Displaying items by tag: america latina

Articoli del numero 4/2022

Del numero 4/2022 di Italianieuropei sono disponibili integralmente gli articoli di Roberto Speranza, Stefano Bonaccini, Nicola Zingaretti e Donato Di Santo.



 

Da dove ripartire. Una nuova stagione politica per l'America Latina? Italianieuropei 4/2022

Da dove ripartire. L'esito delle voto dello scorso 25 settembre impone alle forze politiche dell'area di centrosinistra una riflessione ampia e profonda sulle ragioni della sconfitta e sui temi e i valori da cui farsi guidare in un necessario percorso di ricostruzione e ripartenza di cui il prossimo congresso del PD sarà la prima tappa.

Una nuova stagione politica per l'America Latina? La vittoria di Lula in Brasile riaccende la speranza che si apra un nuovo ciclo politico progressista nel continente latinoamericano. Guardando in dettaglio a ciò che accade nei singoli paesi della regione la situazione appare però in tutta la sua complessità, e il quadro di insieme che ne emerge presenta molti tratti in chiaroscuro.

 

Italia/America Latina, a sinistra

In Brasile Bolsonaro ha perso, dando un dispiacere al nostro vicepresidente Salvini, che già aveva in canna il suo tweet grondante giubilo, e sono entrambe buone notizie. Ma il bolsonarismo, autonomizzatosi da Bolsonaro (così come da noi il berlusconismo lo è da Berlusconi), ha impregnato di sé quasi la metà dell’elettorato, sdoganandone le pulsioni più basse, persino quelle più oscene. Qualcosa di analogo successe in Italia a metà degli anni Novanta, quando lo sgretolamento della DC portò a galla, appunto sdoganandole, le pulsioni più nascoste e reazionarie di parte del suo elettorato – congelate nei cinquant’anni di guerra fredda – che, da maggioranza non più silenziosa, divenne massa di manovra dell’assetto di potere berlusconiano post Tangentopoli. Le conseguenze, lo abbiamo visto, arrivano fino ai giorni nostri con i risultati delle ultime elezioni politiche italiane.

Non esistono due Brasile?

«Non esistono due Brasile, questo è un solo paese» declama di fronte alla folla Luiz Inácio Lula da Silva. È domenica 30 ottobre 2022, il Tribunal Superior Eleitoral lo ha appena dichiarato trentanovesimo presidente del Brasile, il primo a essere eletto per tre volte.
Ad ascoltare il discorso della vittoria sulla Avenida Paulista a San Paolo, assieme ai giornalisti venuti da tutto il mondo, militanti felici ed esausti dopo due mesi di campagna elettorale. Tra i presenti, nessuno crede all’affermazione del neopresidente. Tutti sanno che invece esistono due paesi. La vittoria è stata sofferta e lo scarto minimo: Lula ha vinto con 60 milioni di voti, il 50,9%, contro i 58 milioni, il 49,1%, raccolti dal presidente uscente di estrema destra, Jair Bolsonaro. E tra coloro che hanno votato per Bolsonaro al ballottaggio, 7 milioni in più rispetto al primo turno, una parte lo ha fatto non solo perché semplicemente preferisce Bolsonaro, ma perché odia Lula, lo ritiene un «corrotto, un comunista, un diavolo».

La transizione incompiuta della democrazia cilena

È il 21 dicembre 2021 quando Gabriel Boric, classe 1986, candidato delle sinistre raccolte nella coalizione Frente Amplio, vince il ballottaggio alle elezioni presidenziali con il 56% dei consensi (pari a 4,6 milioni di voti) e viene eletto presidente della Repubblica del Cile contro il candidato dell’ultradestra, José Antonio Kast, che si ferma al 44%, ribaltando l’esito del primo turno. Il successo inaspettato, ma politicamente pianificato da Boric, rompe lo schematismo tradizionale dei due grandi blocchi (centrodestra e centrosinistra) della politica cilena, sia per la formazione culturale del neopresidente, sia perché quest’ultimo rappresenta il simbolo della generazione che è cresciuta sin miedo (senza paura) e che ha contestato i governi di centrosinistra che tra il 1990 e il 2010 hanno guidato la lunga transizione democratica. Boric presenta ai cileni un programma di riforme radicali incentrato sui diritti umani, attenzione per l’ambiente, dignità dei lavoratori e parità di genere.

Terra, partecipazione, verità. La sfida della Paz Total in Colombia

Il conflitto armato in Colombia è raccontato come uno dei conflitti più lunghi e mutevoli del mondo. Lungo perché è superato nel tempo solo dal conflitto israelo-palestinese e dal conflitto del Kashmir tra India e Pakistan, mutevole perché ha proprie fasi con profili definiti, veri e propri subconflitti.
A differenza della maggior parte dei conflitti armati nel mondo, principalmente in Europa, quello colombiano non ha un’origine direttamente o indirettamente legata a controversie territoriali, alla persecuzione o allo sterminio di una minoranza o di un gruppo che si distingue per caratteristiche razziali, etniche, religiose; è un conflitto interno tra cittadini formalmente eguali e le principali vittime sono la popolazione civile, i contadini, gli indigeni, gli afrodiscendenti e in generale, come comune denominatore, i poveri.

L’Argentina ancora in bilico

L’eterno malato d’Occidente, il paese dei default a ripetizione nonché culla del movimento populista novecentesco più longevo, il peronismo, è ancora una volta in bilico. Oggi però il problema non è solo l’economia, con pessimi indicatori macroeconomici e una povertà arrivata al livello record del 36,5% (o addirittura 50%, se si considerano i minori di 15 anni), bensì l’assetto politico complessivo. E la crisi riguarda entrambi gli schieramenti. A cominciare dal peronismo, tornato al potere nel 2018 grazie alla mossa della ex presidente Cristina Fernández vedova Kirchner, che nel suo Frente de Todos riuscì a raggruppare anche le anime centriste storicamente distanti dal kirchnerismo.

Tutti i demoni e gli angeli del Messico

Pioveva come nelle piaghe d’Egitto e a fine serata, in attesa che smettesse, mezza dozzina d’inviati di giornali e TV facevano tardi attorno a uno dei non molti tavoli di Reynaldo, dietro lo Zocalo di Acapulco. Davanti a loro resti di polpo bollito e aragoste alla brace, maionese e mais triturato: squisitezze dell’orgogliosa cucina di mare dello stato di Guerrero (che «cattura ogni palato», avverte un cartello appeso all’ingresso della trattoria). Dietro, ormai lontanissimi da ogni conversazione, liquefatti nella memoria del giorno per giorno ma incancellabili dalla storia quegli “anni con Laura Diaz” raccontati da Carlos Fuentes. I tumulti politico-culturali del Messico di Frida Khalo, muralistas, poeti, cineasti, amori e avversioni irrevocabili, la piccozza stalinista che spaccò la testa di Leon Trotski. Poi i mille giovani di Plaza Tlatelolco sterminati dal presidente Diaz Ordaz nel Sessantotto (sempre a tradimento). La feroce violenza che i messicani non riescono a strappare dal loro calendario.

In questo numero

Da dove ripartire. L'esito delle voto dello scorso 25 settembre impone alle forze politiche dell'area di centrosinistra una riflessione ampia e profonda sulle ragioni della sconfitta e sui temi e i valori da cui farsi guidare in un necessario percorso di ricostruzione e ripartenza di cui il prossimo congresso del PD sarà la prima tappa.

Una nuova stagione politica per l'America Latina? La vittoria di Lula in Brasile riaccende la speranza che si apra un nuovo ciclo politico progressista nel continente latinoamericano. Guardando in dettaglio a ciò che accade nei singoli paesi della regione la situazione appare però in tutta la sua complessità, e il quadro di insieme che ne emerge presenta molti tratti in chiaroscuro.

 

Prev
1