Misurare il consenso attraverso i nuovi media

Written by Gianni Riotta Monday, 18 March 2013 17:11 Print

L’analisi dei Big data politici delle ultime elezioni condotta dalla startup Tycho ha permesso di smentire in anticipo i sondaggi tradizionali. Ha infatti subito mostrato il limitato appeal del PD sul popolo dei new media a fronte di quello, molto maggiore, di Grillo. Questo tipo di analisi, le cui tecniche andranno perfezionate e che impongono, per ora, cautele importanti, si rivelano però efficaci nella fotografia che rendono della realtà; una realtà più difficile e pericolosa di quanto si immaginasse.

 

Nel corso della storica campagna elettorale italiana del 2013 ho avuto modo di partecipare a un esperimento di analisi dei Big data politici, in collaborazione con la startup Tycho, un progetto dell’IMT di Lucca. Per la prima volta nel nostro paese, un team di analisti, fisici statistici, economisti e studiosi di media ha elaborato un algoritmo capace di seguire, su Twitter, il popolare network di microblog a 140 caratteri, l’andamento della discussione online. L’equivalente, ai tempi di Peppone comunista e Don Camillo democristiano, di fermarsi sotto i portici della Piazza Grande Italia e ascoltare cosa dice “la gente” dopo i comizi.

L’esperimento, guidato dai professori Fabio Pammolli, Alessandro Chessa e Guido Caldarelli, serviva non solo a tenere il polso della temperatura politica italiana, ma anche a testare come i Big data, la teoria delle reti e l’analisi dettata da algoritmi possano avviarci verso un nuovo giornalismo, capace di rinnovarsi dopo la crisi dei media tradizionali e riaccendere, nell’universo digitale, il dibattito democratico. Non si tratta solo della, pur importante e necessaria, battaglia per difendere il mestiere di giornalista. Si tratta di una sfida ancor più cruciale e indispensabile alle nostre future società civili: nel mondo moderno la discussione che ha costruito partiti, movimenti e idee deriva da quella che il filosofo Habermas chiamava “sfera dell’opinione pubblica critica”, uno spazio autonomo dove opinioni e interessi si confrontavano e mediavano. Mezzi tipici della sfera erano i giornali, le riviste, le TV, le radio, le case editrici, gli istituti di ricerca, le sezioni dei partiti, i club d’opinione e via dicendo. Oggi a questo intero mondo si è sovrapposto il web, piazza digitale dove si affrontano, in modo per ora confuso, la speranza di democrazia diffusa con il rumore di fondo del sarcasmo, la polemica, l’invettiva. Da una parte il bene dell’accesso diretto alle fonti e all’informazione da parte di cittadini finora relegati al ruolo passivo di “lettori” o “audience”, dall’altra la caustica perenne polemica nichilista che tutto corrode e guasta. Se le opportunità dell’informazione online sono benvenute, i pericoli non vanno sottovalutati: un recente studio americano del “Journal of Computer-Mediated Communication” dimostra come perfino i troll, i pettegoli calunniatori online, riescano a influenzare i cittadini ben al di là delle previsioni.

I sondaggi classici delineavano, dunque, la campagna elettorale italiana con diffuso consenso: vittoria al centrosinistra, con maggioranza ampia alla Camera e sottile al Senato, per effetto della nostra bizantina legge elettorale, distacco e secondo posto per il centrodestra, piazzamento al terzo disputato tra la coalizione del senatore Monti e il Movimento 5 Stelle fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Le strategie di comunicazione dei leader in competizione sono subito apparse chiare. Il segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani ha scelto una tattica che un tempo, nel ciclismo, si sarebbe definita “da passista”: nessuno scatto, ma provare a tenere il passo col gruppo degli inseguitori per difendere il vantaggio acquisito. Ancor prima della par condicio, Bersani decideva di apparire in televisione solo per un terzo del tempo realizzato da Berlusconi e Monti, venti ore contro sessanta, scelta di “toni bassi” che ad alcuni osservatori è sembrata efficace, ad altri meno. Massimo D’Alema, ad esempio, in un forum online del quotidiano “La Stampa”, osservava, ancora a tre settimane dal voto, che più idee e più proposte nella fase di avvio avrebbero meglio consolidato la base elettorale.

Al contrario, il fondatore del PDL Silvio Berlusconi, alla sua sesta campagna elettorale nazionale, ricorreva al classico stile varato nel 1994 per Forza Italia: spallate comunicative, frenetiche apparizioni tv, “politica del corpo” del leader che raffinati critici deprecano come greve o petulante, ma che alla base del centrodestra suona come richiamo di interessi e valori condivisi “contro” la sinistra. In tal senso, l’uscita sull’abolizione dell’impopolare tassa sulla casa (IMU) si è rivelata particolarmente felice. Al pari dell’allusione al fascismo “popolare”, che non è stata affatto una gaffe, come creduto dalla stampa, ma un tentativo palese, e in parte riuscito, di agganciare il voto della destra radicale delle periferie.

Al suo debutto in una campagna elettorale, il senatore Mario Monti, premier uscente, s’è trovato davanti a un dilemma che, come sempre nelle elezioni, non era affatto “di comunicazione”, ma squisitamente “politico”. Poteva puntare sulla differenza tra il suo aplomb di tecnocrate estraneo agli eccessi della recente classe parlamentare italiana o, invece, provare a raccogliere, d’intesa con gli alleati Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, l’area di centro, scontenta delle offerte di destra e sinistra. Stretto nel dilemma, il senatore non è riuscito a presentare le sue idee di riforma con sufficiente forza. Ha sofferto certo di uno staff ancora acerbo, ma chi imputasse agli spin doctors il risultato non all’altezza delle aspettative sbaglierebbe. L’elettorato era scontento dall’austerità europea made in Germany, ma il governo tecnico non ha saputo comunicare che dopo i tagli può arrivare lo sviluppo e s’è trovato stretto nella paura per la disoccupazione, le tasse, la crisi economica.

Infine, Grillo ha abbandonato la fase luddista e ha creato un blog e un account Twitter (@beppe_grillo) assai popolari. È, però, errato ascrivere la notorietà di Grillo tra gli elettori al web: mentre i suoi militanti sono aggregati con assemblee di base e innervati online, la sua antica popolarità televisiva e la frenetica capacità scenica hanno attratto gli elettori al voto per il Movimento 5 Stelle in grande numero. La connessione “fama TV rilanciata da web” era già evidente nel successo alle amministrative siciliane, e le politiche 2013 l’hanno confermata. La comunicazione politica contemporanea è governata dalla “convergenza” che lega i media. Un editoriale classico sui giornali viene rilanciato e discusso sui blog, un talk show TV viene commentato in diretta via Twitter: il web ha reso anche gli old media, giornali e TV, interattivi.

Se questo era il clima nei sondaggi, poi – soprattutto per quanto riguarda il boom di Grillo – solo in parte confermato dal voto, la foto del dibattito che vedevamo con i colleghi di Tycho analizzando i Big data a partire da Twitter era più precisa e spesso in contraddizione con l’attesa degli esperti di una “facile” vittoria del centrosinistra e una scontata sconfitta del centrodestra. L’apertura delle urne ha corroborato i dati Tycho. Le mappe disegnate dal professor Chessa, pubblicate dal quotidiano “La Stampa” e rilanciate da Sky in TV, mostravano, ad esempio, un andamento molto lento, anemico, delle citazioni di Bersani al Sud. Al punto che la mappa dell’Italia meridionale restava nella visualizzazione dati, “grafo” in gergo, in alcune Regioni “bianca”, essendo troppo poche le citazioni online per colorarsi. Come ha poi dimostrato l’analisi del voto condotta per il CISE dal professore Roberto D’Alimonte, è proprio il Sud ad avere tolto dalle vele del PD il vento necessario alla vittoria.

Per giorni abbiamo studiato il salto incredibile, una vera e propria “gobba” che schiacciava tutti gli altri leader, nelle citazioni di Berlusconi dopo la proposta di taglio dell’IMU. L’analisi semantica dei tweet doveva certo scremare i messaggi di irrisione, sarcasmo e critica (Berlusconi è stato molto citato anche in città in cui il voto PDL è poi risultato esiguo), ma alla fine la rimonta del centrodestra era stata fotografata con precisione. Debuttante nei new media, il fondatore di Mediaset può essere soddisfatto del risultato, le sue spallate hanno occupato anche il web. Imporre il messaggio, costringere i rivali a replicare ogni giorno, “occupare il pensiero del nemico”, come si dice in gergo militare, è strategia pagante. Riguardate i siti web ostili a Berlusconi: perfino il giorno del voto sulla loro homepage campeggiavano le gag dell’ex premier al seggio. Un’ossessione che non ha pagato in voti.

Tycho e le sue curve hanno previsto la fragilità dei candidati minori, Ingroia e Giannino, con l’ex giornalista citato solo dopo la disavventura del curriculum vitae. Nella rete e nei network, cioè nelle citazioni a coppia dei leader, in gergo scientifico “co-correlazioni”, Tycho dimostra come gli elettori leggessero in coppia rivale Berlusconi-Bersani, a prova di un sistema destra-sinistra che resta, malgrado tutto, filosoficamente bipolare dal 1994, mentre Grillo era quasi sempre citato da solo, mai in opposizione o congiunzione a un altro leader. Un dato, questo, estremamente fecondo di riflessione per i rivali del M5S, ma anche per i fondatori Grillo e Casaleggio. Il 25% degli elettori non ha, infatti, espresso un consenso alle tesi del movimento, come rappresentato dall’enunciato “Voto Grillo perché voglio non pagare interessi sul debito, votare sull’euro e fermare la TAV”, ma ha votato Grillo perché detesta Bersani/Berlusconi/ Monti. Perfino le citazioni, modeste su Twitter rispetto alla mole dei voti poi ottenuti dal M5S, si spiegano bene con il voto di protesta: mentre i militanti seguono appassionati i propri dirigenti, gli elettori non hanno bisogno di approfondire la dialettica interna su questioni specifiche. Nelle ore successive allo scacco postelettorale, per esempio, la curva delle citazioni del sindaco di Firenze Matteo Renzi è salita moltissimo, perché la base PD auspicava, o respingeva, una sua eventuale candidatura a primo ministro. Questo tipo di ostinato – con punte di autolesionismo – dibattito interno alla sinistra, che anima e squassa il PD, è, per ora, sconosciuto al Movimento 5 Stelle. Ma, se Grillo e Casaleggio commettessero l’errore di credere che un italiano su quattro ha votato per loro non perché infuriato e deluso dai partiti e dalla crisi economica ma perché d’accordo con loro, i futuri dati potrebbero rivelarsi più modesti. Le aperture di Grillo e M5S alle tematiche tipiche della destra oltranzista, il no alla cittadinanza per i figli degli immigrati e l’intesa verso i neofascisti di CasaPound sono state poco contestate a sinistra – nell’ingenua speranza che il populismo di Grillo danneggiasse Berlusconi –, per poi scoprire, nella lettura dei flussi elettorali di Renato Mannheimer (IPSOS) e Roberto D’Alimonte (CISE), che la vittima principale era il PD.

La tecnica usata dal team Tycho-IMT è ovviamente sperimentale. La semantica, la capacità dell’algoritmo di discriminare se un tweet è favorevole, sfavorevole, neutrale, al di là della semplice citazione, va raffinata e resa più precisa, mentre già formidabile, dalle Regioni alle città e domani ai quartieri, è la mappatura geografica: dove si parlava di PDL, dove di PD, dove di Grillo. Studi CENSIS e McKinsey calcolano che circa due italiani su tre sono oggi online, percentuale che crescerà fino a raggiungere presto gli standard occidentali. Qualche osservatore, giustamente, induce alla cautela, onde evitare l’errore storico del 1948 che fece assegnare al quotidiano “Chicago Tribune” la vittoria al repubblicano Dewey contro il democratico Truman. I sondaggi vennero condotti al telefono e allora molti lavoratori, fedeli democratici, non ne avevano uno in casa. Nel 2004 l’errore fu ripetuto dagli exit poll che diedero la vittoria a John Kerry contro George W. Bush alla Casa Bianca: calcoli online sottovalutarono il voto tradizionalista e rurale, raccolto all’ultimo dal consigliere Karl Rove. Cautele importanti; ma le foto di Tycho 2013 provano che il web non è una bolla ermetica. Un anziano elettore può non essere online, ma il suo malumore su IMU, pensione, corruzione può essere ascoltato a cena dal nipote e rilanciato online il giorno dopo. Gli studi classici di Lazarsfeld sull’eco sociale dei nostri giudizi, sulla capacità di interpretare, decodificare, elaborare i messaggi della politica sono la nuova frontiera della comunicazione politica. L’Italia al voto nel 2013 era irata, spaventata dal futuro, incerta sulla direzione da prendere, in cerca di un capro espiatorio per tutti i mali. Per creare lavoro e crescita senza ammazzare il bilancio dobbiamo aumentare la produttività, innovare, tagliare la spesa senza chiudere scuole e ospedali, ma rendendoli più efficienti con la tecnologia. Stato, aziende, ricerca, università dovrebbero collaborare su progetti nazionali e startup locali che diano occupazione dove oggi si può: penso, ad esempio, all’additive manufacturing o ai printer 3D. Ma vi immaginate un leader che prova a parlare con questo tono nei nostri talk show? Le carte di Tycho non hanno fotografato i guai della “politica” italiana; questo può crederlo solo chi crede, ingenuamente o con furbizia, che i cittadini siano migliori dei leader che esprimono. Tycho ha fotografato i guai italiani: e il labirinto di curve che ha scoperto sembra molto, molto pericoloso.

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