Energia nucleare. La promessa dell'elettrificazione dei bilanci energetici

Written by Anne Gaudard Intervista Pierre-René Bauquis Sunday, 02 March 2008 19:43 Print
Di fronte agli imperativi posti dall’inevitabile declino nella produzione mondiale di idrocarburi e dai cambiamenti climatici, il professor Pierre-René Bauquis ritiene che sia urgente avanzare lungo la strada del «nucleare durevole». La soluzione più promettente per il 2030 è l’elettrificazione dei bilanci energetici. È il solo modo di rispondere al doppio vincolo attuale: limitazione delle emissioni di gas a effetto serra e picco della produzione di petrolio e gas. Un’opzione che non esclude, tuttavia, gli altri due necessari pilastri di una politica energetica duratura: il risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Domanda: Qual è la sua visione dell’Europa energetica del 2030?

PIERRE-RENÉ BAUQUIS: L’Europa energetica non esiste, è una cacofonia. I paesi sono in disaccordo su un aspetto essenziale: il futuro del nucleare. L’Unione europea è divisa tra paesi che hanno deciso di uscirne, come la Germania, la Svezia o il Belgio, altri che hanno deciso di non svilupparlo, come l’Italia o la Spagna, e quelli che hanno un programma di sviluppo del nucleare, come la Francia o la Finlandia. Impossibile sapere, oggi, come evolveranno le opinioni di qui al 2030. Lo scenario più probabile ai miei occhi è quello – a meno di un incidente – di un cambiamento di strategia in favore dell’atomo. In mancanza di un’alternativa credibile.

D In mancanza di un’alternativa credibile?

P.R.B. Di fronte a grandi problemi energetici – il picco di produzione degli idrocarburi e il cambiamento climatico – in realtà le risposte sono: consumare di meno e sviluppare energie non derivate dal carbonio, vale a dire da fonti rinnovabili o dal nucleare. Ora, il potenziale delle energie rinnovabili esclusa la grande idraulica (biomassa, energia eolica, solare, geotermia, minidraulica, correnti marine ecc.) è limitato: da circa l’1% di oggi, queste energie non potranno andare oltre il 5% dell’approvvigionamento energetico mondiale nel 2030. La grande energia idraulica, poi, ha sfortunatamente raggiunto l’apogeo in Europa.

I risparmi energetici sono necessari, ma anch’essi insufficienti. Rimane il nucleare. Anche se è la soluzione più incerta sul piano politico, esso offre il maggior potenziale sotto forma di elettricità in un primo tempo, e in un secondo tempo, ossia dopo il 2030, direttamente sotto forma termica o sotto forma di idrogeno. E questo malgrado i ben noti inconvenienti, come la proliferazione militare o il rischio di incidenti. Quanto alle scorie, il problema, ai miei occhi, è secondario.

D Quando parla di nucleare «calorifico», che cosa implica questo in termini di sviluppo da qui al 2030?

P.R.B. Alludo al riscaldamento urbano, ad esempio. Invece di riscaldare l’acqua per trasformarla in vapore che fa girare una turbina così da produrre elettricità, questa soluzione invia direttamente il vapore nelle reti di riscaldamento urbane. Questa produzione di energia, però, passa attraverso centrali nucleari specializzate. Non vedo nessuna obiezione di principio alla loro costruzione.

D Se non che ciò significa centrali nelle immediate vicinanze delle città…

P.R.B. Sì, ma possono essere di piccole dimensioni, adatte a questo ruolo.

D Lei minimizza il rischio scorie?

P.R.B. Come geologo, considero questo un rischio di second’ordine rispetto a quelli connessi ai guasti, al terrorismo o alla guerra. Per questo è urgente progredire in direzione di quello che chiamo un nucleare durevole. Ciò significa pensare a centrali in cui la reazione nucleare non possa sfuggire al controllo, che abbiano un basso tasso di scorie, che non possano essere utilizzate per la produzione di materie prime militari, che richiedano, così come i surgeneratori, pochissime materie prime. Tali centrali non esistono ancora e la «quarta generazione» di centrali nucleari risponde solo in parte a queste esigenze tecniche. In un primo tempo, la massima priorità è dunque quella di accelerare il calendario di realizzazione di centrali della quarta generazione. L’altra strada da seguire è quella della fusione: l’importante, in questo campo, è rispettare i calendari del programma Iter, e anzi accelerare il processo aggiungendo finanziamenti. Nel 2030 dovremo assolutamente avere le prime risposte alla domanda se la strada della fusione sia o meno percorribile. Quanto al suo utilizzo per la produzione di elettricità, le prime risposte non si avranno prima del 2050 e a prezzo di investimenti ancora maggiori rispetto a quelli della prima fase (10 miliardi di euro). Ciò significa, in conclusione, che l’utilizzo pratico e su larga scala della fusione, se questa è possibile, non potrà darsi prima della fine del secolo.

D Il che comporta enormi investimenti...

P.R.B. Sì e no… In rapporto alle somme investite ogni anno dall’industria petrolifera o dai produttori di elettricità, cinque prototipi di quarta generazione – da 200 MW a 300 MW di potenza, il cui costo è nell’ordine di un miliardo di euro per prototipo – non sono esageratamente costosi, tenendo conto dell’ampiezza del problema da risolvere.

D Chi paga?

P.R.B. Questi prototipi potrebbero essere cofinanziati dai centri di ricerca statali e dalle aziende elettriche. Non dimentichiamolo: è urgente. I governi devono gestire correttamente le priorità, anche a costo di far passare l’energia davanti ad altre spese necessarie.

D Secondo lei il futuro del petrolio è il nucleare: lei vede le compagnie petrolifere avventurarsi su questo terreno?

P.R.B. Lo hanno già fatto. Negli anni Sessanta, Agip, Esso e Shell erano fortemente presenti nel nucleare. Altre hanno seguito il loro esempio dopo il primo shock petrolifero investendo a monte, nelle miniere. Sono poche tuttavia quelle che hanno mantenuto l’impegno nel nucleare, a parte Total con la sua partecipazione dell’1% in Areva. Torneranno ad impegnarsi? Non lo so, perché le società petrolifere dovranno investire pesantemente nel loro settore. Gli investimenti per lo sviluppo del nucleare richiederanno somme considerevoli con tempi di rientro piuttosto lunghi. Così, per la fase immediata dei prossimi venti o trent’anni, gli Stati dovranno farsi carico dell’essenziale dei costi di sviluppo della quarta generazione. In compenso, il rilancio del nucleare a partire dalle centrali per come sappiamo costruirle oggi, come l’EPR (reattore europeo ad acqua pressurizzata, o reattore di terza generazione) o i suoi concorrenti americani, si farà attraverso i privati, attraverso le aziende elettriche. E tenuto conto dell’economia di queste centrali, non è necessario nessun contributo statale, ad eccezione di garanzie sui prestiti e di coperture assicurative. Resta il fatto che si tratta anche in questo caso di procedere in parallelo.

D Ma le opinioni pubbliche non sono pronte a veder spuntare nuove centrali. A quali argomenti ricorrere?

P.R.B. Vent’anni fa, in occasione del grande dibattito sul nucleare, il problema climatico non esisteva o era appena individuato. Chi – e in particolare gli ecologisti – ha visto il film di Al Gore «Una verità scomoda » non può restare antinuclearista! I rischi geopolitici legati agli idrocarburi, peraltro, sono più acuti oggi rispetto agli anni Ottanta. Non possiamo risolvere il nostro problema energetico solo con i risparmi energetici e con le fonti rinnovabili.

D La soluzione che lei propone potrebbe riassumersi nel concetto «il tutto elettrico»…

P.R.B. Per risolvere il problema dei picchi di produzione e del cambiamento climatico, al di là dei risparmi energetici, la via più promettente è quella dell’elettrificazione dei bilanci energetici, soprattutto nei paesi europei e negli Stati Uniti. Si tratta di sostituire le energie fossili con l’elettricità prodotta senza emissioni di gas a effetto serra (fonti rinnovabili e nucleari). I due grandi campi di applicazione sono l’edilizia (riscaldamento e climatizzazione) e i trasporti. Rispetto all’edilizia, inoltre, dobbiamo migliorare il bilancio energetico con un migliore isolamento, con l’utilizzo di pompe di calore ecc.

D È davvero possibile rinunciare alle energie fossili nei trasporti?

P.R.B. No, perché gli idrocarburi hanno una netta superiorità tecnica ed economica rispetto a qualsiasi altra forma di carburante. In compenso, dobbiamo arrivare a ridurre fortemente il consumo e dunque porre l’accento sui veicoli ibridi ricaricabili dalla rete per arrivare a un’autonomia della batteria fino a 50-60 km. Dovrebbe così essere possibile ridurre di quattro volte il consumo di benzina o di gasolio dei veicoli. L’idea dei veicoli ibridi ricaricabili è complementare allo sviluppo del nucleare, perché consente di accumulare riserve di elettricità, e in particolare la corrente prodotta nelle ore vuote. Una cifra mi pare essenziale: la potenza installata sotto i cofani delle automobili in Francia equivale a cento volte la potenza di EDF (Électricité de France, la principale azienda elettrica francese). Perfino se le automobili sono in movimento, in media, per non più del 3% del tempo, vi si può accumulare molta energia.

D Che cosa implica la sua soluzione in termini di produzione?

P.R.B. Prendiamo l’esempio della Francia. La politica ufficiale di lotta contro l’effetto serra è chiamata «Fattore 4» , ossia una riduzione di quattro volte delle emissioni di CO2 con l’orizzonte del 2050. Il solo modo per riuscirci è l’elettrificazione accelerata del bilancio energetico francese, come ho sostenuto recentemente.1 Ora, per la maggioranza della popolazione il risultato è inaccettabile: si tratta di ordinare in Francia, già dal 2006, un EPR all’anno, due a partire dal 2012 e tre dal 2015…

D Non crede a una copertura del 20% del fabbisogno energetico grazie alle fonti rinnovabili?

P.R.B. Certamente non con l’orizzonte del 2030. E nemmeno con prezzi elevati per il petrolio. Prendiamo l’energia eolica, che è la più promettente tra quelle rinnovabili: considerati la carta dei venti in Francia e il potenziale eolico in potenza per ettaro, raggiungiamo una copertura dell’8% della nostra energia elettrica. Senza nemmeno parlare dei problemi di stabilità delle reti. L’altra grande speranza è la biomassa. Ora, la resa netta per ettaro è debole in Europa, specialmente per il bioetanolo. Il bilancio globale si dimostra migliore per i biodiesel, ma qui siamo di fronte a un problema di potere delle lobby: ad esempio, all’ultimo Salone mondiale dell’automobile di Parigi, non c’era spazio che per l’etanolo, mentre poi la Francia produce troppa benzina e importa diesel.

D Allora, secondo lei, il concetto di mix energetico è un guscio vuoto…

P.R.B. No, il mio scenario non esclude un massimo di risparmio energetico e di maggiore ricorso alle energie rinnovabili. D’altra parte, utilizzeremo gli idrocarburi fino alla fine del secolo. E soprattutto nei trasporti. Dobbiamo pertanto cercare di aumentarne la durata di vita. La soluzione? Ci ritorno: il matrimonio con il nucleare. Non so se le compagnie petrolifere investiranno nel nucleare, in compenso, le alleanze tecniche idrocarburi-atomo mi paiono altamente probabili. Citerei a titolo di esempio il miglioramento del recupero del petrolio, in particolare per i greggi pesanti e ultrapesanti, o per la produzione di scisti bituminosi avidi di energia. Se vogliamo evitare di emettere gas a effetto serra, evitiamo di bruciare idrocarburi per produrre energia di questo tipo. Esisteranno anche complementarietà a valle e, segnatamente, nel processo di raffinazione. Per migliorare il rendimento degli inevitabili idrocarburi di sintesi (combustibili liquidi prodotti da gas, carbone o biomasse), è necessario anche produrre calorie e idrogeno senza CO2. Esiste dunque un importante terreno di sviluppo comune tra queste due industrie.

D Un’altra soluzione rimane quella dei risparmi energetici. Si può evitare, perché abbiano peso, il principio dell’incentivo finanziario, delle tasse?

P.R.B. No! Viviamo ancora in un’epoca anormale, con un’elettricità tanto a buon mercato che non induce a fare lo sforzo di spegnere un interruttore o di premere un bottone per non lasciare gli apparecchi in stand by. I consumatori devono imparare a gestire i loro bisogni. Il solo modo consiste nell’aumento dei prezzi in una forma o nell’altra. I prezzi attuali, inoltre, non rispecchiano la realtà: riflettono i costi di produzione delle aziende elettriche, quando invece dovrebbero integrare il prezzo futuro delle nuove istallazioni o il costo delle emissioni di CO2. Il sistema, oggi, sovvenziona il consumatore. Ciò vale anche per gli idrocarburi. Detto questo, gli obiettivi degli Stati devono essere espressi in riduzione di CO2 e non in riduzione dei consumi energetici. Bisogna dunque aiutare l’elettricità a svilupparsi, non frenarla. A condizione che si tratti di un’elettricità pulita, che non emetta CO2.2

[1] P. R. Bauquis, Quels axes pour une politique énergétique française?, in «Revue de l’énergie», 571/2006.

[2] La versione in lingua francese di questa intervista è stata pubblicata con il titolo La voie prometteuse de l’électrification des bilans énergétiques, in «L’Agefi. La couleur de l’économie», 1/2007, www.agefi.com.