Il miracolo bulgaro e il futuro della politica europea nei Balcani

Written by Gerald Knaus e Kristof Bender Friday, 29 February 2008 21:02 Print
Agli inizi del 2007 l’Unione europea si trova ad affrontare diverse questioni, in relazione all’integrazione europea dei paesi dei Balcani occidentali. Mentre Bulgaria e Romania hanno fatto il loro pieno ingresso nell’Unione e la Croazia sta compiendo rapidi progressi nei negoziati, i paesi dei Balcani occidentali rimangono in una specie di limbo. Uno solo, la Repubblica di Macedonia, è divenuto un candidato ufficiale. Serbia, Montenegro e Bosnia-Erzegovina non hanno ancora neppure siglato accordi di associazione. Una chiara prospettiva europea non è stata definita neanche per il (prossimamente) semi-indipendente Stato del Kosovo. Per i popoli dei Balcani occidentali, l’eventuale ingresso nell’UE rimane una prospettiva molto distante e assai incerta. 

Questo fatto rappresenta un pericolo: la parte più povera del continente, oggi totalmente circondata da paesi membri dell’UE, è lasciata da sola e priva di una prospettiva delineata. In assenza di un credibile sbocco verso l’integrazione, anche il soft power tipico dell’Unione risulta seriamente sminuito. Gli accordi europei di associazione o le vaghe promesse di un’integrazione lontana a venire non sono mai stati, in passato, strumenti efficaci di soft power: si pensi alla storia della Grecia (in cui un colpo di Stato militare ebbe luogo pochi anni dopo la firma dell’accordo di associazione, nei primi anni Sessanta), alla Turchia (con i due colpi di Stato militari e una lunga serie di pessime gestioni economiche, nonostante l’accordo di associazione con l’UE) o alla stessa Bulgaria, che ha firmato l’accordo di associazione nel 1993, tre anni prima del collasso della propria economia. Invece lo status di paese candidato e l’apertura dei negoziati di accesso hanno determinato cambiamenti profondi e di vasta portata in diversi paesi europei. Questa affermazione ha enormi implicazioni per la politica dell’Unione europea verso i Balcani occidentali: per produrre una trasformazione irreversibile della regione, l’Unione dovrebbe lanciare un processo di preadesione per tutti i paesi balcanici. È quanto accaduto nel caso della Bulgaria ed è quanto probabilmente accadrà anche nel caso degli altri paesi.

Si dimentica spesso che, agli inizi del 1997, la Bulgaria attraversò una crisi profonda, con un’economia a rotoli e il sistema politico in stato confusionale. Ciò nonostante, l’Unione europea incluse il paese nella propria strategia di preadesione con gli altri nove paesi dell’Europa centrale e sud-orientale. La scelta si rivelò oculata e rese possibile, meno di dieci anni dopo, a una Bulgaria profondamente trasformata, di fare il suo ingresso nell’Unione. Sebbene sia in gran parte ignorata dai più noti opinionisti europei, la trasformazione della Bulgaria nello scorso decennio è da ritenersi uno dei maggiori successi dell’«europeizzazione».

Profilo di un miracolo Nel 1996, la rivista «Transition Online», nella sua analisi dei cambiamenti politici occorsi in quell’anno, riassumeva gli sviluppi in corso in Bulgaria e in Macedonia. Il titolo dell’articolo sulla Macedonia era «Muoversi verso un terreno più stabile»; l’articolo sulla Bulgaria titolava invece: «Sopravvivere a un anno critico». Il 1996 era stato «catastrofico per la Bulgaria», «il peggiore dall’inizio delle riforme». Quell’anno aveva visto il disfacimento dell’economia, la drastica svalutazione della moneta nazionale e la caduta dei salari medi dai 120 dollari del gennaio 1996 ai 28 dollari del dicembre, «i più bassi dell’intera area». Il paese era isolato: le relazioni con il Fondo monetario internazionale erano tese e si parlò del rischio di inadempienza verso il debito estero. Nel 1995 la Bulgaria era scivolata al novantatreesimo posto nella classifica stilata da Institutional Investors, dopo il Bangladesh e la Siria, e aveva il più basso tasso pro capite di investimenti esteri diretti di tutti i paesi dell’Europa centrale. Nel 1997 il prodotto interno lordo bulgaro era fermo al 63% del livello raggiunto nel 1989.1 Sette anni dopo la caduta del Muro di Berlino, la transizione in Bulgaria pareva avviata al fallimento. Tra le popolazioni dell’Europa centrale, nessuna più di quella bulgara era così pessimista circa la direzione presa dai cambiamenti sociali:2 «a causa delle aspettative non soddisfatte, la società è entrata in una fase caratterizzata da un diffuso senso di smarrimen- to, dalla paura del futuro, dalla sensazione che molto è stato distrutto e poco o niente è stato ottenuto».3

Nel 1996, il 93% della produzione industriale bulgara era sotto il controllo statale. Circa la metà dei prezzi dei beni compresi nel paniere dei beni di consumo essenziali era fissata dal governo. Tutte le principali banche erano di proprietà statale. Il deficit pubblico ammontava al 15% del PIL. Nel 1994, la netta maggioranza dei bulgari era dell’opinione che lo Stato dovesse farsi carico delle imprese in perdita; il 55% voleva un’economia caratterizzata in modo predominante dalla proprietà statale e circa il 60% auspicava un controllo ancor maggiore sui prezzi.

Il consenso verso il sistema economico comunista era salito dal 48% del 1992 al 71% del 1995.4 Gli esperti dell’Accademia delle scienze bulgara argomentarono che il declino economico degli anni Novanta era dovuto a «un atteggiamento indifferente, ai limiti dell’ostilità, da parte dell’Europa occidentale».5 Le elezioni del dicembre 1994 riportarono al potere, con una maggioranza schiacciante, un partito ex comunista che non aveva subito alcuna riforma. La crisi raggiunse così il culmine.

Durante l’inverno del 1996, l’inflazione toccò livelli mai visti, innescando una corsa agli sportelli delle banche che portò al collasso del sistema bancario e della valuta, con la chiusura di diciassette istituti di credito. Settimane di continue proteste di piazza, con i dimostranti che innalzavano barricate in tutto il paese anche nelle gelide notti invernali, provocarono la caduta del governo degli ex comunisti all’inizio del 1997. Se un viaggiatore avesse visitato allora la Bulgaria, ne avrebbe tratto l’immagine di un paese del Terzo mondo, con i donatori stranieri impegnati negli aiuti umanitari e nella distribuzione di alimenti.

Un decennio dopo, la Macedonia deve ancora «muoversi verso un terreno più stabile». La Bulgaria, al contrario, ha superato pienamente i problemi presenti alla fine del 1996.

Nelle riviste che si occupano di economia e affari internazionali, la Bulgaria viene presentata come una «tigre balcanica»: si stima che la crescita reale del PIL nel 2006 raggiunga il 6,1%. Il bilancio statale ha ottenuto un surplus record, mentre l’inflazione si aggira attorno al 6%. Il tasso di disoccupazione è calato dal 18% del 2001 a meno del 9% nel terzo quadrimestre del 2006, il livello più basso dal 1991.6 Anche il futuro sembra promettente. Le previsioni per l’economia bulgara sono brillanti. Gli investimenti forniscono una solida base alla crescita del PIL e all’aumento delle esportazioni a medio termine. Ne consegue la probabilità crescente che il paese sia in grado di adottare la moneta unica prima della maggior parte dei nuovi membri.

In effetti, a partire dal 1998, l’economia bulgara è cresciuta con un tasso annuale superiore al 4%.7 Gli investimenti sono saliti da circa il 15% del PIL nel 2000 al 25%.8 La categoria dei beni strumentali è quella cresciuta più velocemente nel recente boom delle importazioni. Migliora così la competitività delle imprese e si pongono le basi per una crescita sostenuta e continua. Dal 2001 anche i salari medi hanno iniziato ad aumentare in maniera significativa.

 

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Si è inoltre determinato uno spettacolare aumento negli investimenti esteri diretti (IDE), la cui crescita media annua dal 1992 al 1996 è stata di 153 milioni di dollari.9 Nel 1997 tali investimenti sono saliti a 636 milioni, superando il miliardo nel 2000. A partire dal 2003, l’ammontare degli IDE ha superato ogni anno i 2 miliardi.10 La gran parte di questi sono stati investimenti greenfield, destinati cioè alla creazione di nuove imprese e non semplicemente alla privatizzazione di aziende esistenti.11 L’afflusso netto di IDE ha raggiunto nel 2004 quasi il 12% del prodotto interno lordo.12 La competitività della Bulgaria si manifestava anche nella performance delle sue esportazioni. Il valore dell’export bulgaro si è quasi triplicato negli ultimi dieci anni, da meno di 5 miliardi di dollari nel 1997 a 14,4 miliardi nel 2006. Nel 2004 il valore pro capite degli investimenti esteri diretti ha quasi eguagliato quello della Polonia. Alcuni osservatori europei guardano ancora alla Bulgaria come a un paese caratterizzato da alti livelli di corruzione, ma anche in questo campo si sono avuti sensibili miglioramenti. Secondo l’Indice internazionale di percezione della corruzione (Corruption Perception Index of Transparency International), la Bulgaria ha lasciato il sessantaseiesimo posto (su ottantacinque paesi analizzati) occupato nel 1998, per raggiungere il cinquantasettesimo (su centosessantatre) nel 2006, prima della Polonia (sessantunesimo posto) e della Croazia (sessantanovesima), e non troppo dietro a Grecia, Slovacchia e Repubblica Ceca.13 Un rapporto, pubblicato in Bulgaria nel 2005 e redatto da Coalition 2000, una partnership pubblicoprivata bulgara contro la corruzione, conferma questi risultati, rilevando un calo del 50% nel numero assoluto di transazioni corrotte mensili dal 1998 al 2004.14 «Si è adottato un certo numero di misure specifiche in campo politico, economico e amministrativo che gradualmente stanno determinando una differenza tangibile sul piano della corruzione. La tendenza più significativa, che caratterizza il periodo successivo al 1997, ha riguardato il graduale declino della corruzione».15

Alcune ricerche condotte da istituzioni finanziarie internazionali – come la Business Environment and Enterprise Performance Survey (BEEPS) avviata dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e dalla Banca mondiale nel 1999 e ripetuta nel 2002 – confermano questa impressione: «La BEEPS del 2002 mostra che l’ambiente del business è significativamente migliorato in quasi tutti i suoi aspetti dal 1999, e che questo miglioramento non è dovuto solo alla ripresa economica attraversata dal paese. Nello specifico, la lotta contro la corruzione sembra aver dato i suoi frutti, poiché questo indicatore è passato al terzo posto, mentre nel 1999 era percepito come il maggior ostacolo alle attività economiche in Bulgaria».16

Un quadro analogo emerge dall’indicatore Doing Business della Banca mondiale. Questo indicatore è una semplice media tra dieci fattori, fra i quali i mezzi per avviare un’impresa, per chiuderla, per ottenere il credito, per impiegare mano d’opera, per far osservare contratti, per il commercio estero e il regime fiscale. La Bulgaria ha raggiunto il cinquantaquattresimo posto su centosettantacinque, prima di Slovenia, Ungheria, Polonia, Italia e Grecia.17 Infine, c’è il comportamento reale della comunità d’affari internazionale.

Mentre nella Bulgaria del 1996 non erano praticamente presenti investimenti esteri diretti – secondo uno studio che analizza gli IDE complessivi dal 1992 al 2004 relativi alla transizione delle economie dell’Europa orientale – il paese ha recuperato in maniera considerevole e, su base pro capite, non risulta troppo indietro rispetto a Polonia e Lettonia. Vista in relazione alle dimensioni, l’economia bulgara supera tutte quelle dell’Europa centrale e orientale, ad eccezione di quella estone.18

Anche nel settore amministrativo ci sono prove evidenti di un forte miglioramento. Sigma (Support for Improvement in Governance and Management), un’iniziativa congiunta dell’OCSE e dell’UE, ha prodotto un ampio numero di rapporti di valutazione che misurano i progressi intercorsi. Questi ultimi sono stati rilevati in ben diciassette indicatori sui ventitré usati, nelle aree della revisione contabile esterna, del controllo finanziario interno, del sistema di gestione della spesa pubblica e della domanda pubblica. Nessun indicatore è peggiorato tra il 1999 e il 2004. La Bulgaria, così, si trova nella stessa categoria di precedenti candidati all’adesione prima che entrassero nell’Unione (Tabella 2).

 

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In sintesi, molti e diversi indicatori sottolineano come dieci anni di preadesione all’UE abbiano contribuito a far realizzare in questo paese una trasformazione impressionante. È stato un progresso che ha «seguito » e non «preceduto» il lancio del processo di adesione e che è continuato nonostante i cambi di governo a ogni elezione.

La Bulgaria, fin dal 1997, ha lavorato per migliorare il clima per gli affari e le prestazioni della propria amministrazione pubblica, per attrarre cifre sempre maggiori di investimenti esteri diretti e per sviluppare politiche macroeconomiche responsabili. Il 1997 ha così segnato un punto di svolta. Una delle cause va ricercata certamente nel cambiamento interno: le elezioni svolte quell’anno hanno portato al potere il governo orientato alle riforme di Ivan Kostov, che ha saputo saldare il piano di riforme interne con una visione concreta di appartenenza all’UE da realizzare in capo a dieci anni. Vladimir Kissiov, a quel tempo ministro dell’industria e più tardi capo della delegazione bulgara nei negoziati con l’Unione europea, ricorda: «Gli altri partiti ci dicevano ‘siete pazzi’, ma in realtà è stato un grande successo perché molto è cambiato in questi anni».19

L’altro cambiamento si è avuto nel clima internazionale. Nel 1995 l’Unione europea decise finalmente di avviare un serio processo di preadesione. Alla riunione del Consiglio europeo in Lussemburgo alla fine del 1997, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Polonia e Slovenia furono invitate ad aprire negoziati per la primavera del 1998, insieme a Cipro. Nello stesso momento, invece, la presidenza dell’UE concludeva che la preparazione dei negoziati con Romania, Slovacchia, Lettonia, Lituania e Bulgaria sarebbe stata accelerata20 e che questi paesi dovevano essere trattati alla pari degli altri paesi coinvolti nei negoziati per tutti gli aspetti tranne che per l’apertura delle trattative: «alla luce della sua discussione, [il Consiglio europeo] ha deciso di avviare un processo di adesione che comprenda i dieci paesi richiedenti dell’Europa centrale e orientale e Cipro. (...) Il Consiglio europeo sottolinea che tutti questi paesi sono destinati a diventare membri dell’Unione europea sulla base degli stessi criteri e che partecipano al processo di adesione su un piano di parità. (...) Verrà approntato uno schema individualizzato per questi paesi».21

Vista la condizione di piena crisi della Bulgaria nel 1997, questo approccio è stato di importanza notevole e si è dimostrato quanto mai oculato, considerati i cambiamenti effettivamente intercorsi dopo questa decisione.

Una lezione per i Balcani occidentali La questione politica centrale per l’Unione europea nel 2007 diventa la seguente: perché non applicare ai Balcani occidentali gli stessi strumenti e strategie applicati alla Bulgaria nel 1997? A tal fine sarebbe opportuno arrivare alla fase conclusiva dei negoziati di accesso il più in fretta possibile e, quindi, offrire lo status di candidati a questi paesi già nel 2008. Una recente dichiarazione del commissario all’allargamento Olli Rehn indica che questa è considerata già come una possibile opzione per sostenere le riforme interne in Serbia.22 Questo fatto è incoraggiante, ma operare per la Serbia una tale distinzione significherebbe inviare un segnale negativo al resto dell’area, a meno che questa scelta non rientri in un più ampio ripensamento della politica europea. Infatti, occorrerebbe dare nel 2008 il medesimo status di candidati a tutti i paesi dei Balcani occidentali che contribuiscono – sulla base degli accordi di Dayton, degli accordi di Ohrid e della soluzione sullo status finale del Kosovo – alla stabilizzazione della regione. Ne emergerebbe un segnale chiaro e atteso – nel momento in cui ci si impegni a risolvere la questione dello status finale del Kosovo – che l’Unione europea intende trattare i paesi dei Balcani occidentali nello stesso modo in cui ha trattato quelli orientali. A quel punto, spetterebbe alle élite politiche di questi paesi assicurare che il miracolo bulgaro del decennio passato si ripeta in Serbia, in Albania o in Bosnia- Erzegovina.

[1 ]I. Mihov, The Economic Transition in Bulgaria 1989-1999, INSEAD, 1999, p. 2.

[2] Il 77% dei bulgari sosteneva, nel 1994, che il paese stava andando nella direzione sbagliata, a differenza di una media del 38% nei paesi dell’Europa centrale e orientale.

[3] V. Garnizov, The Transition of the Mind. Bulgarians and the Challenges of the 1990s, in Centre for Social Practices, Bulgaria in Transition: Three Viewpoints, Sofia 1996.

[4] Rispetto al 42% in Romania e al 34% in Polonia. Si veda W. Varga, Stand des Systemwandels und die Wirtschaftslage. Ende 1995/Anfang 1996, in «Central European Quarterly», 1/1996.

[5] Bulgarian Academy of Sciences, Economic Outlook for Bulgaria, 1995-1997, Sofia 1994.

[6] Banca mondiale, Bulgaria: The Road to Successful EU Integration. The Policy Agenda, Country Economic Memorandum, Washington DC 2005, p. 28; dati per il 2006 disponibili su https://www.nsi.bg. Le cifre differiscono lievemente in base alle diverse fonti.

[7] L’unica eccezione fu il 1999, con una crescita del 2,3% dovuta alla crisi del Kosovo.

[8] M. L. Lanzeni, Bulgaria in the EU: Challenges and opportunities, relazione presentata alla conferenza «Sixty days before EU: what to expect, what to do?», Sofia 18 ottobre 2006.

[9] Gli IDE complessivi nel periodo 1992-1996 in Bulgaria ammontano a 766 milioni di dollari.

[10] L. Kekic, Prospects for Foreign Direct Investment in Bulgaria, in D. Keridis, C. M. Perry e M. R. P. d’Assuncao Carlos, Bulgaria in Europe. Charting a Path Toward Reform and Integration, Potomac Books, Dulles 2006, pp. 27-47. Si veda anche Deutsche Bank Research, Key Economic Indicators Bulgaria, disponibile su www.dbresearch.com.

[11] Gli Investimenti esteri diretti per la creazione di nuove imprese sono stati ogni anno, a partire dal 1997, superiori a quelli relativi alle privatizzazioni. M. Hallet, Economic Reform in Bulgaria: Main Achievements and Challenges, in Keridis, Perry e d’Assuncao Carlos, op. cit., pp. 48-64.

[12] M. Hallet, op. cit., p. 60.

[13] Transparency International Corruption Perception Index 1998 e 2006, disponibili sul sito https://www.transparency.org/policy_research/surveys_indices/cpi.

[14] Coalition 2000, Anti-Corruption Reforms in Bulgaria, Center for the Study of Democracy, 2005, p. 6.

[15] Ibid.

[16] E. Falcetti, Bulgaria: Transition Success and Challenges Ahead, in Keridis, Perry e d’Assuncao Carlos, op. cit., pp. 65-81.

[17] Dati disponibili su https://www.doingbusiness.org/EconomyRankings.

[18] L. Kekic, op. cit., p. 30.

[19] European Stability Initiative, intervista con Vladimir Kissiov, 27 ottobre 2006.

[20] Consiglio europeo di Lussemburgo, Conclusioni della Presidenza, 12-13 dicembre 1997, disponibile su https://www.consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/it/ec/00400.I7.htm.

[21] Ibid.

[22] H. Mahony, Serbia receives EU membership horizon, in «EUobserver», 7 marzo 2007, disponibile su https://euobserver.com/?aid=23638.