L'Europa che vogliamo

Written by Massimo D'Alema Thursday, 20 March 2014 12:49 Print


L’Europa che va al voto nel prossimo mese di maggio è, come non mai, un’Europa attraversata da un profondo e drammatico malessere sociale e da un’incertezza sul suo futuro, da una preoccupante diffidenza nelle sue classi dirigenti politiche e nelle sue istituzioni, sia nazionali che comunitarie. Mentre il mondo si è rimesso in movimento, nel tentativo di uscire dalla più grave crisi economica, finanziaria e sociale del dopoguerra, l’Europa stenta a ripartire.

Dobbiamo reagire, non possiamo lasciare i cittadini europei in balia della sfiducia o della rivolta populista, senza alcuna prospettiva. È compito dei progressisti rilanciare una visione europeista rinnovata, consapevoli della limitata efficacia delle politiche attuate su scala nazionale, della incerta legittimazione delle decisioni prese su base intergovernativa e, viceversa, della forza di un’Europa unita e rappresentativa.

La sinistra riformista ha messo in campo alcune grandi novità.
Innanzitutto, per la prima volta, noi vogliamo offrire ai cittadini europei la possibilità di scegliere il presidente della Commissione, che non dovrà più scaturire da opache trattative fra governi, ma dovrà essere indicato dal voto popolare. Quindi, per la prima volta, le elezioni saranno davvero europee. La posta in gioco sarà reale: il voto conterà.

I progressisti si presentano agli elettori esprimendo un candidato che è senza dubbio tra le personalità politiche più “europee” che siano oggi sulla scena. Martin Schulz, infatti, ha legato tutta la sua passione ed esperienza politica alle istituzioni comunitarie. La sua storia non lo qualifica come rappresentante di uno Stato nazionale, ma come uno dei più importanti fautori del processo politico e democratico europeo. Un impegno, questo, al quale si è dedicato durante tutto il suo percorso politico e istituzionale, come presidente di commissione parlamentare, come capogruppo, come presidente del Parlamento europeo.

I progressisti propongono un programma di profondo cambiamento, che, in primo luogo, investe direttamente, come già accennato, i processi democratici a livello europeo e che va nel senso di uno spostamento dalla dimensione intergovernativa a quella sovranazionale, ovvero di un riequilibrio di poteri tra Consiglio da una parte e Parlamento e Commissione dall’altra. È indubbio, infatti, che il prevalere delle politiche dettate dai paesi più forti in seno al Consiglio ha determinato una perdita di credibilità che talvolta sfocia in aperta ostilità delle opinioni pubbliche dei paesi economicamente più fragili contro l’insieme delle istituzioni europee.

Secondo pilastro del programma è il superamento del “dogma” dell’austerità. Sappiamo bene che ciò non significa negare la necessità del rigore nella gestione della spesa pubblica, ma implica una maggiore solidarietà tra gli Stati europei. Occorre un’armonizzazione delle politiche fiscali e degli standard sociali, spostando il peso della tassazione dal lavoro alla rendita finanziaria per liberare risorse a favore di crescita e sviluppo. Occorre mutualizzare il debito e prevedere piani di investimenti che puntino sull’innovazione e sostengano le piccole e medie imprese. A questo proposito, quello dei progressisti è un programma puntuale e concreto di misure che possono essere realizzate nel breve e medio periodo, con l’obiettivo di imprimere quella svolta necessaria, e dunque percepibile nella vita quotidiana dei cittadini, alle politiche economiche europee.

Terzo pilastro è il rafforzamento della proiezione europea sullo scenario internazionale, e in particolare sull’area del Mediterraneo, che, per evidenti ragioni geopolitiche, è sempre stata prioritaria nella politica estera dell’Italia e ha acquisito nuova importanza strategica in seguito alla tumultuosa stagione delle rivolte arabe. Guardando a Est, invece, l’Europa si confronta con l’assertività nazionalista di Putin. Su questo fronte va scongiurato il rischio di una nuova guerra fredda, ma deve essere ferma la condanna e determinata l’azione in tutte le sedi diplomatiche contro ogni forma di aggressione e violazione dei diritti umani, da qualsiasi parte essa provenga. L’Europa, consapevole della sua unicità, che affonda le proprie radici in principi e valori di pace, democrazia e solidarietà, non può sottrarsi alle responsabilità a cui è chiamata in un mondo fortemente globalizzato, multipolare e in continuo mutamento.

Ci presentiamo alle elezioni, infine, con una novità di fondo: il PD parte integrante di una rinnovata sinistra europea. L’anomalia italiana è ormai alle spalle, grazie a una scelta politica che non rappresenta una conversione ideologica del nostro partito, ma la presa d’atto che una grande forza, sia pure culturalmente plurale e innovativa come il Partito Democratico, ha il suo spazio naturale, insieme a progressisti, socialisti, socialdemocratici e laburisti europei, nel PSE. D’altro canto, vogliamo partiti europei più forti, che rappresentano il migliore antidoto al ritorno dei nazionalismi e senza i quali è difficile avere un’Europa più unita e democratica. Non siamo in campagna elettorale per riaffermare una retorica europeista di maniera, ma per segnare il profondo cambiamento di un’Europa che così com’è non solo non funziona, ma non dà risposte alle domande legittime dei suoi cittadini. Possiamo vincere. In campo c’è anche una sinistra più radicale, a cui guardiamo con interesse perché non cavalca la retorica antieuropeista, ma non c’è dubbio che la sfida per il primato sia tra socialisti e popolari, che chiedono il voto sulla base di proposte alternative.

Il voto di maggio deciderà quale sarà la guida e dunque la direzione che prenderà l’Europa del prossimo futuro. Noi vogliamo un’altra Europa. Un’Europa diversa da quella che conosciamo, più democratica e inclusiva, che metta al centro della sua azione crescita, lavoro e innovazione.

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