avrebbe dovuto riallacciare i legami con quegli elementi della tradizione progressista, specialmente il mutualismo e il socialismo comunitario, che si erano gradualmente infiacchiti nel corso del XX secolo; d) avrebbe dovuto riconsiderare il suo approccio verso lo stato centralista quale strumento adeguato per un governo socialdemocratico; e) infine, avrebbe dovuto ricostruire la società civile stipulando un nuovo contratto fra i cittadini e lo Stato, basato su responsabilità e doveri, così come diritti.

In quanto componenti fondamentali di un moderno partito di sinistra, ognuno di questi obiettivi era essenziale per la rinascita del Partito Laburista alla fine degli anni Novanta. Il New Labour di Blair rifiorì perché, come ha scritto David Miliband – ex policy chief, oggi ministro dell’ambiente – riuscì a dare una moderna espressione intellettuale ai principi fondamentali della giustizia sociale. Secondo questa concezione di politica progressista ognuno deve avere eguali diritti legali e politici, il soddisfacimento dei bisogni primari deve essere il principio fondamentale a cui deve corrispondere, come contropartita, l’assunzione di responsabilità da parte del cittadino, la politica deve informarsi al criterio delle pari opportunità e l’ineguaglianza che non sia giustificata dal merito deve essere ridotta.

Il New Labour fu, dunque, forgiato con attenzione su principi e analisi. Il successo in politica dipende sia da un’ideologia coerente sia dall’elaborazione di politiche efficaci, e il Partito Laburista di Blair è stato in grado, negli ultimi dieci anni, di produrre entrambe, riducendo l’opposizione del partito conservatore ad una vera e propria irrilevanza.

Oggi è quasi sicuro che Blair si dimetterà da primo ministro entro l’estate del prossimo anno. In genere, i primi ministri britannici rassegnano le proprie dimissioni per una delle seguenti ragioni: una sconfitta elettorale, problemi di salute, mancanza di sostegno all’interno del partito. A fronte delle crescenti pressioni affinché egli esprima chiaramente le sue intenzioni future, Blair si dimetterà per una quarta ragione: avendo annunciato, nel 2004, che in caso di un terzo mandato egli non avrebbe più ricoperto la carica di leader in altre elezioni nazionali, la sua autorità si è drasticamente indebolita.

Il crollo della popolarità del primo ministro, il peggiorare della situazione in Iraq e la rinnovata capacità dei conservatori di rappresentare un serio candidato alla conquista del potere hanno suscitato un’ondata di pressioni affinché Blair abbandonasse la scena. Il fedele sostegno di Blair al presidente Bush in occasione della recente crisi in Libano e il suo rifiuto di invocare il cessate il fuoco da parte di Israele hanno condotto a uno spostamento di equilibri all’interno del suo stesso partito che ha infine portato lo scorso settembre all’annuncio che si dimetterà entro un anno. Il più probabile successore di Blair è il ministro delle finanze Gordon Brown, il quale, nonostante abbia avuto un ruolo centrale nel progetto di modernizzazione del New Labour negli anni Novanta, è considerato un tradizionale socialdemocratico da una buona parte del Partito Laburista e dai sindacati. Brown ha trasformato il Partito Laburista da un partito «tassa e spendi» vecchio stile a uno impegnato nella ricerca della stabilità fiscale e con una robusta reputazione di competenza economica.

Ciononostante, oggi il grande dibattito intorno al laburismo non riguarda unicamente le personalità politiche. Il problema è anche cosa fare dopo dieci anni al potere. Molte riforme sono state realizzate o sono sul punto di essere completate. L’agenda del 1997 – investimenti pubblici nell’istruzione e nel servizio sanitario nazionale, stabilità economica prima dei tagli alle tasse, devolution in Galles e Scozia, e forte impegno nell’integrazione europea – ha fatto il suo corso.

Geoff Mulgan, ex head of policy del gabinetto del primo ministro, recentemente ha dichiarato che, per quanto difficile possa sembrare, è possibile rinnovarsi dopo dieci anni al potere. A tal fine sarebbe necessario «internalizzare» tre condizioni necessarie al rinnovamento: riconoscere i propri errori, elaborare un sistema di nuove idee e individuare leader che siano disposti a utilizzarlo.

La globalizzazione sta ponendo nuove sfide a questo processo di rinnovamento, ma non è ancora chiaro come il Partito Laburista abbia intenzione di affrontarle. La prima di tali sfide riguarda il modo in cui le nuove industrie e i settori di crescita debbano essere sviluppati in un sistema globalmente competitivo. La seconda riguarda le misure necessarie per contenere la crescita delle disuguaglianze fra i salari, gli stipendi e le ricchezze provocata dal motore dell’economia globale. Un altro problema riguarda il modo in cui i governi debbono affrontare le nuove minacce alla sicurezza personale e nazionale, generate in particolar modo dall’aumento del terrorismo internazionale e dalle migrazioni attraverso i confini nazionali. Infine, è necessario trovare il modo per conciliare l’impegno della Gran Bretagna verso l’alleanza transatlantica con gli Stati Uniti con l’attuale processo di integrazione europea e di allargamento. Queste sfide che la Gran Bretagna deve affrontare vanno considerate in un contesto politico globale in costante mutamento.

In primo luogo, l’11 settembre ha drammaticamente trasformato il sistema internazionale del secondo dopoguerra e le istituzioni multilaterali che lo avevano sostenuto. Questo cambiamento ha provocato l’emergere di alcune istanze straordinarie: costruire un’Unione europea allargata che funzioni in maniera costruttiva, gestire le relazioni fra Europa e Stati Uniti, considerare la sempre crescente importanza di Cina e India, affrontare il problema dei network criminali internazionali, degli «Stati falliti» e delle minacce potenziali alla sicurezza energetica. L’Occidente deve anche cimentarsi con gli effetti dell’alienazione culturale e con la necessità di dialogare con il mondo islamico. In secondo luogo, è chiaro che queste nuove fonti di insicurezza stanno destabilizzando la base proletaria dei partiti socialdemocratici in molti paesi industrializzati. Questa insicurezza riunisce questioni quali il crimine, il comportamento antisociale, la concessione del diritto d’asilo, l’immigrazione e l’identità nazionale. Essa riflette anche tensioni derivanti dalla nuova distribuzione del lavoro nell’economia globale. Le destre populiste stanno attivamente sfruttando proprio queste eccezionali fonti di tensione in tutta Europa.

In terzo luogo, la maggior parte dei paesi industrializzati sta attraversando ulteriori sconvolgimenti economici. Sebbene il tasso di disoccupazione sia basso in alcuni degli Stati membri dell’Unione europea, la crescita dell’occupazione è rallentata nell’ultimo decennio. Oggi in Europa ci sono oltre venti milioni di disoccupati. L’occupazione è soggetta a crescenti pressioni dovute all’emergere di nuove esigenze da parte dei consumatori e di forze competitive la cui nascita non era stata prevista. Le aziende di servizi fanno un crescente uso di tecnologie informatiche e le industrie di prodotti high tech costituiscono il settore maggiormente in crescita del commercio mondiale. Molte delle piccole e medie imprese lottano per stare al passo con i cambiamenti. Infine, l’economia basata sulla conoscenza aumenta in modo significativo i rischi della polarizzazione sociale. Le qualifiche di base necessarie per ottenere un lavoro e un reddito stabile stanno diventando sempre più specialistiche. Entro il 2010, il 90% dei nuovi posti di lavoro in Europa richiederà delle competenze a livello di laurea. I lavoratori delle generazioni precedenti con qualifiche professionali limitate potevano ancora contare su posti di lavoro stabili e pagati decentemente. Oggi, invece, esiste il rischio che cittadini senza qualifiche adeguate siano relegati in una condizione di lavoratori adulti permanentemente sull’orlo della disoccupazione, con salari bassi, alle prese con l’insicurezza del lavoro e con la prospettiva di una probabile povertà durante la vecchiaia.

In particolare, le caratteristiche della globalizzazione sono state oggetto di un feroce dibattito prima e dopo l’11 settembre. Alcuni hanno messo in dubbio che la globalizzazione rappresenti qualcosa di più di un alibi retorico per il «ridimensionamento» delle corporation. Eppure in pochi potrebbero negare in modo credibile l’influenza dei mercati finanziari globali, dello sviluppo dei mezzi di comunicazione elettronici, e delle transizioni geopolitiche scatenate dalla fine della guerra fredda.

Il sociologo Anthony Giddens sostiene che la globalizzazione è un «processo assolutamente contraddittorio» poiché «in alcuni posti determina il prodursi di nuove forme di solidarietà, mentre in altri le distrugge ». L’obiettivo è consolidare le forme di solidarietà mentre le forze globali mettono in pericolo la coesione delle nostre società e «consorziare» le sovranità per cercare soluzioni internazionali a problemi condivisi. Naturalmente queste non sono soluzioni facili da elaborare per il centrosinistra. Ognuna di queste sfide crea notevoli tensioni per i socialdemocratici e la scelta fra globalizzazione e sicurezza provoca dolorosi dilemmi. Da una parte, ci sono coloro i quali sostengono che in futuro la globalizzazione renderà insostenibili le tradizionali istituzioni del welfare e l’intervento statale, in quanto essi logoreranno la vitalità economica e la competitività. Dall’altra parte, invece, si trovano coloro i quali ritengono che la sicurezza imponga ai governi di resistere alla globalizzazione, di proteggere la popolazione dai cambiamenti economici e di ritirarsi da un’attiva politica estera. Nessuna delle direzioni indicate è anche solo lontanamente praticabile in un mondo caratterizzato dall’apertura e dall’interdipendenza, e dove esiste allo stesso tempo un’impellente desiderio di sicurezza e di senso di appartenenza. Se la sinistra vuole vincere in futuro, deve individuare una strategia irresistibile che sia in grado di riconciliare la globalizzazione con la sicurezza. Sono indubbiamente queste le questioni che il Partito Laburista deve affrontare se desidera continuare a essere un partito di governo di successo nei prossimi venti anni, a prescindere da come venga risolto il problema della leadership.