Paolo Borioni

Paolo Borioni

storico scandinavista, è professore associato all’Università di Roma “Sapienza”.

La sconfitta del salario e del welfare

Nel 1984 Olof Palme alla trasmissione radiofonica “Godmorgon världen” si espresse nettamente contro la possibilità di introdurre meccanismi di mercato nel sistema educativo svedese. Con caratteristica icasticità, disse che non avrebbe mai voluto dei “Kentucky fried children”, ovvero un’americanizzazione commercializzante di questo ramo del welfare, accostabile al fast food Kentucky Fried Chicken. Tuttavia, al contrario, dagli anni Novanta del Novecento proprio in Svezia si è introdotto un sistema di voucher liberamente spendibili fra scuole di diverso tipo, anche private e autorizzate a fare profitti. Peraltro, come mostrano alcune ricerche, i risultati sono peggiorati in modo nettissimo.

Dall’Europa gerarchica a quella dell’innovazione democratica

Si assiste in tutta Europa a un’erosione delle culture politiche consolidate a favore soprattutto dei nazional-populismi, e il welfare c’entra moltissimo. Alcune ricerche svedesi sono utili allo scopo, poiché quel paese è noto per avere un welfare tra i più sviluppati ed egualitari, ma oggi in arretramento notevole (sia in quantità, sia in eguaglianza). Peraltro, benché non più grande ad esempio della Lega, il nazional-populismo svedese è cresciuto in modo particolarmente rapido, destabilizzando fortemente un sistema politico che pareva immune da fenomeni simili.1

L’esperimento finlandese sul reddito di base: progresso o regresso di un modello nordico

La principale caratteristica dell’esperimento finlandese sul reddito di base sta nella possibilità di cumularlo con altri redditi da lavoro. Alla base vi è l’assunto che esso possa fungere da incentivo ad accettare lavori che altrimenti non verrebbero accettati o a intraprendere attività che altrimenti non verrebbero intraprese, come se vi fossero nel paese opportunità occupazionali non colte a causa di un welfare per la disoccupazione che disincentiva il lavoro. La realtà, invece, è che la Finlandia è alle prese con problematiche di competitività strutturale che questo tipo di interventi non è in grado di risolvere. Al contrario, quello che si configurerebbe come un sussidio pubblico a lavori scarsamente remunerativi porterebbe al consolidarsi di pratiche di competizione attraverso la riduzione dei costi salariali medi che mortificherebbero ancor di più la domanda interna e segnerebbero un ulteriore arretramento rispetto al modello nordico incentrato sulla parità tra capitale e lavoro.

La rinuncia a riformare il capitalismo: alla radice della crisi della sinistra scandinava

Anche nei paesi nordici le socialdemocrazie sono in difficoltà, pressate non tanto dalle forze liberal-conservatrici, anch’esse in crisi, quanto dalla crescita del consenso per i partiti della nuova destra. Ciò può essere imputato alla loro rinuncia a perseguire parte del proprio compito storico: riformare il capitalismo riducendone le irrazionalità, costringere le imprese alla competitività affermando diritti e salari forti, perseguire la mobilità del lavoro ma verso l’alto e ottenere così, alla fine, maggiori livelli di eguaglianza. Restituire centralità alla questione sociale e al tema della riforma dell’economia consentirebbe, perciò, di recuperare alle forze socialdemocratiche una parte considerevole del loro tradizionale consenso.

La nuova destra nordica: una questione europea

Presenti, sebbene marginali, fin dagli anni Settanta del secolo scorso, le forze della destra populista nordica si sono consolidate quando le classi dirigenti hanno smesso di difendere il sistema sociopolitico alla base della democrazia europea e l’assunto fondativo della centralità del lavoro nel confronto con il capitale. Da quel momento, complici i tagli al welfare attuati dai governi della destra neoliberale e la capitolazione delle forze socialdemocratiche all’idea che il declino dell’occupazione stabile e del welfare fosse naturale e persino salutare, crescevano l’esclusione sociale, l’ansia e l’incertezza soprattutto tra le classi lavoratrici. Nel contesto di una grave crisi europea, economica da un lato e migratoria dall’altro, tutto ciò ha prodotto nei cittadini dei paesi nordici il timore di un’invasione illimitata, l’emergere di un atteggiamento di chiusura verso lo straniero che tradisce il meglio della loro storia e l’affermazione di forze che riunificano i due filoni del populismo di destra, quello nativista e quello antifiscale.

Se la socialdemocrazia perde anche in Svezia

La seconda sconfitta consecutiva dei socialdemocratici svedesi è giunta in un momento in cui nessuna sinistra europea riesce a vincere facilmente, e questa già può essere una spiegazione di un evento eccezionale, ma non inedito.

Quale sarà il volto del nuovo Labour?

La sensazione è che vincerà David, il più anziano dei due fratelli Miliband oggi in corsa. Il più giovane Ed, forse il più insidioso fra i concorrenti, sconta infatti la sua supposta mancanza di esperienza (è al Parlamento solo dal 2005).

La socialdemocrazia: perché perde, perché potrà vincere

In seguito alle sconfitte elettorali subite, sembra ora che le socialdemocrazie europee si stiano interrogando sulla ne­cessità di riformare il modello economico proprio del socia­lismo democratico. Senza un’azione in questo senso non potrà avvenire alcun recupero dei voti tradizionalmente o potenzialmente socialdemocratici persi negli ultimi anni.

Alle fonti dell'euroscetticismo scandinavo

Nel recente congresso dei socialisti popolari danesi – formazione rosso-verde alla sinistra dei socialdemocratici fondata nei tardi anni Cinquanta da alcuni scissionisti in fuga dal filosovietismo del partito comunista – si è verificato un evento di significativa importanza. Le assise di quel partito erano state convocate per rivederne la posizione negativa in vista di un prossimo referendum che elimini o ammorbidisca le eccezioni danesi nei confronti dell’Unione europea (sulla moneta e la cooperazione di polizia e giudiziaria, fra le altre cose). Ormai si tratta di una revisione matura, cui molti socialisti popolari si preparano sentendo la necessità, di fronte all’unilateralismo USA, di rafforzare l’Europa.

 

Socialismo e società aperta. A proposito di Helmut Schmidt e Karl Popper

Razionalismo critico e socialdemocrazia è un caso particolarmente fertile di convergenza fra intellettuali definibili della «sinistra popperiana» (come un tempo vi fu quella hegeliana) e un grande leader della socialdemocrazia. Il testo benedicente scritto da Helmut Schmidt come introduzione al volume è a sua volta un caso piuttosto straordinario di chiaroveggenza esercitata in quella regione della cultura in cui storia, prassi politica e teoria si congiungono con fruttuosità estrema. A questa regione accedono personalità rarefatte e selezionate, e vi accede con il presente testo anche Schmidt, sebbene, appunto, non tanto con elaborazioni proprie, quanto invece sancendo quasi «pontificalmente» l’entrata di una grande filosofia del Novecento – il razionalismo critico popperiano – tra gli strumenti principi del riformismo socialista.