La famiglia Schucht

Written by Antonio Gramsci jr. Friday, 29 February 2008 21:16 Print
Gramsci (specialmente la più nota scritta da Giuseppe Fiori) contengono l’errore di attribuire un’origine scandinava alla famiglia Schucht. In realtà gli Schucht provengono dalla Germania, verosimilmente dalla parte meridionale ove sono forti le tradizioni cattoliche, tanto che tutti gli Schucht sono cattolici. Uno dei rappresentanti della casata degli Schucht si arruolò nella guerra russo-svedese del 1700-1711 come ufficiale dell’esercito di Carlo XII. In seguito alla disfatta delle truppe svedesi venne fatto prigioniero e restò a vivere in Russia. Secondo una tradizione attendibile il vero cognome della famiglia sarebbe Shacht e non Schucht. L’errore nella trascrizione del nome in russo deriverebbe dalla lettura non corretta del segno gotico «a» che ricorda il segno latino «u».

All’epoca l’atteggiamento dei russi nei confronti dei tedeschi era molto positivo (soprattutto nel periodo di Elisabetta la Grande, che era di origini tedesche) e i discendenti dell’ufficiale (sfortunatamente non si conosce il suo nome) riuscirono ad affermarsi in modo significativo nella società russa. Non è chiaro se gli Schucht in Germania fossero nobili, mentre è certo che lo fossero i loro discendenti vissuti in Russia, compreso il mio bisnonno Apollon. Non è escluso che qualcuno degli Schucht abbia ottenuto il titolo nobiliare grazie ai servizi prestati all’impero zarista. La tenuta degli Schucht si trovava nei pressi della città bielorussa di Mogilev (nei documenti prerivoluzionari Apollon viene denominato nobile di Mogilev).

Il nonno di Apollon, Iogann Schucht, era un valente imprenditore e possedeva una fabbrica di orologi. Suo figlio, Aleksander Schucht, padre di Apollon, era un generale maggiore della cavalleria. Fu a capo delle guardie corazzate imperiali e in seguito divenne comandante di reggimento del corpo degli ussari. Apollon amava ricordare le parate della cavalleria che avvenivano nella piazza Semenovskij a Carskoe Selo cui partecipava suo padre. Nel 1874 Aleksander Ioannovi ottenne la nomina di generale maggiore e con questo grado comandò la seconda brigata dell’ottava divisione della cavalleria nei Balcani durante la guerra russo-turca. Morì nel 1878 per le ferite riportate durante un combattimento con i turchi in Bulgaria e fu sepolto nel cimitero russo di Costantinopoli.

La moglie di Aleksander Schucht, madre di Apollon, Otillija Egorovna, era figlia del pittore tedesco Xaver Winterhalter (la variante russa di Xaver è Egor). Questo fu uno tra i più famosi ritrattisti dell’Europa della prima metà del secolo XIX, lavorò presso la nobiltà russa, ma per lui posarono importantissimi personaggi europei come l’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe, Napoleone III e altri ancora.

Nel 1861 Aleksander Schucht (all’epoca ancora colonnello) si stabilì con la moglie a Carkoe Selo (oggi Puˇskin), nei dintorni di Pietroburgo a Pavloskoe ˇSosse (oggi ulica Majakovskij). L’anno successivo, il 20 luglio, nacque il figlio Apollon. All’inizio egli seguì le orme del padre, iscrivendosi alla scuola militare di formazione della cavalleria di Nikolaev. Al compimento del suo diciassettesimo anno il padre, prima di partire per il fronte balcanico, richiese al Granduca Nikolaj, fratello di Alessandro II, di far entrare il figlio nel corpo dei cadetti nobili dell’Impero. Tuttavia Apollon, per motivi a noi ignoti, non fu accettato e ciò, probabilmente, fu la prima delusione del futuro rivoluzionario. Egli ricevette anche un’ottima educazione musicale. Suonava perfettamente il pianoforte e il suo compositore preferito era Edvard Grieg. Quasi sicuramente parlava il tedesco come seconda madrelingua. Conosceva anche il francese e, più tardi, durante l’emigrazione, imparò anche l’italiano.

Non è del tutto chiara l’epoca in cui Apollon cominciò la sua attività rivoluzionaria. Secondo le memorie di Evgenija Schucht e di Anna Ul’janova, sorella di Lenin, già negli anni della scuola superiore Apollon Aleksandrovicˇ i era imbevuto di idee rivoluzionarie che lo spinsero nel 1881 ad abbandonare gli studi e ad arruolarsi come soldato semplice nel reggimento di fanteria ad Oneˇzck per prendere parte al lavoro di agitazione tra i soldati.

Dopo tre anni, alla fine del 1884, Apollon venne congedato e nel 1885 tornò a Pietroburgo (…) dove conobbe Julija Girˇsfel’d, che portò a compimento i corsi femminili Bestuˇzev. A quei tempi questi erano un centro di istruzione esclusivo dove le ragazze potevano conseguire il diploma superiore. Vi facevano lezione professori illustri, fra i quali Secˇenov, Botkin e Mendeleev. Julija e suo fratello minore Osip (Josif ) erano figli del famoso avvocato di Pietroburgo Grigorij Girˇsfel’d.

I Girˇsfel’d erano una famiglia ebrea proveniente da Vinnica, una cittadina della Piccola Russia (o Ucraina), diventata una delle residenze obbligatorie per gli ebrei. Grigorij riuscì a concludere gli studi superiori e si trasferì a Pietroburgo (a quei tempi in Russia potevano vivere nella capitale solamente gli ebrei che avessero ultimato gli studi superiori). Al termine di una brillante carriera giuridica, riuscì a ottenere il titolo di cittadino onorario. Secondo tutte le fonti disponibili, Julija Girˇsfel’d già negli anni di scuola era imbevuta di idee rivoluzionarie. La leggenda familiare sostiene che quando venne resa nota durante le lezioni l’uccisione dello zar Alessandro II, Julija, unica tra i presenti, non si alzò in piedi per l’atto d’ossequio all’epoca richiesto. Di Osip Girˇsfel’d si sa solamente che fu compagno di scuola di Vladimir Ul’janov (il futuro Lenin) all’università di Kazan’.

Nell’aprile del 1885 Julija Girˇsfel’d sposò Apollon Schucht e fu perciò costretta ad aderire ufficialmente alla Chiesa ortodossa, poiché all’epoca i matrimoni tra ebrei e cristiani in Russia erano vietati. Julija e Apollon, ancora giovani, andarono a vivere per breve tempo a Mosca e, in seguito, a Samara. Qui nacquero la primogenita Nadeˇzda (1885) e Tat’jana (1887). Nel 1887 Apollon e la sua famiglia tornarono a Pietroburgo, dove egli entrò in contatto con il partito Narodnaja Vol’ja (…) e conobbe Aleksander, il fratello maggiore di Vladimir Ul’janov. Anche se i due giovani avevano aspirazioni simili, ad Apollon fu assolutamente estranea la tendenza terroristica del gruppo a cui apparteneva Aleksander.

Alla fine del 1887, in seguito alla scoperta di circoli rivoluzionari all’interno dell’esercito a Pietroburgo, Apollon fu arrestato. Stessa sorte toccò ad Aleksander Ul’janov per la preparazione dell’attentato allo zar Alessandro III. Nella casa circondariale per la reclusione preventiva di Pietroburgo, dove i due giovani erano stati costretti, si conobbero le loro madri Otillija Egorovna e Marija Aleksandrovna. Dopo una indagine sommaria e un processo lampo, Aleksander Ul’janov fu condannato a morte, mentre Apollon venne inviato al confino a Tomsk, in Siberia.

Qui nacque Evgenija. Secondo la testimonianza dello stesso Apollon Aleksandrovicˇ, le condizioni di vita in Siberia non erano poi così terribili. D’inverno egli sciava, cacciava e riuscì persino a farsi inviare da casa il suo amato pianoforte. In quegli anni difficili venne aiutato in modo costante da sua madre Otillija. Nel 1889 a Tomsk fu fondata l’università e il dipartimento di polizia, temendo i contatti degli studenti con il movimento rivoluzionario, decise di trasferire Apollon a Barnaul (regione dell’Altaj). Probabilmente nel 1890 la famiglia Schucht si trasferì da Barnaul a Samara. La meritata aureola di rivoluzionario di Apollon e il suo fascino personale gli attirarono le simpatie della gioventù progressista di Samara e dei membri del circolo marxista di A. P. Skljarenko. Qui Apollon conobbe simpatizzanti del circolo del giovane Lenin (la famiglia Ul’janov era rimasta a Samara sino al 1889). Erano anni di accanite discussioni con i narodniki sul destino dello sviluppo rivoluzionario in Russia. Nel marzo del 1891 (secondo altre fonti nell’agosto del 1893) Lenin si trasferì da Samara a Pietroburgo e insieme a lui viaggiò la famiglia Schucht, mentre Apollon rimase al confino. Lenin si occupò di tutte le incombenze del viaggio. La famiglia di Apollon e Lenin giunsero senza problemi a destinazione, ma in seguito Julija Grigorevna, raccontando il viaggio alle sue figlie già cresciute, ripeteva immancabilmente: «Ragazze, siete state insopportabili! Povero Volodija Ul’janov!». Poco dopo si riuscì ad ottenere anche per Apollon il permesso di soggiorno temporaneo a Carskoe Selo. Nel 1893 la famiglia Schucht vi si stabilì nuovamente e Apollon pensò seriamente di diventare impiegato statale, ragion per cui seguì un corso di contabilità ordinaria e commerciale. In questo periodo nacque anche la quarta figlia Anna (Asja). Come è noto, Apollon chiese a Lenin di farle da padrino. La madrina fu Otillija Egorovna. Nel 1894 Lenin visitò gli Schucht a Carskoe Selo e, in seguito, Apollon decise di andare in Svizzera in una sorta di esilio volontario (a Carskoe Selo gli era permesso di soggiornare solo temporaneamente). Nel 1895 la famiglia Schucht incontrò nuovamente Lenin a Ginevra. «Ho visto la battezzata1 e la sua famiglia» scrive Lenin in una lettera alla sorella Marija Ul’janova. A Ginevra nacquero i figli minori Julija (1896) e Viktor (1899). La figlia maggiore Nadeˇzda studiò violoncello e nel 1900 si iscrisse al locale conservatorio. Dopo Ginevra, forse nel 1904, la famiglia si trasferì a Montpellier (nella Francia del Sud). Qui, nel 1905, Nadeˇzda concluse i suoi studi musicali, si iscrisse alla facoltà di filologia che terminò nel 1908 e presso la quale ebbe modo di seguire anche corsi di scienze naturali. Tat’jana ricevette un forte influsso dalla formazione culturale poliedrica della sorella: anche lei studiò violoncello, si occupò di scienze naturali e frequentò la facoltà di filologia. Di sera tutta la famiglia si raccoglieva per suonare canzoni russe. Apollon accompagnava al pianoforte, mentre Julia Grigor’evna cantava con una bella voce di mezzosoprano. Anche Anna e Julija, una volta cresciute, mostrarono di possedere doti musicali straordinarie e Apollon Aleksandrovicˇ si recò appositamente a Parigi per procurare alle figlie gli stupendi violini dei maestri italiani.

Tra i genitori esisteva una specie di divisione dei ruoli: Apollon Aleksandrovicˇ instillava nelle figlie l’amore per la musica e la letteratura, Julija Grigor’evna l’amore per le scienze naturali. Julija Apollovna ricorda nelle sue memo- rie: «Spesso ascoltavamo Papà al pianoforte… Vedo ancora il sorriso della Mamma (Julija Apollovna scriveva «mamma» e «papà» con la maiuscola). Mamma ci parlava di Konstantin Eduardovicˇ Ciolkovskij (famoso fisico russo, filosofo della cosmologia, che si occupò della teoria dei voli nello spazio), ci illustrava le novità in campo scientifico». Nel 1908 gli Schucht si trasferirono a Roma donde rientrarono in Russia nel 1917.

Anche nell’emigrazione Apollon conservò legami attivi con gli agitatori russi, in particolare con Aleksander Korolenko. Nel 1913 partecipò alla preparazione del primo congresso delle organizzazioni culturali, economiche e sociali russe in Italia che si svolse a Roma presso l’Associazione della biblioteca russa Lev’ Tolstoj. Per un certo periodo di tempo insegnò russo agli ufficiali del ministero della difesa. Subito dopo la rivoluzione di febbraio tornò in Russia con la famiglia. A Roma rimase solamente Tat’jana. Non è del tutto chiaro quale ruolo ebbe Apollon tra le due rivoluzioni. Non è inoltre noto se abbia partecipato alla preparazione della rivoluzione d’ottobre. Su queste vicende non vi sono testimonianze al di fuori di un breve passo tratto dalle memorie di Julija Apollovna che, tuttavia, non chiarisce la questione: «Nel 1917, subito dopo la rivoluzione di febbraio, nostro Papà ritornò dall’Italia. Lavoravamo tutti. Ricordo le manifestazioni in cui si ascoltavano i discorsi dei bolscevichi e… il suono del violino della piccola bolscevica Julija».

Dopo la rivoluzione di dicembre Apollon Aleksandrovicˇ prese parte attiva alla nazionalizzazione delle banche. Nel 1919, in piena guerra civile, divenne il braccio destro del responsabile del settore culturale e dell’istruzione del collegio centrale dei prigionieri e dei profughi. Visitò i lager, i patronati, i punti di smistamento e di distribuzione del cibo ove, probabilmente, condusse un lavoro propagandistico tra i prigionieri dell’Armata bianca e tra gli sfollati. Nel 1920 lavorò nella redazione del giornale «Bednota». Nell’ottobre del 1923, grazie alla figlia Julija, conobbe Antonio Gramsci che, in qualità di delegato al IV congresso del Comintern, era giunto a Ivanovo-Voznesensk: secondo una tradizione consolidata, durante i lavori del congresso i delegati visitavano i centri industriali del paese.

Tra i due si creò un caloroso rapporto di fiducia. Nel 1924 Apollon Aleksandrovicˇ si stabilì a Mosca con la famiglia e, fino alla pensione conseguita alla fine degli anni Venti, lavorò come bibliotecario nell’istituto elettronico. Nel 1926 tornò a Roma per un breve periodo con le figlie. Negli ultimi anni della sua vita si occupò esclusivamente dei nipoti cui fece, di fatto, da padre. Giuliano ancora ricorda che fu il nonno ad insegnargli a pattinare sul ghiaccio. Apollon Aleksandrovicˇ morì nel 1933 e fu sepolto nel cimitero di Novodevic’. Sebbene fosse un uomo colto, pieno di capacità organizzative e di entusiasmo rivoluzionario, il potere sovietico non gli diede mai la possibilità di salire di grado nella scala gerarchica. In tutto il periodo vissuto nell’Unione Sovietica egli rivestì cariche modeste e di secondo piano (come, del resto, i suoi figli). È verosimile che ciò fosse dovuto all’origine nobiliare e al passato di emigrazione degli Schucht. Non è escluso, comunque, che lo stesso Apollon non nutrisse ambizioni di carriera. Forse fu proprio grazie a questo ruolo di secondo piano (e più tardi ai legami di parentela con Gramsci) che la famiglia Schucht non ebbe mai problemi con il potere sovietico nel periodo in cui furono repressi quasi tutti i seguaci di Lenin.

La grande guerra patriottica rappresentò una dura esperienza per la famiglia Schucht. Nell’inverno del 1941, quando le truppe tedesche si avvicinarono a Mosca, la famiglia lasciò la città. Il primo a partire fu Giuliano che, insieme a tutta la sua scuola, fu evacuato nella Regione di Rjazan’. Delio andò ad Ufa (capitale della Repubblica della Basˇkirija), insieme a Togliatti, e poco dopo entrò nella scuola della marina militare a Baku (capitale della Repubblica dell’Azerbajdzˇan). Julija, Evgenija, Tat’jana e Julija Grigor’evna si trasferirono a Frunze (capitale della Kirgizija). Nel frattempo la scuola di Giuliano venne trasferita nel sud degli Urali, nei pressi di Perm’. Di qui nel 1942 egli raggiunse con suoi mezzi Frunze per ricongiungersi con la famiglia. Subito dopo, non sopportando le difficili condizioni di vita in Asia centrale, morì Julia Grigor’evna. Nel 1943 la famiglia ritornò a Mosca. A Frunze rimase Tat’jana, che morì di tifo addominale nel settembre dello stesso anno. Nel 1944 Giuliano venne chiamato alle armi, ma poiché non era in condizioni di salute per la leva, venne esonerato. In quel tempo, del resto, portare un cognome tedesco, anche se per via materna, non era privo di rischi. Julija Apollovna si diede da fare per dare a Giuliano il cognome Gramsci, già assegnato al fratello. In una lettera all’amministrazione della città di Frunze Julia avanzò la seguente richiesta: «Il figlio maggiore è registrato con il cognome Schucht-Gramsci. Il più giovane con il nome Giuliano Schucht. Al momento della nascita di nostro figlio, il padre si trovava in Italia ed io in URSS. All’epoca le condizioni di lavoro richiedevano che io e mio marito non fossimo vicini a causa del governo fascista… Chiedo che venga assegnato un documento d’identità a mio figlio minore con il cognome Schucht-Gramsci.

Dal 1937, del resto, tutti i quaderni di scuola, tutti i documenti di mio figlio riportano il cognome Gramsci. Nel 1942 mio figlio Giuliano ha ottenuto l’iscrizione al Komsomol e la tessera riporta il cognome Gramsci. Anche i compagni di Antonio Gramsci desiderano che i suoi figli prendano il cognome del padre». Questa richiesta rimase inascoltata. Solo alla fine degli anni Cinquanta, grazie all’intervento dei comunisti italiani (primo fra tutti Togliatti), Giuliano riuscì finalmente ad assumere il cognome del padre.

In tutti i saggi biografici rimane spesso troppo sfocato il personaggio di Julija Apollovna, centrale per la comprensione della figura di Gramsci, a causa di una carente conoscenza della sua vita e di una interpretazione non veritiera, a mio parere, di alcuni tratti della sua personalità. Julija Apollovna Schucht terminò il liceo musicale presso il conservatorio di Santa Cecilia a Roma nel 1915. Suo professore era il famoso violinista e compositore Ettore Pinelli, primo musicista a eseguire il concerto di Brahms per violino e orchestra. Sempre nel 1915, nel bel mezzo della guerra mondiale, Julija lasciò la famiglia, gli amici romani e si recò in Russia, ove non era mai stata. Nelle sue memorie scrive: «Un’ondata di gioia mi avvolse nel 1915, quando dopo aver concluso gli ultimi esami andai a salutare il mio professore preferito della classe di violino, Ettore Pinelli. A lui esposi le mie paure sul mio viaggio in Russia e sul mio lavoro in patria». Dirigersi in Russia attraverso l’Europa centrale era un’impresa alquanto pericolosa; per questo il viaggio avvenne attraverso i Balcani. Dopo il suo ritorno in Russia, Julija insegnò violino presso la scuola musicale della città di Ivanovo-Voznesenk (oggi Ivanovo) ove lavorò fino al 1921. Nella stessa città vivevano sin dal 1913, anno in cui venne aperta la prima scuola musicale pubblica, sua sorella Anna Apollovna e il marito Fedor Cabel, famoso suonatore di organo e compositore. Nel settembre del 1917 Julija si iscrisse al partito bolscevico e cominciò a combinare l’attività pedagogico-musicale con l’impegno nella sezione locale del partito in qualità di istruttrice. Nel gennaio del 1918 interpretò la «Leggenda» di Venjavskij nel concerto di capodanno a Mosca, a Lefortovo, nell’edificio dell’ex scuola di Alekseev. Il famoso scrittore sovietico Aleksander Serafimovicˇ consegnò le sue impressioni su questa esecuzione musicale, il 6 gennaio, al quotidiano «Izvestija»: «All’estremità del palcoscenico si avvicina in modo riservato una giovane vestita in bianco e nero con un violino in mano e un volto dolce da ragazza che chiede al mondo ‘Che cosa hai? Che cosa nascondi?’ Prende in mano il violino e lentamente, dolcemente e in modo strano muove la mano sulle corde continuamente, innalza l’archetto e io chiudo gli occhi. Fa risuonare la ‘Leggenda’… Occorre tener conto che il pubblico non comprende: comincia a soffiarsi il naso, a tossire… Inutilmente. Io rimango con un’aria accigliata, chiudo gli occhi e nel medesimo istante dal palco verso la platea affollata, lentamente, sonoramente si innalza una melodia che non perde il filo: simile e, allo stesso tempo, diversa da una voce umana, appena percettibile, talvolta pronta a spegnersi, talvolta capace di coagularsi densamente in una voce di contralto pettorale, grave e malinconica che si invola e inghiotte tutti i suoni, dominandoli. Ed io apro gli occhi… Avete mai visto una marea vitrea?

Anche su tale specchio penzolano, dimenticate, le nuvole e si riflettono i monti e le rive e il lontano volo di un gab- biano bianco. Avete mai sentito come smettono di respirare ottomila persone? Ecco come suona una ragazza dai capelli neri, ecco come esegue con un suono di arco lungo ed ininterrotto. Perché? Perché c’è la felicità e la tristezza, c’è il passato e, velato di azzurro, il futuro ignoto. La ragazza ha espresso il suo meraviglioso talento, la sua arte. Il pubblico l’ha accolta con cautela e ora la ringrazia calorosamente. Ed io con gioia vedo facce entusiaste».

All’inizio degli anni Venti, dopo il suo trasferimento a Mosca, Julija Apollovna cominciò a lavorare nel Comitato per la sicurezza interna, NKVD, che successivamente fu denominato OGPU. Secondo mio padre Giuliano il ruolo di Julija nell’NKVD si limitava all’attività di traduttrice. È difficile dire se sia stato davvero così. In ogni caso non sembra lecito insinuare, come fa lo storico russo Leont’ev, che Julija Schucht fosse stata inviata negli organi di sicurezza per «sedurre» Gramsci, basandosi solamente sul fatto che all’epoca del loro incontro ella collaborava con il NKVD. Nel 1927, come risultato di una complicazione dell’influenza (la «spagnola»), Julija si ammalò di epilessia. Nel 1930 lasciò il lavoro all’OGPU. Non corrisponde al vero l’opinione diffusa secondo la quale Julija, a causa dell’impegno politico, smise completamente di suonare il violino. È certo, invece, che impugnava raramente lo strumento musicale a causa della malattia e dei gravosi impegni domestici, ma se capitava l’occasione suonava con piacere per le persone che le erano accanto: «In età giovane, quando mi chiamavano per le manifestazioni che si tenevano nelle fabbriche, ho imparato ad avere qualcosa in comune con gli impiegati. E non ho avvertito il peso di tutti gli ultimi anni nei quali ho dovuto abbandonare il lavoro. Il violino lo abbiamo suonato tutti insieme, collettivamente». In ogni caso, quando Anna giungeva a Mosca da Voronezˇ, le due sorelle suonavano duetti, tra cui per esempio il concerto per due violini di Bach. Giuliano Gramsci, il musicista più profes- sionista della famiglia, ricorda le forti emozioni scaturite dalle esecuzioni di sua madre. Secondo la sua testimonianza, Julija Apollovna possedeva un suono molto espressivo, spesso interpretava spartiti per un solo strumento e le sonate di Bach che all’epoca veniva eseguito raramente in Russia. Julija, inoltre, aveva eccezionali doti di compositrice; spesso componeva musica sulla base dei versi di poeti russi, per esempio la poesia di Lermontov «Biancheggia la vela solitaria». Nel 1968, insieme a Evgenija, Julija fu inviata nel sanatorio per i vecchi bolscevichi a Peredelkino, nei pressi di Mosca, ove rimase sino alla morte, avvenuta nel 1980; otto anni prima era morta Evgenija. A causa di una grave malattia alle ginocchia, conseguenza di una frattura causata da un attacco improvviso di epilessia, in vecchiaia Julia perse la capacità di camminare. Grazie a una medicina appropriata gli attacchi di epilessia divennero più lievi, quasi impercettibili. Pur costretta a letto, Julija Apollovna si mantenne perfettamente lucida e continuò ad interessarsi sia della vita dei suoi parenti, sia di tutto ciò che avveniva nel paese.

Non corrisponde assolutamente al vero l’accostamento al personaggio dell’Ofelia di Shakespeare compiuto da Adele Cambria nel suo libro «Amore come rivoluzione». Nonostante la sensibilità e un mondo interiore molto ricco, Julija aveva un carattere positivo e pacato, intriso di dolcezza femminile. Questo le permise di sopportare sia la malattia, sia la separazione forzata dal marito. Sembra strano che Antonio Gramsci nelle lettere del 1924-26 non si rivolga mai a lei come sostenitrice della lotta rivoluzionaria e ignori completamente il suo passato musicale. Stando alle lettere di Julija Apollovna, alle testimonianze dei parenti e ai miei ricordi personali, ella aveva una visione ingenua degli accadimenti politici. Era dotata innanzitutto di una natura squisitamente artistica che Gramsci non apprezzò, considerandola secondaria. Il ruolo di vera interlocutrice politica del leader comunista, tra le sorelle, venne invece ricoperto da Tat’jana, che percepiva il senso degli avvenimenti in modo acuto ed era intellettualmente più raffinata.

Sfortunatamente sulla figura di questa donna interessante vi sono poche testimonianze. In tutte le sue lettere Tat’jana si interessava esclusivamente della vita dei suoi familiari, non raccontando quasi nulla della propria. Inoltre, dall’epoca del ritorno degli Schucht in Russia sino all’incontro con Gramsci, Tat’jana non scrisse quasi mai alla sua famiglia, temendo la morte di qualcuno dei suoi cari. Concluse nel 1913 la facoltà di scienze naturali presso l’università di Roma dove studiava anche medicina. Nel 1915-16 lavorò al Policlinico Umberto I di Roma. Nel 1916 prestò servizio come assistente e insegnante per i bambini malati di malaria che si curavano ad Ariccia. Lavorò all’istituto Grandon. Dagli anni Venti cominciò a insegnare scienze naturali e diede contemporaneamente lezioni private di lingua e letteratura francese, il che le permise di vivere in modo relativamente agiato. Dopo l’incontro con Antonio Gramsci, nel 1925, Tat’jana entrò a far parte dell’apparato statale sovietico: lavorò dapprima come traduttrice per la mostra commerciale sovietica a Milano, poi nel consolato sovietico a Roma. Tornata a Mosca nel 1938, dopo che venne allontanata, di fatto, dal lavoro sui manoscritti di Gramsci, si occupò solamente di traduzioni.

Tat’jana ebbe un’attenzione straordinaria per mio padre (Evgenija lo ignorava ed era legata fortemente a Delio). Aveva una notevole autonomia intellettuale, almeno per quell’epoca, e aveva discussioni accanite con Evgenija, che era fanaticamente stalinista. Sebbene avesse introdotto Gramsci nella famiglia Schucht, sfortunatamente Evgenija ebbe rapporti difficili con mio padre e, in generale, con tutti gli altri membri della famiglia, Gramsci incluso. Nel nostro archivio di famiglia non vi sono documenti significativi sulla sua vita. Lo stesso Giuliano non ricorda volentieri sua zia. Tuttavia occorre riconoscerle che nei momenti più difficili per la famiglia prese su di sé il carico delle responsabilità materiali ed economiche. Tutti gli Schucht furono condizionati dal suo carattere di ferro e alla metà degli anni Venti Evgenija era diventata, di fatto, il capo della famiglia. Non si può poi dimenticare la sua attenzione materna nei confronti di Julija Apollovna: le due sorel- le furono praticamente inseparabili fino alla morte di Evgenija, avvenuta nel 1972. Ricordo molto bene le visite alle due vecchiette a Peredelkino all’inizio degli anni Sessanta. La finestra della loro camera dava direttamente sul bosco pittoresco tipico dei dintorni di Mosca. Tutti i tavoli e le sedie erano stracolmi di libri e di collezioni di giornali. Julija ed Evgenija passavano le giornate intessendo una fitta corrispondenza con personaggi pubblici, scrittori, organizzazioni giovanili. Le andava a trovare spesso il famoso scrittore sovietico Rafail Chigerovicˇ, uno dei migliori biografi di Gramsci e della famiglia Schucht, autore del famoso libro «Boijov ne oplakivajut».2 Isolate dalla realtà circostante, le ultime sorelle Schucht, che trascorsero la vecchiaia nelle condizioni privilegiate delle case di cura e furono fortemente influenzate dalla propaganda sovietica, continuarono a credere che l’URSS fosse il migliore e il più giusto paese del mondo. I miei genitori spesso ironizzavano su tale visione, ma nessuno, naturalmente, osava far ricredere le due vecchie bolsceviche.

[1] Si riferisce chiaramente a Julija Girˇsfel’d, che per sposarsi con Apollon, come si è detto precedentemente, era stata costretta a convertirsi al cristianesimo.

[2] R. Isaevic, Boijov ne oplakivajut: povest’ ob A. Gramsci, Politizdat, Moskva 1987.