Giovani e nomadismo politico nella società 2.0

Written by Sara Bentivegna Tuesday, 21 June 2011 16:14 Print
Giovani e nomadismo politico nella società 2.0 Illustrazione di Guilherme Kramer

La politica e la società contemporanee devono confrontarsi con una generazione di giovani che si identifica in forme di appartenenza e di rappresentanza diverse da quelle del passato. Più autonomi e creativi, meno strutturati e costanti, i nuovi mezzi di aggregazione e di partecipazione rifiutano le strutture dei partiti tradizionali, che devono cogliere l’occasione e fare di questi strumenti il canale privilegiato di coinvolgimento dei giovani.


Le ragioni dello scontento

Il disagio che attraversa le giovani generazioni, siano esse abitanti della vecchia Europa o dei moderni Stati arabi, nonché le molteplici forme espressive che esso assume, rappresentano un tratto costitutivo e ineludibile delle società contemporanee. Le ragioni di tale disagio, per lo meno per quanto riguarda l’Italia, sono largamente note ed efficacemente descritte nel Rapporto annuale dell’Istat recentemente pubblicato: i giovani dai diciotto ai ventinove anni sono i soggetti più colpiti dalla recessione economica, con un saldo negativo di quasi 500.000 unità solo nel corso del biennio 2009-10. Questo dato si salda a quello relativo al tasso di occupazione – già attestatosi al 47,7% nel 2008 – che ha subito un’ulteriore contrazione, pari a circa 6 punti percentuali.

Nel 2010, dunque, in Italia quasi il 60% dei giovani non figurava tra gli occupati. A questa condizione di evidente marginalità sociale si deve aggiungere il fenomeno dell’abbandono scolastico, attestatosi nel 2010 al 18,8%. Il combinato disposto di queste due condizioni alimenta e infoltisce le fila dei cosiddetti NEET (Not in Education, Employment or Training): un vero e proprio esercito di giovani che non lavorano e non studiano.

Questa sorta di “limbo” esistenziale, dove non si è né impegnati nella costruzione di un futuro tramite lo strumento dell’istruzione, né nella condizione di produrre reddito per vivere un presente sia pure incerto, incorpora ed esemplifica le conseguenze individuali e sociali dell’affermazione della “modernità liquida” teorizzata da Zygmunt Bauman, ovvero di una modernità nella quale «l’onere di tesserne l’ordito e la responsabilità del fallimento ricadono principalmente sulle spalle dell’individuo».[1] A una grande libertà, dunque, fa da contraltare il grande rischio del fallimento, che può lasciare l’individuo ancora più solo nel bel mezzo di una narrazione priva di un filo conduttore in grado di attribuirvi senso e significato.

La sensazione di spaesamento che si intuisce appartenere alle giovani generazioni risulta alimentata dall’impossibilità di assumere un ruolo coerente in quella narrazione che si è bruscamente interrotta senza che un’altra sia stata offerta in sostituzione. Piuttosto che l’esperienza della tessitura della trama di un’esistenza, i giovani sembrano vivere quella del fallimento, incapaci – per usare le parole di Ulrich Beck – di trovare soluzioni biografiche a contraddizioni sistemiche. In un’epoca che è stata definita come caratterizzata dalla “politica della precarizzazione”, appare davvero difficile costruire progetti per il futuro se non, addirittura, immaginarne uno, come desolatamente denuncia uno slogan apparso sui muri di una grande città: «Il futuro di oggi non è più quello di una volta».


Il nomadismo culturale e politico dei giovani

Immersi in una società così caratterizzata, i giovani tentano di trovare vie di uscita gridando la loro indignazione – come nel caso degli indignados spagnoli – o rivendicando il diritto a vivere nel presente – come invece fanno i giovani italiani che si riconoscono nello slogan «Il nostro tempo è adesso». Le condizioni di precarietà, incertezza e disoccupazione alimentano proteste e mobilitazioni talvolta vincenti, come nel caso dei giovani arabi, talvolta inefficaci, come quelle dei giovani italiani, talvolta tali da produrre, addirittura, un’eterogenesi dei fini, come nel caso dei giovani spagnoli che hanno contribuito involontariamente alla sconfitta del partito socialista spagnolo nelle ultime elezioni amministrative. In tutti questi casi, al di là delle condizioni oggettive di disagio proprie di ciascuna situazione, si rintracciano distanza ed estraneità verso i tradizionali mediatori delle istanze politiche, vale a dire i partiti. Estraneità, indifferenza, talvolta aperta e dichiarata conflittualità accompagnano i rapporti con i partiti, ai quali fanno da contraltare adesioni a comunità “guardaroba” – alle quali cioè si aderisce temporaneamente, marginalizzando eventuali differenze di interesse individuale in nome di un interesse di gruppo. Pur se caratterizzate da legami deboli, queste adesioni consentono l’affermazione di scelte identitarie e l’espressione di forme di lotta e protesta altrimenti difficili da realizzare in assenza di strutture organizzative.

Certo, si è di fronte ad adesioni temporanee, ma tale elemento restituisce quel tratto di nomadismo che caratterizza l’uomo contemporaneo, il quale – proprio perché riconosce l’importanza del “sentimento di appartenenza”, per usare un’espressione di Michel Maffesoli, come fondamento della vita – tenta di “viverlo” nella quotidianità, adattandosi a ciò che è disponibile. Si tratta, tuttavia, di un sentimento di appartenenza che diviene sempre più difficile da vivere per soggetti che non sono inseriti nel mondo del lavoro, o della scuola, non hanno un ruolo assegnato per il futuro e che possono contare solo sul dato biografico per assumere un’identità nel presente. La forza di questo sentimento produce il ritorno al cosiddetto fenomeno del “tribalismo” – come è stato definito dallo stesso Maffesoli – inteso come pulsione a stare in contatto l’uno con l’altro, condivisione di sentimenti ed esperienze. Tracce di queste pulsioni si possono individuare nelle piazze piene di giovani, dove nella protesta contro una forzata marginalità si colgono elementi di vitalismo e antagonismo, indignazione e creatività.

Il nomadismo, prima culturale e simbolico e poi politico, diviene così la cifra caratterizzante le nuove generazioni, che trovano nell’adesione temporanea a una comunità l’opportunità di vivere il sentimento dell’appartenenza nonché di realizzare scelte identitarie. La protesta contro la riforma universitaria, l’adesione al “popolo viola”, la rivendicazione del diritto a vivere nel presente, ma anche la mobilitazione a favore di un candidato sindaco nel cuore dell’impero berlusconiano o in un Sud stremato dall’incuria e dalle scorribande di potentati locali sono solo alcune delle occasioni che hanno visto i giovani italiani impegnarsi in prima persona, mostrando profonda e coraggiosa adesione a comunità di sentimenti e progetti politici.

Certo, l’adesione e l’impegno sono intermittenti, ma comunque tali da fare intuire la forza e l’impatto del coinvolgimento dei giovani nella lotta politica nonché di fare la differenza ai fini del risultato elettorale.


Giovani e media sociali: il potere dei legami deboli

Questa nuova forma di nomadismo esistenziale e politico trova il suo ambiente naturale di crescita e sviluppo nel mondo del web, divenuto ormai un ambiente sociale vero e proprio. È in quel mondo, infatti, che molte delle forme e delle occasioni di mobilitazione citate sono nate e cresciute a testimonianza della natura del vero potere della rete. Estranei e insofferenti all’influenza strutturata dei partiti, i giovani sono i soggetti in grado di creare e valorizzare i “legami deboli” dei media sociali per creare comunità, costruire identità, affermare una presenza, prendere la parola come cittadini portatori di istanze e bisogni.

Nel nuovo ambiente, l’esercizio dei diritti di cittadinanza è divenuto l’indicatore più chiaro degli effetti di empowerment individuale e sociale resi possibili dal fenomeno della digitalizzazione. La tanto evocata generazione digitale ha oggi, finalmente, raggiunto piena autonomia espressiva e politica e gli effetti di tale processo divengono sempre più evidenti: le comunità, i gruppi, le tribù si costituiscono sempre più spesso a partire da legami deboli che si coltivano tramite il ricorso ai media sociali. Che si tratti di organizzare una flash mob di protesta, di far circolare un resoconto aggiornato e non censurato su ciò che sta accadendo in un paese, di diffondere le coordinate di specifici eventi, di invitare i cittadini al voto, di utilizzare la satira per sostenere i candidati, di cliccare semplicemente su una pagina per condividerla, si è sempre in presenza di espressioni di identità e appartenenza rese possibili dal web sociale. Poco importa che siano presenze estremamente volatili, con un ciclo vitale talvolta di poche settimane; ciò che importa è la possibilità di aggregazione che viene a rendersi possibile, a cui si aggiunge l’incredibile autonomia espressiva e di iniziativa. La specificità e la forza della dimensione della disintermediazione attribuita al web si saldano così alle esigenze della net generation in cerca di appartenenza ma lontana dalle tradizionali appartenenze politiche, in grado di mobilitarsi ma solo a condizione di piena autonomia, capace di esprimersi con grande creatività ma solo in contesti non strutturati. In breve, ai giovani in cerca di appartenenza e identità il web offre gli strumenti utili ad aggregarsi a una tribù con la quale condividere un tratto di cammino e un obiettivo comune.

La storia più recente ci consegna numerosi esempi di tali modalità di aggregazione: dal contributo alla campagna di Howard Dean nel 2004 fino al ruolo fondamentale nel successo elettorale di Barack Obama, dai tweet che hanno raccontato e sostenuto i giovani nelle manifestazioni egiziane e tunisine alle convocazioni nelle piazze spagnole degli indignados, dalle migliaia di post che hanno ridicolizzato dichiarazioni improvvide di candidati timorosi di perdere le elezioni all’esplosione di creatività che ha sostenuto un candidato beneducato ingiustamente attaccato. Insomma, in tutti questi casi i giovani hanno prontamente risposto ai numerosi appelli loro rivolti alla partecipazione e mobilitazione, utilizzando i media sociali per costruire reti e racconti diversi da quelli diffusi dai media mainstream. La condivisione di un interesse e di un progetto ha permesso l’aggregazione, sia pure temporanea, e l’espressione di un sentimento di appartenenza a una comunità. Al contempo, i giovani stessi sono stati portatori di interessi e domande alle quali è stata data visibilità e circolazione grazie ai media sociali, vero terreno sul quale si realizzano pratiche espressive e comunicative.

Nel loro nomadismo culturale e politico, i giovani danno corpo alla voglia di appartenere a una comunità e di impegnarsi in un progetto finché non si realizza per poi passare a quello successivo. I partiti, dal canto loro, non possono che condividere e offrire temi e progetti sui quali costruire aggregazione e appartenenza, abbandonando tentativi di controllo e intermediazione a vantaggio di una totale apertura di credito. Compito complesso e per niente facile, ma ineludibile se si vuole percorrere un cammino comune con soggetti che, sia pure in modo intermittente, si affacciano sulla scena politica con tutta la loro vitalità e creatività, impegnandosi coraggiosamente per raggiungere l’obiettivo prefissato (si pensi, ad esempio, al loro contributo nel corso delle recenti elezioni amministrative). Sulla capacità dei partiti di interagire con queste nuove forme di partecipazione si gioca la costruzione della politica nelle società contemporanee e nel prossimo futuro. Perché è bene non dimenticare che sono i giovani gli abitanti del futuro che stiamo costruendo oggi, e che alla sua costruzione vogliono partecipare, in piena autonomia, utilizzando un tweet, un “like”, un video, un post o qualsiasi altra modalità venga ritenuta opportuna.

 


[1] Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2010.
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