Il quarto governo Netanyahu, il più a destra possibile

Written by Maria Grazia Enardu Monday, 18 May 2015 16:05 Print
Il quarto governo Netanyahu, il più a destra possibile Foto: Avishai Teicher (via Wikimedia Commons)

Al limite dei tempi prescritti per la formazione della coalizione di governo, Netanyahu ha presentato una compagine governativa con una maggioranza risicata, di tendenza sempre più estremista e che include più “nemici” da cui guardarsi che amici del premier. Sarà un governo esposto ai ricatti e poco o niente interessato a trovare una soluzione alla questione dei due Stati.


A metà marzo, dopo aver voluto elezioni anticipate per sbarazzarsi degli alleati centristi Yair Lapid e Tzipi Livni e condotto una campagna elettorale ansimante, Netanyahu ha vinto le elezioni, con sorpresa generale. Sono seguite sei settimane di consultazioni, di cui si è saputo poco, salvo che Netanyahu avrebbe provato a tirar l’Unione Sionista, il centrosinistra guidato da Isaac Herzog, dentro una grande coalizione. Il tentativo però non ha funzionato: i problemi interni e internazionali sono enormi ed Herzog non vuol fare il portaborsa di Bibi.

Pochi giorni prima dei termini per la formazione del governo, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, destra nazionalista, ha sbattuto la porta, per una vendetta personale e politica calcolata sull’ultimo minuto. Senza i suoi pochi ma preziosi deputati la maggioranza di destra, religiosi compresi, è scesa a 61 dei 120 seggi della Knesset. Si tratta della coalizione più ridotta che un governo israeliano abbia mai avuto. Governo che comprende anche Kulanu, il partito fondato da Moshe Kahlon di provenienza Likud, che ha preso voti soprattutto a destra. Kahlon non ha avuto problemi per un accordo, voleva e ha avuto il ministero delle Finanze, su cui si gioca tutto.

Ma la defezione di Lieberman ha portato l’ultradestra di Naftali Bennett (Habayt Hayehudi, 8 seggi) ad alzare il prezzo. Così per chiudere in tempo le consultazioni ed evitare che il presidente Rivlin conferisse l’incarico a Herzog o indisse nuove elezioni, Netanyahu ha ceduto al partito di Bennett il ministero della Giustizia, nominando Ayelet Shaked, di scarsa esperienza politica e di vedute oltranziste su tutto, in particolare sulle nomine dei giudici, Corte suprema compresa. L’accordo con Bennett è stato siglato due ore prima della scadenza, ma poi Netanyahu ha impiegato quasi una settimana per completare la lista dei ministri, ovvero per le ultime frenetiche intese. Il Likud era sottosopra, aveva vinto le elezioni ma perdeva poltrone su cui contava. L’appena eletta Knesset ha quindi dovuto approvare con celerità la revisione di una Legge fondamentale (semicostituzionale) per aumentare il numero dei ministeri, che era limitato a 18. Ma in quei giorni Netanyahu oltre a negoziare ha scorporato ministeri e competenze, per indebolire alcuni incarichi e rafforzarne altri, un vero puzzle politico.

I continui imprevedibili ritardi nella presentazione della lista dei ministri, completata alle 21 di giovedì 14, hanno irritato molto il presidente Rivlin, che alla fine non ha assistito alla seduta della Knesset. Quando finalmente Netanyahu a letto la lista con 20 nomi, oltre il suo, a una Knesset molto vivace è successo di tutto, compreso un deputato Likud, Hanegbi, che ha negato di aver accettato l’incarico di presidente di commissione parlamentare. Il programma di governo includeva un unico brevissimo accenno alla volontà di cercare la pace, accolto da risate dei deputati arabi (13 in tutto, Lista araba unita)[1] e dell'opposizione.

Il quarto governo Netanyahu è esposto a raffreddori e ricatti, e al malumore dei grandi esclusi, come Gilad Erdan, pezzo grosso del Likud e storico sostenitore di Netanyahu: voleva gli Esteri ma poi è rimasto fuori. Perché Natanyahu oltre che primo ministro è anche ministro degli Esteri, della Salute, delle Comunicazioni: un pacchetto di ministeri cruciali per la sua sopravvivenza politica ma anche possibile esca per un più saldo sostegno. Forse non Herzog, che ha tenuto un nobile discorso di opposizione, ma qualcun altro, magari tra gli scontenti deputati di Lieberman.

Alla fine, come dimostra la nomina agli Interni di Silvan Shalom (Likud), vecchio avversario di Netanyahu, è prevalsa la linea per cui Bibi ha preferito circondarsi di nemici, da tenere d’occhio, lasciando fuori gli amici, meno pericolosi. La lista dei ministri dice in verità poco, perché alle etichette non sempre corrisponde un appropriato contenuto, a causa del rimaneggiamento di competenze. Però alcune nomine sono lampanti.

Shaked alla Giustizia allarma molti, mentre agli Esteri Netanyahu ha messo un viceministro, Tzipi Hotovely (Likud) di opinioni assai dure. Rientrano in gioco i religiosi, in particolare Aryeh Deri di Shas (ultraortodossi sefarditi,[2] 7 seggi), che nel precedente governo erano rimasti fuori e ora si devono rifare del digiuno in tutto quello che interessa loro: maggior profilo religioso, poco o niente servizio militare, agevolazioni per le loro scuole e famiglie.

Kahlon, che anni fa aveva spezzato il monopolio sui telefoni cellulari, deve ora fare miracoli come ministro delle Finanze e contrastare tutti gli altri colleghi che battono cassa. In particolare il riconfermato ministro della Difesa Ya'alon (Likud) perché in nome della sicurezza il bilancio militare copre anche spese e privilegi assai costosi. All’Istruzione va Bennett in persona, per marcare da destra la formazione dei futuri cittadini.

Dopo la formazione di un governo in cui quasi tutti negano o ignorano l’obiettivo di due Stati per due popoli, la diplomazia internazionale ricomincia a muoversi per far ripartire un negoziato di pace tra israeliani e palestinesi. Dagli Stati Uniti arrivano segnali di stanchezza, i paesi europei procedono in ordine sparso ma si allontanano da Israele. Bruxelles vuole lo stop alle merci degli insediamenti del West Bank; papa Francesco ha concluso un accordo con lo Stato di Palestina che ridarà slancio al presidente Abu Mazen.

La prima visita importante a Gerusalemme e Ramallah sarà di Federica Mogherini, Alto rappresentante della UE per gli affari esteri. Sentirà le solite cose e prenderà appunti a futura memoria, Bruxelles tende a procedere burocraticamente e ineluttabilmente. La Germania è sempre grande amica di Israele, ma ci sono segni di mutamento. La Francia sta preparando da mesi una risoluzione sul riconoscimento della Palestina per il Consiglio di sicurezza dell’ONU, ma non se ne parla prima della conclusione degli accordi con l’Iran. A Washington riconfermano i saldi legami con Israele, ma potrebbero negare il veto in sede Consiglio di sicurezza. Sarà un’estate di preparazione in attesa dell’autunno nelle varie sedi internazionali.



[1] Nell'attuale Knesset sono anche presenti un arabo-israeliano, Zuhair Bahloul (Unione sionista), e uno, di minoranza drusa, Ayub Kara, rieletto nel Likud.

[2] Tradizionalmente gli ultraortodossi ashkenaziti del partito United Torah Judaism non entrano nel governo, perchè non riconoscono appieno lo Stato di Israele e aspettano il Messia e il suo Regno. Ma sono eletti alla Knesset, in questa legislatura sono sei e hanno responsabilità di governo ma non come titolari di ministero.

 

 


Foto: Avishai Teicher (via Wikimedia Commons)