Economisti e filosofi del Settecento per primi iniziarono l’indagine sul benessere collettivo cercandolo nella felicità dei popoli. Già l’economista e pastore anglicano Thomas Robert Malthus nel suo saggio “An Essay on the Principle of Population” (1798) osservava che «L’obiettivo dichiarato della ricerca del dr. Adam Smith consiste nell’indagare la natura e le cause della ricchezza delle nazioni. Tuttavia egli di tanto in tanto associa a questa un’altra ricerca, forse ancora più interessante; intendo dire una ricerca sulle cause che determinano la felicità delle nazioni, o la felicità e gli agi degli ordini inferiori della società». Del tema, prima ancora di Malthus e Smith, si erano occupati diffusamente altri studiosi italiani: oggetto dei loro studi erano in particolare i principi che avrebbero dovuto fondare l’organizzazione economica e politica della società. Tra gli esponenti illustri di tale movimento Antonio Genovesi, titolare nel 1754 a Napoli di quella che sarà la prima cattedra universitaria di economia, e Cesare Beccaria, figura di spicco dell’Illuminismo italiano, artefice dell’utilitarismo che poteva tradursi anche nel fine dell’attività pubblica come «massima felicità divisa nel maggior numero». Per Genovesi l’economia politica, o pubblica come anche allora si diceva, doveva essere “civile”, e “Lezioni di commercio o sia di economia civile” (1765) furono quelle che impartì dalla cattedra, richiamando la centralità delle virtù civili, in cui si rinnovava il ruolo attivo del sovrano nella realizzazione della felicità pubblica.
Nello studio del benessere, agli italiani del Settecento seguiranno economisti e filosofi da Bentham a Pigou e Pareto. Per Jeremy Bentham il benessere collettivo era dato dalla somma dei benesseri individuali. Per Arthur Cecil Pigou, erede di Alfred Marshall alla cattedra di economia politica a Cambridge, il benessere economico era invece «l’insieme delle soddisfazioni assoggettabili a misurazione mediante moneta». Vilfredo Pareto, economista e sociologo italiano prescelto da Walras come successore sulla sua cattedra a Losanna, nel celebre “Manuale di economia politica” (1906) definiva la corrispondenza tra efficienza dei mercati e benessere collettivo, indipendentemente dall’assetto distributivo delle risorse economiche: cosicché una allocazione delle risorse in grado di migliorare il benessere di un individuo senza arrecare danno agli altri avrebbe comportato un miglioramento del benessere della società. Il ruolo della distribuzione delle risorse era invece ben presente nel contributo del filosofo statunitense John Rawls che nella sua “A Theory of Justice” (1971) riconduce il benessere a una adeguata nozione di giustizia sottolineando l’importanza dell’egualitarismo e del concetto di equità come valore sociale fondamentale.
Più recentemente è stato l’economista e filosofo indiano Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998, a riesaminare in maniera critica i fondamenti utilitaristici dell’economia del benessere e la teoria delle scelte sociali. Amartya Sen è l’esponente più importante del Capability Approach, che più che una teoria è un normative framework di impostazione interdisciplinare con l’obiettivo di valutare e giudicare il benessere umano nonché di definire le politiche e le proposte per i cambiamenti a livello sociale.
Parte di questo lungo dibattito è stato recentemente ripreso dalla Commissione sulla misurazione del rendimento economico e del progresso sociale, istituita dal presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy, composta da prestigiosi studiosi e guidata da Amartya Sen, Joseph Stiglitz e Jean-Paul Fitoussi. Il contributo più importante del rapporto è il richiamo alla natura multidimensionale del benessere.
Tra i motivi che negli anni hanno determinato l’interesse per l’analisi del benessere vi è la profonda rilevanza che questi studi hanno sulla definizione e comprensione delle politiche. Se Rawls pone l’accento sull’importanza delle politiche redistributive, nel Capability Approach di Sen si assume un atteggiamento favorevole verso la fornitura pubblica di alcuni beni essenziali, come la sicurezza sociale, l’istruzione, la sanità. A giudizio di Sen è, infatti, la presenza di tale forma di intervento pubblico che può garantire la trasformazione della pura e semplice crescita dell’economia in un aumento di benessere della popolazione. I lavori della commissione Sarkozy sottolineano l’importanza dell’attenzione ad aspetti non propriamente “economici” per troppo tempo trascurati nella definizione di benessere come la salute, l’istruzione, il ruolo della partecipazione politica e della governance, dell’ambiente e dell’insicurezza fisica. Se ne conclude che, dopo un lungo cammino, giustizia ed eguaglianza richiamano lo Stato a un ruolo rinnovato e riqualificato per la realizzazione del benessere collettivo rifattosi felicità pubblica. Il che non è poco di questi tempi.