Presentazione 4/2006

Written by Redazione Friday, 01 September 2006 02:00 Print

Questo numero della rivista è largamente dedicato al Partito Democratico. Come nota Alfredo Reichlin nel suo editoriale, è finito un lungo ciclo politico, quasi vent’anni di una transizione che non si è ancora compiuta. Il problema nazionale, che consiste nella necessità di riposizionare l’Italia rispetto alle sfide della globalizzazione e del nuovo salto tecnologico, è rimasto sostanzialmente irrisolto. È da qui che bisogna partire se si vuole creare un nuovo soggetto politico da mettere in campo, ma anche una cultura politica che non sia solo il residuo della grande analisi gramsciana sull’Italia del risorgimento incompiuto. La modernizzazione è avvenuta, continua Reichlin, ma una nuova lettura del paese come parte di un nuovo attore globale, quale è chiamata ad essere l’Europa, non è stata data.

Questo numero della rivista è largamente dedicato al Partito Democratico.

Come nota Alfredo Reichlin nel suo editoriale, è finito un lungo ciclo politico, quasi vent’anni di una transizione che non si è ancora compiuta. Il problema nazionale, che consiste nella necessità di riposizionare l’Italia rispetto alle sfide della globalizzazione e del nuovo salto tecnologico, è rimasto sostanzialmente irrisolto. È da qui che bisogna partire se si vuole creare un nuovo soggetto politico da mettere in campo, ma anche una cultura politica che non sia solo il residuo della grande analisi gramsciana sull’Italia del risorgimento incompiuto. La modernizzazione è avvenuta, continua Reichlin, ma una nuova lettura del paese come parte di un nuovo attore globale, quale è chiamata ad essere l’Europa, non è stata data.

I contributi che presentiamo in questo numero si confrontano, da diversi punti di vista e con diversa prospettiva, con questo tema di fondo. Come è consuetudine della rivista li abbiamo voluti raggruppare in rubriche, chiedendo agli autori di restare per quanto possibile nell’ambito dei temi che abbiamo chiesto loro di trattare. Questo mandato è stato rispettato fino a un certo punto, ma è naturale che sia così. Il tema del Partito Democratico, proprio perché si colloca in un momento così fondamentale della storia del paese, è inevitabilmente multiforme e multidimensionale, con argomenti che si intrecciano e si sovrappongono. Il dibattito sul Partito Democtratico è dunque un dibattito continuo e proseguirà anche nei prossimi numeri della rivista.

A partire da queste premesse, la prima rubrica è dedicata alle radici storiche. In questo quadro Giuseppe Vacca affronta in particolare un tema, evocato dalla eterogeneità ideale originaria dei riformismi che oggi si vogliono unire in un partito: la matrice socialista e quella cattolica. Giovagnoli riprende il tema della transizione incompiuta per sottolineare come, nel ragionare di matrice socialista e matrice cristiana, si corre il rischio di guardare più al passato che al futuro, mentre la nascita di una nuova formazione politica dovrebbe sollecitare – non solo in chi la promuove – una riflessione di fondo su dove stiamo andando e dove vogliamo andare. Guardando avanti bisogna poi ricordare che lo scontro sui valori è per sua natura allergico alle mediazioni politiche o alle soluzioni pratiche. Luciano Cafagna porta avanti la riflessione storica ricordando che alle spalle della proposta del Partito Democratico c’è il grosso della storia della prima Repubblica: una parte minoritaria della dissolta DC; il grosso del vecchio PCI; forse una esile frangia del PSI. Il passato, dice Cafagna, pesa di più per quanto riguarda l’ex comunismo. Meno visibile, ma probabilmente non assente, è il vecchio stile democristiano nella Margherita, che sembra offrire ranghi più rinnovati.

Roberto Gualtieri e Vittorio Campione affrontano la tematica del Partito Democratico dal punto di vista della cultura politica. Gualtieri parte dal riconoscimento che la presenza di un forte gap tra voto maggioritario e voto proporzionale ha costituito uno degli indicatori più chiari della difficoltà e dei limiti del sistema politico della seconda Repubblica. Questo esprime una potenzialità per un rinnovamento politico, ma perché da questa potenzialità scaturisca una nuova soggettività politica, occorre affrontare il nodo della cultura politica. Il primo punto su cui è necessario impostare una riflessione, dice Gualtieri, riguarda l’idea d’Italia su cui deve fondarsi il nuovo partito; il secondo riguarda il nodo dei soggetti politici e delle istituzioni; il terzo la visione del passato. Vittorio Campione approfondisce il tema sottolineando come la passione civile ed etica ha bisogno di formazione specialistica, di competenze teorico-pratiche, di tecnica. In questo contesto, il tema del rapporto con le scuole e le iniziative formative e di ricerca esistenti va affrontato responsabilmente.

Strettamente legata al dibattito sulla cultura è la sempre verde questione degli intellettuali e la politica. Salvatore Biasco, in un lungo saggio, ripercorre il cammino dei rapporti tra gli intellettuali e le forze politiche della sinistra nel recente e meno recente passato. Era nell’ordine delle cose, dice Biasco, che con la laicizzazione del maggior partito della sinistra dovesse dissolversi la rappresentazione gramsciana dell’intellettuale. Ma la vecchia cultura comunista non è scomparsa, piuttosto è stata affiancata dalle più svariate suggestioni e idiomi. Un approdo riformista è stato raggiunto attraverso una «volontà». Guadagnae l’approdo è stato più veloce che maturare pienamentei una vera e propria cultura riformista. Sullo stesso tema Schirru sostiene che non c’è dubbio che nei DS non ci sia un network tra cultura politica, gruppi sociali di riferimento, circolazione interna delle élite, selezione dei quadri, formazione dei militanti, parole d’ordine politiche e progetti di governo del paese. Se ci fosse stato si sarebbe non solo compiuta definitivamente la costruzione di un moderno partito della sinistra europea, ma soprattutto si sarebbe compiuta la transizione della politica italiana verso un nuovo sistema di partiti, dal momento che, per effetto di una tale impresa, sarebbero costrette a organizzarsi in uguale modo tutte le altre forze. Passando a considerare i rapporti tra società civile e partito, Innocenzo Cipolletta pone una domanda rilevante. È possibile la nascita di un nuovo partito politico mentre le componenti sociali e politiche che dovranno comporlo sono già al governo? Cipolletta non ha una riposta, ma nota che oggi una destra, quale quella italiana che pretende di rappresentare soprattutto professionisti, proprietari, imprese, manager, che si raffronta ad una sinistra che si ritiene rappresenti soprattutto salariati, impiegati, pensionati, disoccupati e simili, è un assetto del passato. Compito di una nuova formazione politica deve essere quello di aumentare al massimo il numero dei soggetti che si adattano al cambiamento, riducendo i disagi di quanti restano indietro.

Ma, sostiene Floridia, un partito nuovo richiede anche un diverso sistema elettorale. Un’offerta elettorale frammentata sollecita e incentiva la frammentazione della risposta degli elettori. Anche lontano dalle elezioni questa logica competitiva crea forti incentivi ad una ricerca esasperata di visibilità e di distinzione. Quindi le potenzialità espresse dall’Ulivo sono fortemente condizionate dall’evoluzione che avrà, o non avrà, il nostro sistema elettorale. Sergio Chiamparino, infine, interviene sull’identità del PD. I processi identitari non sono figli dei documenti congressuali e delle assemblee programmatiche, ma di un sentimento comune. Siamo di fronte a un problema tutto italiano, dice Chiamparino, di identità irrisolta, incompiuta. E prosegue sostenendo che il paradigma classico della socialdemocrazia resta valido nei suoi fondamenti, anche nei confronti delle sfide del nuovo millennio. Ma rimane, comunque, la sensazione che manchi nel centrosinistra una forza capace di imprimere il tono e sostenere il passo del cammino del governo.

Nella sezione dedicata al modello di partito Filippo Andreatta parte dall’affermazione che non basta semplicemente una nuova formazione politica, che aggreghi i partiti esistenti, ma serve un soggetto politico che prefiguri una nuova forma partito. In questo senso il Partito Democratico o sarà un partito aperto o non sarà, e dovrà basarsi su un’elaborazione programmatica pluralista e una struttura aperta agli elettori. Se il punto di riferimento del nuovo partito è il «popolo delle primarie», allora l’unico modo per coinvolgerlo è quello di richiamarlo alle urne per esprimersi direttamente. Andrea Orlando si chiede: a cosa si andrà incontro se non accade nulla nell’attuale assetto del centrosinistra? A fronte della dialettica che si è aperta nel centrodestra, a seguito della sconfitta di aprile, è irrilevante il grado di successo del processo unitario nel centrosinistra? Come si affronta il tema della debolezza della politica in questo paese? Chiudono la rubrica Fabio Basagni e Adriana Sbarbati, che discutono del contributo «repubblicano» alla nascita del Partito Democratico. Nell’era del bipolarismo italiano la scelta di campo nell’area riformista e di centrosinistra è in linea con la storia del movimento repubblicano. Il profilo fondamentale del rapporto tra Partito Democratico e cittadino, proseguono gli autori, dovrà essere basato sulla laicità dell’operare politico. E la priorità assoluta di un progetto riformista è far funzionare e rendere credibile lo Stato, come erogatore di servizi e garante di regole, non come fornitore di sussidi.

Nella ampia rubrica su etica e politica, Claudia Mancina parte dal presupposto che la formazione di un nuovo partito è l’occasione per ripensare in modo serio la laicità e il rapporto tra etica e politica in un contesto in cui i cattolici sentono la perdita di un’identità politica e pensano di compensarla con un rafforzamento del legame con l’etica cattolica e con gli insegnamenti della Chiesa. La politica è lo spazio della convivenza con altri che hanno diversi valori etici e la laicità è accettazione del fatto che la politica è negoziazione tra diverse etiche, oltre che tra diversi interessi. Nella stessa rubrica, Ignazio Marino approfondisce un aspetto particolare, ma molto rilevante nel dibattito corrente: la bioetica e i temi eticamente sensibili, che sono usciti dal ristretto circolo di discussione di specialisti e accademici. Marino sostiene che le decisioni su quali limiti porre all’utilizzo e alla manipolazione degli embrioni non possono essere considerate un affare privato, tanto meno religioso, ma molte delle difficoltà con cui la politica si trova oggi a confrontarsi sono da attribuire alla scarsa conoscenza degli argomenti scientifici. Sarebbe auspicabile aprire a livello europeo dei tavoli di discussione sulle tematiche etiche. In Italia un appuntamento che a breve metterà alla prova la politica italiana si presenterà con la discussione della legge sul «testamento biologico». Per creare una seria consapevolezza del significato del testamento biologico non basterà però una buona legge, ma saranno fondamentali campagne di informazione corrette e capillari. Vittoria Franco preferisce chiamare il partito nuovo Partito Democratico dell’Ulivo. Ma al di là di questo aspetto prende atto che sul versante dei valori e della cultura esistono differenze e che la mediazione non può significare rinuncia alle proprie convinzioni morali e religiose, ma ricerca comune nella prospettiva del rispetto del pluralismo e della laicità dello Stato.

Nella stessa rubrica Barbara Pollastrini e Gianni Cuperlo riconoscono che anche per quanto concerne il rapporto tra l'etica e la politica l'11 settembre 2001 è una data che sancisce una rottura, con l'uso politico di una rigenerata religiosità, come nell'esperienza americana dei teo-con, ma anche rigurgiti di nazionalismo sui quali hanno avuto buon gioco le destre europee di impronta radicale e neo-fascista. I due autori si interrogano poi su quali materie la politica abbia potestà e legittimazione per decidere e su quali non possa che arrendersi dinanzi alla propria inidoneità. Dalle risposte a queste domande dipende non solo l'autorevolezza della politica, ma il significato reale del termine laicità.

Giorgio Tonini sostiene che forse proprio per la sua problematicità, il nodo delle questioni etiche è stato invece in questi anni più accantonato che affrontato dai gruppi dirigenti del centrosinistra, mentre il centrodestra ha pensato di risolvere il delicato e complesso problema del rapporto tra politica e questioni etiche affidandone e quasi appaltandone la soluzione alla Chiesa. Serve invece una proposta politico-culturale, non un contenzioso giuridico-formale sulle ingerenze ecclesiastiche e sulle violazioni del Concordato. Infine Schirru, in un secondo contributo per questo numero della rivista, sottolinea che un partito politico non è un’impresa. E la partecipazione alla creazione del nuovo partito è mossa innanzi tutto da ideali, speranze per il futuro, desiderio di una vita migliore, grandi opzioni sul mondo di domani. Gran parte del dibattito sui partiti seguito ai primi anni Novanta ha spesso invece ulteriormente amplificato le difficoltà che nascono da un’identificazione troppo stretta di etica e politica.

Il dibattito sul PD si conclude con una serie di interventi di autorevoli esponenti politici progressisti non italiani. Tarso Genro, dal suo osservatorio brasiliano, parte dalla considerazione che la democrazia rappresentativa, creata più di due secoli or sono, non si è mai rinnovata. Allo stesso tempo, il contesto globale, in rapido mutamento, produce condizioni di disuguaglianza sociale e di apprensione collettiva in ampi strati della popolazione. Occorre perciò lavorare per la formazione di un’opinione pubblica democratica, perché la formazione di nuovi partiti democratici è indispensabile per rispondere ai nuovi problemi posti dalla globalizzazione. Da una prospettiva europea, Denis McShane sottolinea come nuove tematiche, quali la questione ambientale e i cambiamenti nella politica di genere e in quella della famiglia, hanno reso necessarie risposte che non figurano nei testi classici. La necessità di trovare nuove riposte discende anche dal fatto che, allo stato attuale, le organizzazioni internazionali dei partiti della sinistra presentano, secondo McShane, un certo grado di incoerenza. Martin Schulz colloca la discussione sul PD nel quadro europeo, nella consapevolezza che le politiche europee influenzano la vita di milioni di cittadini. In particolare dopo la crisi legata ai due referendum in Francia e in Olanda, e allo stallo sulla Costituzione europea, occorre rafforzare l’azione comune in Europa e contribuire finalmente a costruire l’Europa politica. Questo l’obiettivo che il gruppo socialista intende perseguire al Parlamento europeo, con le altre forze europeiste, democratiche, progressiste e riformiste. Chiude la rubrica un contributo di George Papandreou, secondo il quale la prima importante sfida che ci troviamo ad affrontare è quella di democratizzare la globalizzazione. Le forze progressiste europee, infatti, non rifiutano la globalizzazione in quanto tale, ma mirano a renderla più democratica e a porne al centro il cittadino. I partiti progressisti devono quindi sviluppare meccanismi per lo scambio di idee fra di loro e favorire la nascita di procedure e metodi miranti al loro rinnovamento. In questo quadro, a giudizio dell'autore, la costituzione di un nuovo Partito Democratico italiano può essere un elemento propulsore nel rilancio del processo di integrazione politica e sociale dell'Europa.

Il numero della rivista contiene anche, in chiusura, una rubrica dedicata al Medio Oriente, alla luce dei fatti dell’estate appena trascorsa. Carlo Pinzani parte da un’analisi della situazione politica in Palestina, dove Hamas è prevalsa nella competizione elettorale in forme che nessuno ha contestato, pur nel clima della guerra globale al terrorismo. Quel che sembra essere stato decisivo nello scatenare le ostilità sul confine israelo-libanese, sostiene Pinzani, è l’accordo che si veniva profilando tra Abu Mazen e Hamas. Bene hanno fatto, allora, i governi dei paesi europei ad insistere perché il disarmo di Hezbollah venisse considerato una questione interna libanese. Renzo Guolo approfondisce l’analisi di Hezbollah, che da tempo non è più un piccolo gruppo che deve radicalizzare la sua azione per sopravvivere. Per gli sciiti Hezbollah è il «partito della rivincita», dei «diseredati» nei confronti di uno Stato che li ha lungamente trascurati, dei libanesi contro gli occupanti stranieri, Israele in primis. Il «Partito di Dio», dice Guolo, non si limita solo a redistribuire il reddito, ma anche a crearlo. Il «Partito di Dio», dunque, è forte e influente nella scena politica libanese e in quella regionale. Guardando al futuro, solo una soluzione su scala regionale può permettere una soluzione duratura. In questo quadro per la prima volta l’Europa ha la possibilità di emergere come soggetto politico in grado di far valere la sua posizione in un teatro decisivo per la stabilità internazionale. Infine, Fabio Nicolucci colloca l’attuale situazione in Medio Oriente in prospettiva storica. Al contrario che nel 1956, quando in Medio Oriente a Francia e Gran Bretagna si sostituirono gli USA, oggi nessuno sembra poterne prendere ancora il posto. Inoltre, l’intervento in Iraq ha profondamente cambiato il Medio Oriente. Prima diviso tra arabi e non arabi, dopo l’Iraq il Medio Oriente tende a dividersi tra sciiti e non sciiti, e poi, come in ogni fase costituente, anche tra radicali e moderati. Il quadro è reso più complesso dal fatto che in Medio Oriente le identità sono sempre molteplici. Anche per questo la comunità internazionale deve varare con urgenza un grande programma politico di ricostruzione della statualità.