Occupy Wall Street

Written by Mario Del Pero Monday, 14 November 2011 12:44 Print
Occupy Wall Street Foto: Long Island Rose

Il movimento Occupy Wall Street probabilmente non sopravvivrà a lungo. Esso tuttavia ha avuto il merito di iniziare alla politica una nuova generazione di americani e di riportare al centro del dibattito politico statunitense una questione troppo a lungo trascurata: quella dell’enorme crescita delle diseguaglianze.


Difficile che il movimento di Occupy Wall Street sopravviva non solo al rigore dell’inverno imminente, ma anche all’assenza di coordinamento e leadership, ad un movimentismo piuttosto ingenuo, che si manifesta nella mancanza di proposte concrete con cui sostanziare il suo legittimo, e talora potente, grido di rabbia.

Nondimeno, la protesta ha ottenuto risultati importanti, che non possono essere sottovalutati. Ha attivato forme di mobilitazione e partecipazione che mancavano da tempo. Ha socializzato alla politica una generazione nuova. Ha acquisito una sorprendente dimensione nazionale, raggiungendo rapidamente città e regioni dove non si riteneva potesse mai arrivare. Più di tutto, ha offerto un importante contributo all’elaborazione di una narrazione della crisi alternativa a quella della destra populista, che è stata in larga misura egemone nel discorso pubblico e politico dell’ultimo biennio.

È, quella offerta da Occupy Wall Street, una narrazione semplice e binaria, che mette però correttamente al centro della discussione il tema della diseguaglianza: lo scarto sempre più marcato tra l’1% più ricco e il rimanente 99%, per utilizzare un altro fortunato slogan usato dai manifestanti. Se vi è infatti una contraddizione macroscopica nel modello di sviluppo degli Stati Uniti degli ultimi 30-40 anni questo è rappresentato dallo sconcertante ampliamento della forbice della diseguaglianza, qualsiasi sia il parametro utilizzato per misurarla: reddito, indice Gini, mobilità sociale, accesso all’istruzione superiore, distribuzione della proprietà. Una diseguaglianza spesso giustificata come naturale conseguenza di processi strutturali di trasformazione dell’economia statunitense, che hanno finito per premiare maggiormente il lavoro qualificato su quello generico, ma alla quale hanno in realtà contributo in maniera determinante politiche fiscali regressive e scelte conseguenti. Solo durante alcuni anni del periodo clintoniano, il combinato disposto di intensa crescita, aumento (per quanto lieve) della pressione fiscale sui redditi più alti e maggiore sensibilità sociale contribuì a rovesciare questa tendenza trentennale. I dati sono emblematici e non si prestano a contestazioni: dal 1975 a oggi, la percentuale di reddito complessivo dello 0,1% più ricco è passata dal 2,5 a più del 10% di quello complessivo; l’aliquota sui redditi maggiori è scesa dal 70 al 35%; l’entità della retribuzione di un alto dirigente d’azienda è cresciuta a tal punto che se nel 1970 era in media di trenta volte superiore a quella di un lavoratore generico oggi lo è di centosessanta; quasi un quarto delle persone incarcerate al mondo sono statunitensi, anche se gli Stati Uniti hanno solo il 5% della popolazione mondiale; secondo i dati più recenti la percentuale di famiglie americane che vivono con un reddito sotto la soglia di povertà ha superato nel 2011 il 15%, la percentuale più alta dal 1993 a oggi; a fronte dell’aumento dei redditi più alti, quello medio di un nucleo familiare è sceso del 7% tra il 1999 e oggi.

Non sono certamente solo i giovani di Zuccotti Park, di Oakland, di Denver, di Atlanta e di molte altre città statunitensi a portare finalmente l’attenzione sulla diseguaglianza e gli squilibri sociali. Già alcuni mesi fa il “Washington Post” aveva promosso un’interessante riflessione sul tema. E le pagine dei principali quotidiani statunitensi sembrano oggi avere improvvisamente riscoperto povertà e diseguaglianza. Occupy Wall Street vi ha però contribuito in modo forte e incisivo. Nel farlo, ha intercettato almeno una parte del malumore e del disincanto che hanno alimentato il populismo antipolitico di questi ultimi anni, riportandolo così verso sinistra. Spetta ora ai democratici, a partire da Obama, accogliere questa protesta, dandole una voce politica che essa non vuole e probabilmente non può avere.

 


Foto: Long Island Rose

le Pubblicazioni


copertina_1_2024_smallPuoi acquistare il numero 1/2024
Dove va l'Europa? | L'approssimarsi del voto per il rinnovo del Parlamento europeo impone una riflessione sulle proposte su cui i partiti e le famiglie politiche europee si confronteranno | Leggi tutto