Cile: una Nueva Mayoria per cambiare il paese

Written by Gianandrea Rossi Friday, 29 November 2013 12:21 Print
Cile: una Nueva Mayoria per cambiare il paese Foto: Michelle Bachelet

Il prossimo 15 dicembre due donne si contenderanno la presidenza di un Cile in forte crescita e trasformazione: Michelle Bachelet, già presidente del paese sudamericano (2006-2010) e candidata di un ampio fronte progressista che va dalla Democracia Cristiana al Partido Comunista, passando per i leader delle rivolte studentesche di due anni fa, e Evelyne Matthei, che si pone in continuità con il governo conservatore del presidente uscente.  


A pochi giorni dal secondo turno delle elezioni presidenziali, che si terrà il 15 dicembre, il Cile si appresta a celebrare la probabile vittoria di Michelle Bachelet, candidata della coalizione Nueva Mayoria, costituita da Partido Demócrata Cristiano (PDC), Partido Socialista (PS), Partido por la Democracia (PPD), Partido Radical Socialdemócrata, Movimiento Amplio Social (MAS) di Alejandro Navarro, movimento Izquierda Ciudadana e Partido Comunista (PCC).

Lo scorso 17 novembre il primo turno ha sostanzialmente confermato le previsioni dei molti sondaggi diffusi prima del voto, che escludevano la vittoria immediata della ex presidente, che ha infatti ottenuto il 46,68% delle preferenze (oltre 3 milioni di voti). La seconda classificata, Evelyne Matthei, candidata del governo a capo della coalizione Alianza por el Cambio (costituita da Unión Demócrata Independiente, UDI, Renovación Nacional, RN, e dal movimento di centrodestra evópoli, legato all’ex minstro Felipe Kast), ha ottenuto il 25,02% dei voti. A seguire: l’indipendente Marco Enríquez-Ominami, a capo della coalizione Si tú quieres, Chile cambia, costituita dal Movimiento Progresista (PRO) dello stesso Enriquez-Ominami e dal Partido Liberal de Chile (guidato da Vlado Mirosevic), che ha conquistato il 10, 98% dei voti; l’altro indipendente, Franco Parisi, con il 10, 11% dei voti; candidato del Partido Humanista, Marcel Claude, con il 2,80%; l’ambientalista Alfredo Sfeir con il 2,35%; la sindacalista Roxana Miranda con l’1,25% dei voti; Ricardo Israel con lo 0,57% e, infine, il democristiano Tomás Jocelyn-Holt con lo 0,17%.

La Bachelet è riuscita a imporsi in tutte le regioni del paese, anche se solo in nove ha superato il 50%, e, nel distretto più importante, la Región Metropolitana de Santiago, ha ottenuto, in termini percentuali, un risultato decisamente più basso rispetto alla media nazionale (fermandosi al 41% contro il 27,5% di Evelin Matthey). La regione più votata per la Bachelet è stata il Maule (oltre il 56%), mentre Evelin Mathey ha conquistato il suo miglior risultato in Araucanìa (29 %).

A confermare il buon risultato della coalizione di centrosinistra, anche l’esito delle elezioni legislative, sebbene i voti di lista dei partiti che sostenevano Michelle Bachelet abbiano superato quelli per la candidata presidente (56,6% contro il 46,68%). Per quanto riguarda il Senato Nueva Mayoria ottiene 21 senatori su 38, con l’incremento di un seggio, mentre la “bancada” governativa scende a 16 senatori. Alla Camera bassa, il centrosinistra passa da 57 a 67 deputati, ottenendo cosi la maggioranza dei 120 seggi; l’Alianza perde 10 seggi, scendendo da 58 a 49.

Nel caso in cui Michelle Bachelet tornasse a vincere, godrebbe di una nuova maggioranza in Parlamento, anche se non qualificata (per le modifiche costituzionali sono richiesti quattro settimi). Si delinea dunque uno scenario molto favorevole per il 2014, dal punto di vista tanto della tenuta della maggioranza di governo quanto della possibilità di implementare alcune leggi semplici o con quorum qualificato.

A poche ore dalla chiusura delle urne Bachelet, davanti a una folla di militanti e sostenitori radunati di fronte all’Hotel San Francisco di Santiago, ha puntualizzato l’importanza del risultato ottenuto, benché la necessità di tenere un ballottaggio sia stata vista da alcuni come una ragione di debolezza: «Qui no ci sono due letture. Abbiamo vinto queste elezioni, e le abbiamo vinte con un’ampia maggioranza. Il paese ha votato a maggioranza per le proposte che abbiamo fatto per il Cile, perché il Cile sia allo stesso tempo per tutti il paese moderno, solidale e giusto che tutti vogliamo». Così, mentre gli altri principali candidati, Enriquez-Ominam e Franco Parisi, hanno ostentato di fronte all’opinione pubblica l’importanza del loro risultato, annunciando che non avrebbero sostenuto ufficialmente alcun candidato al secondo turno, Michelle Bachelet è tornata a insistere con forza sul suo nuovo piano di riforme e interventi, per un valore complessivo di oltre 15 miliardi di dollari.

Tra le principali novità del suo programma (un documento di duecento pagine) la riforma tributaria che, a regime e secondo le previsioni del suo staff economico, dovrebbe portare allo Stato oltre 8 miliardi di dollari, indispensabili per sostenere le nuove politiche di sviluppo: «Le riforme profonde e durature presentate in questo programma, si realizzeranno su basi fiscali solide», ha dichiarato Bachelet, presentando nel dettaglio una riforma fiscale che mira ad aumentare il gettito dello Stato, con un incremento progressivo delle imposte sulle imprese di circa 5 punti. Promessi, inoltre, nuovi incentivi per creare impiego (oltre 600mila posti di lavoro) e per un’istruzione universale, pubblica e di qualità. Importanti novità sono state promesse nel settore dell’impresa statale, con l’annuncio che il nuovo governo punterà sull’ampliamento della ricapitalizzazione attraverso la partecipazione privata sia nelle attività di Codelco (Corporación Nacional del Cobre de Chile) che di ENAP (l’ente nazionale per gli idrocarburi); e promuoverà nuovi interventi a favore della sostenibilità e delle energie rinnovabili con il lancio di un piano nazionale per l’interconnessione elettrica.

Evelyne Matthei, penalizzata dalla debolezza del patto UDI-RN, rivelatosi inadeguato a rispondere alle nuove sfide di un paese in forte trasformazione e crescita come il Cile, sta cercando di recuperare il terreno perso, rilanciando il messaggio di continuità con la gestione di Sebastián Piñera, anche se il risultato ottenuto mostra che non è riuscita a incassare né i benefici della popolarità del presidente uscente, che, seppur bassa (30%), poteva costituire un buon punto di partenza, né il volume dei voti di lista della sua coalizione, che ha sfiorato il 40%.

In molti hanno visto in questo risultato un certo disimpegno di Piñera, probabilmente già proiettato verso una sua possibile ricandidatura nel 2018. Senza incassare l’appoggio di altri candidati, ma puntando su un maggior coinvolgimento dei ministri del governo, la candidata di centrodestra è tornata più volte a rilanciare il suo programma: oltre 17 miliardi di dollari destinati a sostenere la crescita (affinché si torni a un tasso medio superiore al 5%) e nuovi posti di lavoro, circa 600mila; contrarietà a qualsiasi riforma fiscale. Molta enfasi è stata posta, in diverse occasioni, sia dalla candidata che dai suoi collaboratori, sulla distanza fra il suo programma e quello della Bachelet proprio in materia di diritti civili, grazie a un pacchetto di “Provvedimenti per la vita” volti ad arginare ogni “deriva” che possa sfociare nell’introduzione delle legge sull’aborto.

Ma il vero obiettivo degli ultimi giorni di campagna elettorale è tentare di recuperare i voti di quei cileni che non si sono recati alle urne al primo turno, come ha commentato lo stesso Piñera, che al pari della Bachelet, ha dichiarato che «ci sarebbe piaciuta una maggiore partecipazione dei nostri compatrioti», ricordando che più «aumenta la partecipazione, più forte e legittima è la nostra democrazia».

In effetti, il voto volontario, introdotto nel 2012, ha determinato un ulteriore calo dell’affluenza, che è scesa sotto il 50 % (49,7%): sono andati a votare 6,7 milioni di cileni, dei 13,5 aventi diritto. E l’astensionismo, di fatto, penalizza anche la vittoria della candidata della Nueva Mayoria: una delle prossime sfide della futura presidenza di Michelle Bachelet sarà proprio conquistare la fiducia dei non votanti delusi da un sistema politico bloccato, attraverso un consistente piano di riforme per migliorare una società che, pur vantando il più alto ritmo di crescita dell’area OCSE (+4,3% atteso nel 2013), è ancora legata a schemi organizzativi sociali ed economici risalenti al liberismo economico dei tempi di Pinochet.

La Nueva Mayoria – la nuova maggioranza messa insieme da Michelle Bachelet attraverso un lungo e inedito percorso di primarie obbligatorie – riunisce per la prima volta in un comune progetto di cambiamento un ampio spettro di forze politiche che spazia dalla Democrazia Cristiana al Partito Comunista (per la prima volta alleato del centrosinistra dopo un processo di rinnovamento interno orientato al dialogo con il centro), fino ai leader dei movimenti studenteschi indipendenti: l’elezione di Camilla Vallejo e Giorgio Jackson, i giovani simbolo delle lunghe manifestazioni studentesche del 2011, ha così ripagato il coraggio delle frange più radicali di appoggiare l’ex presidenta.

Questa Nueva Mayoria dovrà impegnarsi per coinvolgere di più la popolazione nella vita politica del paese (anche attraverso uno svecchiamento della classe dirigente, già iniziato peraltro durante questa campagna elettorale con l’affermarsi di volti nuovi, come quello di Rodrigo Peñailillo del PPD, Alvaro Elizalde del PS e Javiera Blanco della DC) e per risolvere gli squilibri di una società estremamente dinamica dal punto di vista economico, ma bloccata per quel che concerne le diseguaglianze di reddito e l’accesso ai servizi, e dal punto di vista dell’ inclusione sociale: «I nostri concittadini hanno affermato con questo voto che vogliono una nuova Costituzione, che nasca in democrazia, senza ombre di autoritarismo, che migliori e rafforzi la partecipazione popolare, che consacri i nostri diritti e che assicuri che siano le maggioranze a governare», ha dichiarato Michelle Bachelet all’indomani del voto.

 

 


Foto: Michelle Bachelet