Islam italiano e Islam europeo

Written by Massimo Campanini Friday, 29 February 2008 14:55 Print

Può essere utile giudicare e comprendere l’Islam italiano ponendolo nel contesto più ampio dell’Islam europeo. L’Islam in Europa, infatti, si sta organizzando in una rete trasversale che mira in prospettiva a una internazionalizzazione europea dell’Islam con la federazione delle organizzazioni dei singoli paesi. Questa prospettiva di fondo implica, in primo luogo, che i musulmani che vivono in Italia abbiano tutto il diritto di essere considerati «musulmani europei», sia che si tratti di italiani convertiti all’Islam sia che si tratti di musulmani doc emigrati in Italia. L’essere musulmani europei provoca però una serie di difficoltà.

In generale l’Islam europeo, tra cui l’Islam italiano, è inquadrabile in un processo di «rivincita di Dio», che caratterizza soprattutto le società islamiche, ma che non è sconosciuto in Europa. I simboli religiosi stanno tornando a pervadere le società contemporanee. Per quanto riguarda i musulmani, spesso la rivincita di Dio avviene in una situazione di marginalizzazione, nelle «banlieues de l’Islam», secondo le parole di Gilles Kepel.1 È tuttavia importante notare che i giovani, spesso musulmani, delle banlieues che bruciano nelle grandi città europee, come in Francia nei primi mesi del 2006, spesso non fanno ricorso all’Islam per sostenere le loro rivendicazioni, o almeno non necessariamente, per cui risulta surrettizia, in questo caso come in molti altri, l’immediata identificazione dell’Islam come motore della violenza sociale e politica. Anzi, ha pro- babilmente ragione Tareq Ramadan a parlare di «musulmani senza l’Islam». Egli sostiene infatti che la maggior parte dei musulmani in Europa vive una contraddizione tra la sua appartenenza identitaria e le necessità dell’integrazione. La prima non implica automaticamente la pratica costante e assidua dei doveri religiosi, mentre la seconda impone loro di inserirsi nella vita sociale e produttiva del paese di accoglienza. Essi rimangono comunque musulmani, ma appunto musulmani senza Islam, per quanto separati, più o meno definitivamente, dall’ambiente d’origine che fornisce un quadro di riferimento valoriale stabile. Ciò suscita malessere e disagio e può anche condurre a difficoltà nel processo integrativo.2

Un dato interessante è che non più del 5-10% dei musulmani italiani vanno in moschea. Un fenomeno simile viene lamentato anche dalle gerarchie cattoliche. Quanti cattolici (sulla carta) vanno a messa la domenica? È l’effetto della secolarizzazione. Una secolarizzazione che pervade anche il mondo musulmano, soprattutto quello europeo, e perciò quello italiano, lontano dai paesi d’origine e dal milieu culturale d’origine, in cui invece non si può fare a meno di respirare Islam. Come ha affermato Grace Davies, c’è una situazione di «believing without belonging and belonging without believing» (di credenza senza appartenenza e di appartenenza senza credenza), dato che l’essere musulmano come stile di vita e come identità culturale comincia ad essere contaminato da influssi esterni come ne è contaminato il cristianesimo. Da una parte, l’Islam può costituire un elemento di identità, d’altra parte si può appartenere alla comunità dei musulmani – compagni di emigrazione – senza più condividerne la fede.

Sulla stessa falsariga, Olivier Roy ha individuato diverse difficoltà e contraddizioni nell’Islam mondialisé o deterritorializzato, l’Islam che è emigrato dall’Africa (soprattutto per l’Italia) o dall’Asia in Occidente. Si assiste alla creazione di nuove identità, che possono, più o meno temporaneamente, incarnarsi in sottoculture e dare l’impressione di mantenere le identità d’origine, mentre si tratta sempre di identità ricomposte. Osservando ciò, Roy afferma che «lo sradicamento si manifesta più nella ricerca dell’universalità che nella nostalgia di un paese o di una società specifica».3

Quale si può ipotizzare essere la risposta dei musulmani deterritorializzati in Italia alle ostilità dell’ambiente che li accoglie? L’indagine potrebbe essere vastissima. In questa sede ci si limiterà a cercare di scandagliare qualche aspetto della realtà dell’UCOII, associazione che aggrega diversi gruppi di musulmani, sia italiani sia emigrati in Italia, alla luce però del fatto, come afferma Stefano Allievi, che l’Islam europeo, e in esso quello italiano, si trova sul registro della cultura «orale», mentre le tracce scritte, pur presenti, non sono prevalenti. L’Islam deve essere quindi cercato nelle moschee (pur se scarsamente frequentate), nei luoghi associativi e di incontro, nelle «voci che corrono», più che nella stampa islamica.4 E naturalmente non bisogna dimenticare il ruolo dei predicatori, la cui presenza all’interno delle famiglie e delle comunità è via via più importante, come consiglieri spirituali e indicatori di una strada da seguire.5 Tra l’altro, sembra che l’Islam italiano sia complessivamente meno «colto» di quello europeo. I documenti ufficiali dell’UCOII delineano una concezione dell’Islam tradizionalista e teologicamente di impostazione asharita: «Il concetto di ispirazione divina del Corano è decisamente diverso da quello usualmente considerato nella tradizione cristiana per la Bibbia. Nel Corano ogni singola parola è di Dio e sacra in quanto è l’esatta trascrizione del Libro sacro che è in Cielo presso Dio. L’ortodossia islamica ammette l’eternità del Corano in quanto parola di Dio, ovvero uno dei suoi attributi, tutti eterni come Dio stesso».6

Questa affermazione limita evidentemente lo spazio del lavoro di analisi storica delle fonti e anche i seguenti riferimenti teologici sono in fondo scontati. Vi sono alcuni elementi fondamentali in cui ogni musulmano ortodosso è tenuto a credere. Innanzitutto, Dio esiste e la prova della sua esistenza è la causalità efficiente a partire dal mondo contingente. La causa del mondo è Dio: è causa eterna, insostanziale, incorporea, che non sta in nessun luogo. Il concetto base del Corano è l’unità-unicità di Dio: Dio è uno in sé ed è unico, ovvero non ha associati. Questo elemento è più volte ribadito all’interno del Corano ed è sentito come molto forte in opposizione al cristianesimo, accusato di attribuire «associati» a Dio, ovvero Cristo e lo Spirito Santo. Questa unità-unicità è rigorosamente sancita dal Profeta nella formula La ilaha illa Allah (non vi è divinità se non Dio), che rappresenta la prima parte della professione formale di fede o shahada. Gesù è visto come un grande profeta, l’ultimo dei profeti prima di Muhammad, ma non è Dio. È un uomo come gli altri, cui Allah ha affidato una rivelazione che poi i suoi seguaci hanno in parte frainteso e falsificato, in primo luogo divinizzando la sua persona. Maria è una donna privilegiata, una santa, che ha concepito in modo verginale Gesù, per volere di Allah, ma che non può certamente essere associata a Dio come sua sposa né esserne la madre essendo Dio assolutamente ingenerato.

Lo stesso commento alla sua traduzione del Corano di Hamza Piccardo, segretario dell’UCOII, presenta aspetti di neo-tradizionalismo. Basti leggere alcune note relative alla condizione della donna. Commentando il versetto 2.228, dove si legge che gli «uomini sono superiori», Piccardo scrive che l’uomo e la donna sono due realtà complementari inscindibili; essi sono tuttavia diversi sia sul piano fisico, perché l’uomo sarebbe capace di grandi sforzi mentre la donna è più incline a sopportare il dolore, sia sul piano psicologico, perché l’uomo privilegerebbe la dimensione esteriore, extra-familiare, mentre la donna quella interiore, cosicché l’uomo sarebbe teso all’affermazione dell’io, mentre la donna alla conservazione della tradizione e dei valori. Questa complementarietà non esclude tuttavia che si ponga il problema della «guida» della famiglia e della società. Secondo Piccardo, Dio affida questo ruolo di guida al maschio, anche se ciò non significa, almeno sul piano etico, disconoscimento della prevalenza femminile in altri settori e capacità, riservati per esempio all’ambito dell’educazione, soprattutto religiosa, dei figli, in cui la responsabilità femminile è elevata. I Fratelli Musulmani, ad esempio, patrocinano l’istruzione delle donne proprio a causa di questa loro responsabilità civica.

È chiaro che una simile differenziazione risulta forse comprensibile per la Medina del Profeta, ma che evocarla oggi risulta rischioso per l’immagine dei musulmani italiani. Se consideriamo ora la bibliografia consigliata dell’UCOII che si trova in rete, essa indica come essenziali alcuni testi dei Fratelli Musulmani: di Sayyid Qutb, di Muhammad Qutb e di Tareq Ramadan. Anche un opuscolo di Hasan al-Turabi è stato tradotto in italiano. Si tratta in ogni caso di quattro autori molto differenti, che hanno una biografia diversa e che hanno assunto posizioni teoriche anche divergenti. Come già notato, il riferimento immediato è ai Fratelli Musulmani. Dal punto di vista teorico, l’obiettivo principale del pensiero e dell’azione dei Fratelli Musulmani consiste nella creazione dello Stato islamico partendo da una ricostruzione della società islamica basata a sua volta sul rafforzamento della famiglia islamica. Questo presupposto è rintracciabile sia negli scritti di al-Banna, sia nel programma ufficiale in rete dei Fratelli Musulmani egiziani.7 I metodi sono essenzialmente quelli della persuasione, dell’educazione e della propaganda. Il mainstream dei Fratelli Musulmani, a partire da al- Banna per passare attraverso al-Hudaybi, al-Tilimsani e arrivare alla dirigenza attuale, ha sempre rifiutato la lotta armata e preso le distanze dal terrorismo. Non è un caso, infatti, che al-Zawahiri riservi ai FM le più ardenti parole di disprezzo e di condanna.8

Quanto di questi obiettivi e di questo metodo sono rintracciabili nei documenti dell’UCOII? Il documento ufficiale afferma che «la famiglia è il fondamento della società islamica», ma nulla dice riguardo allo Stato. Anzi, in una intervista Piccardo sembra insistere sul carattere laico dello Stato:9 Rispondendo alla richiesta di commentare la pretesa di un confratello, Adel Smith, di togliere i crocifissi dalle aule scolastiche, Piccardo ha sostenuto che la questione è delicata in Italia. Lo Stato è per natura una istituzione laica, ma l’Italia ha una storia particolare, in cui potere politico e potere religioso vanno di pari passo. Ciò è dimostrato dal ruolo del tutto peculiare che il Vaticano ha nel nostro paese e dal tipo di rapporti che si sono intrattenuti tra lo Stato laico e l’istituzione religiosa. La situazione in Italia è diversa da quella spagnola, un paese molto cattolico, ma in cui la laicizzazione dello Stato ha avuto una grande accelerazione e in cui la Chiesa ha subito un duro colpo per la sua compromissione col franchismo. In tal senso, Piccardo ritiene di dover prendere le distanze da Smith e di augurarsi che la gente rimanga legata ai valori, anche perché i valori di cui è portavoce il Cristo sono universali. Per quanto riguarda la Nota informativa sull’UCOII, essa stabilisce che l’organizzazione mette a disposizione dei musulmani una serie di servizi: unicità di rappresentanza di fronte alle istituzioni dello Stato; orientamento tecnico-legale e amministrativo; organizzazione di attività culturali comuni e di mediazione culturale; convegni, congressi e campeggi; raccolta e distribuzione di informazioni; attività sociali e umanitarie; produzione e distribuzione di materiali stampati e audiovisivi; studio ed elaborazione di programmi e di proposte generali nei settori dell’istruzione tradizionale, tecnica e della formazione professionale; relazioni economiche tra mondo produttivo italiano e paesi islamici. Questa discussione, che ha fatto emergere elementi tradizionalisti, ma anche di organizzazione sociale non superficiale, dimostra da un lato che le organizzazioni islamiche in Italia sono alla ricerca di una universalità, cioè di una identità, in una situazione di allontanamento oggettivo dall’Islam (quello che Roy chiamava «sradicamento») di molti immigrati, soprattutto di seconda o terza generazione; e, dall’altro, induce a prendere sul serio l’ammonizione dello stesso Roy di evitare la banalizzazione dell’islamismo.10 Banalizzazione che è sempre presente quando si guardano i fenomeni da un solo punto di vista e che non è l’ultimo dei difetti di gran parte della stampa italiana così come degli islamologi improvvisati. Già Gilles Kepel, nella conclusione del suo primo libro del 1983 sul radicalismo islamista, annotava: «Al di là dei vocaboli comunemente usati, possiamo osservare due approcci al movimento [islamico radicale]. Quello più comune è ispirato dalla polemica e riduce i militanti islamisti a terroristi fanatici atavicamente arretrati: chi vede gli islamisti in questo modo, di questo libro conserverà solo l’antisemitismo della rivista ‘al-Da’wa’ e la sete di sangue cristiano di Karam Zuhdi, e si farà beffe delle considerazioni dello shaykh Kishk sulla vagina della Vergine Maria. Ignorerà tutto ciò che può intaccare le sue splendide certezze, considererà insignificante l’opera di Qutb e priva di interesse la risocializzazione tentata da Shukri Mustafà».11

Facendo la tara delle semplificazioni, bisogna tenere nel dovuto conto gli elementi caratterizzanti. Nella convinzione che, dal punto di vista degli attivisti dell’UCOII, la società del futuro debba essere islamica e che l’obiettivo rimane la costruzione dello Stato islamico, il problema della costituzione di uno Stato islamico in presenza di un Islam mondialisé ovvero di un Islam europeo si può presentare come la ricostituzione di una federazione di gruppi e di organizzazioni islamiche che prefigurano il califfato. In quest’ottica, l’influenza dei Fratelli Musulmani sull’Islam italiano non ha senso se non proiettandone la prospettiva in dimensione europea.12

La prospettiva di una internazionalizzazione europea dell’Islam con la federazione delle organizzazioni dei singoli paesi, ossia, in altri termini, la delocalizzazione dall’Italia all’Europa del problema della presenza e della integrazione dei musulmani, ne modifica profondamente la natura e il carattere.13 Del resto questa delocalizzazione europea non può tagliare i ponti con le organizzazioni madri nei paesi arabi, soprattutto in Egitto, dove però, come sottolinea Laura Guazzone, è possibile «apprezzare l’evoluzione del discorso dei Fratelli Musulmani egiziani verso posizioni di indubbia moderazione ideologica».14 Oltre ai Fratelli Musulmani in Egitto o, sempre in Egitto, al nuovo partito Wasat, si tratta del Fronte di azione islamica in Giordania, dell’Unione Riformista Yemenita e del Partito della Giustizia e dello Sviluppo e di Giustizia e Carità in Marocco.15 Di fatto, queste correnti sono profondamente ramificate e presenti nella società civile dei paesi islamici e in particolare dei paesi arabi, e il confronto con esse è inevitabile se si vuol avere a che fare con interlocutori che ottengono ascolto nelle rispettive realtà sociali. L’Islam deterritorializzato ed «europeo» dunque, di cui quello italiano deve essere considerato parte costitutiva, non può fare a meno di confrontarsi con influssi esterni: ciò può avere ricadute anche importanti sulle formulazioni dottrinali del nuovo Islam ormai presente in Europa. Le tendenze dialettiche, conservatrici da una parte ma dall’altra desiderose di assimilazione, dell’Islam italiano ed europeo devono essere monitorate con attenzione per cogliere tutti i possibili sviluppi futuri di una realtà che è ormai parte integrante della società europea.

 

[1] G. Kepel, La rivincita di Dio, Rizzoli, Milano 1991.

[2] T. Ramadan, Essere musulmano europeo, Città Aperta, Troina 2002, pp. 255-256.

[3] O. Roy, L’islam mondialisé, Seuil, Parigi 2002, pp. 11 e 62-63.

[4] S. Allievi, Introduzione, in Ramadan, op. cit., p. 23.

[5] Cfr. anche il libro reportage di F. Sabahi, Islam: identità inquieta dell’Europa, Il Saggiatore, Milano 2006.

[6] In www.islam-ucoii.it/faq.htm.

[7] Cfr. il sito www.ikhwanonline.com/Principles.asp e www.ikhwanonline.com/Target.asp. Una traduzione e analisi di questi documenti è in corso di stampa: M. Campanini, The Creed of the Muslim Brothers in Egypt, in D. Bredi, L. Capezzone (a cura di), volume in onore di Biancamaria Scarcia Amoretti, «Rivista degli Studi Orientali», in corso di stampa.

[8] Cfr. G. Kepel (a cura di), Al-Qaida dans les textes, Puf, Parigi 2005, pp. 235-235 e 245 ss.

[9] Cfr. il sito www.peacereporter.net.

[10] In Roy, op. cit.

[11] G. Kepel, Il profeta e il faraone, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 199.

[12] Cfr. il sito www.fioe.org, website della Federation of Islamic Organizations in Europe.

[13] Si veda il documento della FIOE tradotto e pubblicato in appendice in M. Campanini, K. Mezran, Arcipelago Islam. Tradizione, riforma e militanza in età contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2007.

[14] L. Guazzone, La transizione politica in Egitto, tra liberalizzazione di regime, intifadah al-islah e Fratelli Musulmani, in «Oriente Moderno», 2-3/2005, pp. 455-482 e p. 463.

[15] A. Hamzawy, The Key to Arab Reform: Moderate Islamists, in «Policy Brief», 40/2005, disponibile anche su www.carnegieendowment.org/publications/index.