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L’arpa birmana schiacciata dai carri armati

Quando i cingoli hanno attraversato le strade birmane, il 1° febbraio 2021, gli analisti che ondeggiavano tra realismo e pessimismo hanno mostrato un sorriso amaro. Le loro previsioni si erano avverate. Pur delusi, avevano ragione: Myanmar è ancora una democrazia imperfetta, uno Stato incompiuto, un paese non pacificato. I militari non hanno mai sostanzialmente lasciato il potere, ora lo riprendono anche nella forma. Il colpo di Stato ha trovato origine da un pretesto labile, un’accusa occasionale di frodi elettorali nelle consultazioni dello scorso novembre. L’affermazione della National League of Democracy (NLD), di Aung San Suu Kyi era stata dirompente, con la conquista di 397 seggi su 476. Il risultato migliorava addirittura il trionfo di cinque anni prima. Il secondo partito – lo Union Solidarity and Development Party (USDP), espressione politica delle stellette – aveva raccolto soltanto il 7%.

La Birmania guarda al futuro

Nei giorni scorsi si è tenuto in Birmania il World Economic Forum sull’Asia dell’Est. Si è trattato di un segnale inequivocabile del nuovo corso politico ed economico intrapreso dal paese del Sud-Est asiatico a partire dal 2010, anno dell’elezione alla Presidenza di Thein Sein e della liberazione di Aung San Suu Kyi.


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