La crisi economica globale degli ultimi tre anni ha rivelato chiaramente l’inadeguatezza dei preesistenti meccanismi di governance economica dell’Unione europea sia nel prevenire l’esplosione dei debiti privati e sovrani dei suoi paesi più deboli, sia nella gestione degli squilibri commerciali e dei divari di competitività fra i paesi dell’area dell’euro. A questa inadeguatezza cerca di porre rimedio l’ampio progetto di riforma del sistema di governance che verrà definitivamente approvato il prossimo giugno. Rimane però da capire quante di queste novità riusciranno a realizzarsi davvero. Quale governo si prepara per l’economia europea?
In termini di governance, sono due le chiavi di lettura delle decisioni che in sede europea si sono venute adottando sul terreno della politica economica e finanziaria negli ultimi mesi, sino al Consiglio europeo di fine marzo. La prima chiave è quella delle novità entrate nelle procedure comuni, che negli ultimi anni sono in genere nate sul terreno del coordinamento intergovernativo, ma hanno poi preso in prestito tratti di integrazione comunitaria, per ottenere quell’efficacia di risultati che altrimenti non avrebbero. La seconda chiave è quella dei rapporti reciproci fra le istituzioni europee, che si stanno assestando sui nuovi binari e sulle nuove competenze conseguenti al Trattato di Lisbona. Sotto entrambi i profili, le novità segnalate dagli articoli che seguono sono molte e davvero diverse.
L’Unione europea ha risposto alla crisi finanziaria con una serie di misure volte al sostegno dei paesi in difficoltà e, soprattutto, alla prevenzione di deficit e squilibri eccessivi per limitare al massimo il rischio di nuove crisi in futuro. Per l’Italia più che per gli altri partner europei è fondamentale attenersi alle linee guida dell’Unione e intraprendere con decisione la strada delle riforme strutturali e del risanamento delle finanze pubbliche.
A vent’anni dal Trattato di Maastricht, il Consiglio europeo ha finalmente raggiunto un’intesa di portata epocale sulle regole di governo delle economie dei paesi membri, completando così il lato economico dell’Unione economica e monetaria. A fronte di un quadro sulla governance economica sufficientemente delineato, sembra invece lontano il raggiungimento di un accordo sulla risoluzione delle crisi bancarie.
La dura fiscal consolidation imposta dalla crisi richiede politiche di bilancio rigorose, ma anche l’accelerazione della crescita, dunque investimenti in capitale umano e fisico (education, ricerca, infrastrutture, energia, ambiente). Non potendo aumentare la spesa pubblica, occorre rendere tali investimenti attraenti per il risparmio e i capitali privati. Con nuove regole e nuovi strumenti. E anche con gli eurobond.
La stabilità dell’Unione economica e monetaria è minacciata da deficit nei bilanci nazionali e da prezzi instabili che solo nuovi e più efficienti meccanismi di governance possono contenere. Le proposte al vaglio degli organi di governo europei sono incentrate sulla riduzione degli squilibri tra paesi “lenti” e “veloci” e sull’elaborazione di obiettivi condivisi e di sanzioni volti a monitorare le economie dei singoli Stati membri. Tuttavia, i nodi cruciali della crescita economica e dei debiti sovrani e bancari restano ancora irrisolti.
La recente crisi economica avrebbe potuto portare a un ripensamento del nostro sistema produttivo: i rifiuti industriali e quelli solidi urbani potrebbero ridursi drasticamente se solo stili di vita e normative evolvessero in senso sostenibile. Delocalizzare la produzione non serve; bisogna invece promuovere a livello mondiale processi produttivi attenti all’ambiente.
A quattordici anni di distanza dalla loro approvazione, gli effetti delle norme che hanno attuato le direttive europee in materia di rifiuti sono positivi (ma migliorabili) in una parte soltanto del paese, più per quanto riguarda il successo della raccolta differenziata che per l’efficienza dell’organizzazione per Ambiti territoriali ottimali e la dimensione delle imprese. Le cause di questi squilibri possono essere individuate nella debolezza del governo degli Ambiti, nell’attribuzione alle Regioni delle competenze in tema di impianti e nelle incertezze della legislazione, ondivaga sia sulle modalità di gestione, sia sull’Autorità di governo degli Ambiti. Soprattutto, va denunciata l’assenza di un’Autorità indipendente di regolazione.
In materia di gestione dei rifiuti il nostro paese presenta ancora arretratezze e squilibri, che sono all’origine delle ricorrenti fasi di emergenza. Per superare le anomalie si pone la necessità di potenziare le infrastrutture, promuovendo parallelamente profonde innovazioni organizzative e gestionali: in questo quadro emerge il ruolo cruciale della regolazione, di cui sono tracciati i profili e le prospettive.
Il giro d’affari delle ecomafie ha assunto proporzioni preoccupanti. Il loro raggio d’azione non è limitato al Mezzogiorno, ma si estende alle Regioni del Nord Italia e addirittura oltre i confini nazionali, fino in Cina. È un vero e proprio business, del quale si spartiscono i profitti non soltanto le associazioni criminali, ma anche insospettabili funzionari pubblici e colletti bianchi.
Le principali cause dell’attuale crisi dei rifiuti in Campania vanno ricercate nella precipitosa dichiarazione di fine emergenza stabilita per legge, nella chiusura delle discariche e nella provincializzazione dei flussi. Salta in questo modo il piano Bertolaso e si svela l’evidente trucco del “miracolo” berlusconiano.
La normativa nazionale sui rifiuti sembra difficilmente applicabile alla realtà romana, per lo meno nelle condizioni attuali. La dipendenza assoluta della città dalla discarica di Malagrotta, che tanto ha fatto discutere, non è solo conseguenza delle caratteristiche fisiologiche di Roma, ma dipende anche dalla mancanza di impianti di compostaggio, la cui realizzazione è bloccata dal lungo iter amministrativo al quale vengono sottoposti i progetti.
Negli anni Melpignano ha investito molto nella tutela dell’ambiente e, grazie alla collaborazione tra cittadini e Amministrazione, la città è oggi un modello quanto a sostenibilità e recupero dei rifiuti. È la prova che anche al Sud la tutela dell’ambiente è possibile.
ERICA è un acronimo che sta per Educazione Ricerca Informazione e Comunicazione Ambientale. Quattro azioni per un fine solo: aumentare la consapevolezza dell’uomo nei confronti dell’ambiente in cui vive.
Erreplast è uno tra i principali produttori europei di PET riciclato. Ha sede nella zona industriale di Aversa Nord, nel Comune di Gricignano di Aversa (CE), ed è in grado di trattare oltre 20.000 tonnellate all’anno di contenitori per liquidi in plastica PET provenienti dalla raccolta differenziata (in gran parte dalla Campania) e di trasformarle in scaglie di PET da riciclo.
Il dibattito sui beni comuni innescato dai referendum ci obbliga a riflettere sulla necessità di superare schemi economici ormai obsoleti, fra cui il tradizionale binomio proprietà pubblica/ proprietà privata. Parlare di beni comuni, oggi, significa includere nella riflessione anche l’accesso alla conoscenza, ai diritti, alla democrazia, agire nell’interesse delle generazioni future e svincolarsi dalle logiche del mercato e del profitto.
La qualità e il costo del servizio idrico in Italia non reggono il confronto con la media europea: il monopolio pubblico non è la soluzione ideale. Il coinvolgimento di soggetti privati, invece, potrebbe garantire alla collettività servizi efficienti, inseriti nelle dinamiche competitive del mercato e al contempo sottoposti alla regolazione pubblica. Invece che l’abrogazione del decreto Ronchi-Fitto, sarebbero necessarie l’istituzione di un’Autorità indipendente e l’introduzione di criteri di regolazione rigorosi e validi su tutto il territorio nazionale.
A oltre diciassette anni dall’introduzione della legge Galli, il settore idrico non ha ancora assunto una struttura definitiva e molti degli obiettivi fissati sono stati solo parzialmente raggiunti. Numerosi sono i vantaggi che il settore trarrebbe dall’istituzione di una Autorità nazionale di regolazione.
I fautori del ˝sì˝ al referendum sull’acqua cavalcano i temi della privatizzazione e della svendita del bene “pubblico” per eccellenza senza considerare alcuni aspetti fondamentali della questione: come possono le imprese pubbliche far fronte agli ingenti investimenti di cui necessitano le infrastrutture del sistema idrico? Perché opporsi a priori a una legge che consentirebbe la creazione di migliaia di posti di lavoro?
Lungi dal costituire materia esclusivamente politica o economica, la questione della liberalizzazione del settore idrico non può prescindere da considerazioni di ordine etico. L’acqua è un bene collettivo: di conseguenza, essa non può essere negata a nessun cittadino, indipendentemente dal luogo in cui vive e dalla sua disponibilità economica, né la sua gestione può essere assoggettata alla mera logica del profitto.
Il referendum sul legittimo impedimento continua a mantenere un rilievo sia politico che tecnico. La legge si fonda su una pregiudiziale valutazione di preminenza della funzione di governo rispetto a quella giurisdizionale e può agevolare la sollevazione di conflitti di attribuzione in caso di valutazioni sgradite del giudice sulla effettiva sussistenza del dedotto legittimo impedimento.
Con il ricorrere dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia il dibattito intorno agli ideali e al significato stesso del Risorgimento è tornato attuale, sconfinando spesso in una riflessione sul concetto stesso di identità nazionale. Tra i contributi più originali si colloca senz’altro quello di Alberto Mario Banti, uno tra i maggiori esperti del Risorgimento italiano, la cui ricca produzione, le cui riflessioni e il cui impianto teorico acquistano oggi nel dibattito un grande rilievo.
La parola “intellettuale”, nel senso più ampio di produttore di cultura, ha assunto un significato pregnante e inedito nell’età della politicizzazione di massa, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. Da quegli anni, che sono pure quelli della “grande trasformazione”, momento di rottura del vecchio equilibrio europeo, l’intellettuale conquistò una dimensione politica che lo spinse in un agone.
Ogni tanto si è tentati di smettere di parlare del Sud italiano perché sembra impossibile invertire la tendenza: da un lato le classi dirigenti meridionali si confermano incapaci di fare un salto in avanti, dall’altro quelle nazionali, anche quando si ritengono lontane dai richiami del leghismo, hanno perso l’attitudine a fare un’analisi del Sud capace di varcare la soglia del moralismo e dell’emergenza criminale.
C’erano i banchi di legno con il buco per l’inchiostro e la scanalatura per la penna. C’erano le penne col pennino, i pennini normali e quelli a forma di Tour Eiffel, beato chi li aveva. Se eri alto di statura andavi dietro perché i banchi dietro erano più alti, se no stavi davanti. | di Paola Mastrocola per la rubrica "Rivisitare l’Italia nei suoi 150 anni".