ricercatore presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Bologna.
Lo scorso 22 gennaio, i colloqui di Ginevra si sono aperti su questioni “minori” (come il cessate-il-fuoco e gli aiuti umanitari), che avrebbero potuto servire a individuare un valido punto di partenza per le trattative fra i belligeranti, per poi spostarsi sul tema cruciale del governo transitorio. Il regime di Damasco, per il quale guadagnare tempo è vitale, è riuscito frattanto a riconquistare un certo credito internazionale, grazie all’impegno a smantellare il suo arsenale chimico-batteriologico e alle sempre più evidenti infiltrazioni di formazioni integraliste fra le file degli oppositori.
Il conflitto in Siria è più di una guerra civile fra un regime repressivo e una frammentaria opposizione. Incastonato nel cuore del Medio Oriente, il paese è al centro di complessi equilibri regionali che interessano anche i paesi arabi del Golfo Persico. Arabia Saudita e Qatar in particolare hanno deciso di sostenere l’opposizione al governo di Bashar al-Assad nel tentativo di indirizzare la rivolta verso posizioni politiche e religiose a loro congeniali. Gli strumenti utilizzati per appoggiare i movimenti ribelli vanno dall’approvvigionamento di armi alla guerra di propaganda ingaggiata attraverso gli influenti network televisivi del Golfo.