Convegni

Comunità

Quando Robert Schuman pronunciò la sua famosa dichiarazione il 9 maggio 1950, non scelse le parole a caso. Il ministro degli Esteri francese stava proponendo una “Comunità”, ossia una certa qualità di relazioni tra paesi e tra popoli. Avrebbe avuto inizio con il carbone e l’acciaio, ma queste erano solo leve per costruire una comunità di destino. Anche se le “Comunità europee” giuridicamente cessarono di esistere con il Trattato di Lisbona, vale la pena ricordare cosa significasse essere una comunità per i fondatori dell’Unione europea. Robert Schuman propose infatti una “comunità”, non un’“organizzazione”, un’“unione” o un’“alleanza”.

Straniero

Gli “stranieri”, argomento ormai da tempo oggetto di discussioni e confronti: qualcuno ne parla per convenienza, altri senza nemmeno essere stati in relazione con loro o averne conosciuto uno. Fortunatamente però, c’è anche chi, con devozione, studia questo fenomeno da anni, attraverso una attenta analisi dei flussi e delle statistiche, una attività che, personalmente, ritengo essere ammirevole e degna di stima e rispetto.
Durante il corso della mia vita sono approdato al Centro Astalli di Roma, il servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, JRS, dove, da sacerdote gesuita, per undici anni, ho avuto il privilegio di servire nell’accoglienza di uomini, donne e bambini, arrivati in Italia da tanti paesi diversi.

Multilateralismo

Nella definizione classica degli studiosi di relazioni internazionali, il multilateralismo è “una forma di cooperazione fra almeno tre Stati”. Presa alla lettera, questa formulazione può essere letta come la trasposizione al diritto internazionale del brocardo tres faciunt collegium, descrittivo delle forme associative di diritto privato. E in effetti, per la pluralità delle parti che vi partecipano, il negoziato multilaterale si contrappone a quello bilaterale, che contempla non più di due parti contrapposte. A una lettura appena più approfondita, spicca il dato qualificante che contraddistingue il multilateralismo e ne costituisce il suo valore aggiunto: il suo tratto cooperativo.
Il multilateralismo, infatti, è un metodo prima ancora che una forma di associazione.

 

Diplomazia

Con il termine diplomazia si può intendere uno speciale metodo nell’affrontare le difficoltà e i contrasti, una speciale abilità nella trattazione di questioni complesse e nella ricerca di compromessi. O con il termine diplomazia ci si può riferire ad una carriera nella Pubblica Amministrazione, al corpo dei dirigenti dei ministeri degli Esteri incaricati a vario titolo di gestire le relazioni internazionali di un determinato paese. Ma soprattutto, con il termine diplomazia si può fare riferimento al complesso delle regole e dei processi che presiedono alle relazioni internazionali con l’obiettivo di prevenire o risolvere dispute e conflitti. Ed evidentemente, se si assume quest’ultima interpretazione del termine diplomazia, è fin troppo facile constatare che, rispetto al conflitto in corso da un anno e qualche mese in Ucraina, la diplomazia ha complessivamente fallito. Ma forse la questione merita di essere analizzata con maggiore attenzione.

Dissenso

«Per capire chi vi comanda – diceva Voltaire – basta scoprire chi non vi ha permesso di criticare». Libertà significa innanzitutto libertà di criticare il potere politico, dalle cui degenerazioni sono storicamente venute le più gravi minacce alle libertà individuali. Tanto che Karl Popper non esita a sostenere che una delle più importanti domande che deve porsi chi ha a cuore i valori della democrazia è: «come controllare chi comanda?» e più precisamente: «come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno?».

Destra

Uno spettro si aggira per l’Europa, ma non come lo intendeva Karl Marx. Se il comunismo era un grande movimento carsico pronto a sollevarsi per emancipare le masse popolari del continente, oggi il fantasma della destra moderata europea somiglia più agli spettri di Derrida, stanche proiezioni di un passato ormai finito che non è mai diventato un futuro possibile. Concentrati per un decennio buono (anche di più se consideriamo come fatto politico principale degli ultimi anni la grande crisi finanziaria del 2008) sulle infinite contorsioni della sinistra, abbiamo perso di vista la crisi profonda della cosiddetta destra mainstream, quella che una volta avremmo chiamato il centro.

Pace

L’assenza di guerra è la definizione più riduttiva del concetto di pace, una condizione opposta allo stato di guerra in senso stretto: Stati, nazioni, popoli, gruppi etnici o religiosi che sia al loro interno sia verso l’esterno vivono “in condizioni di normalità”. Regolando i rapporti reciproci in comune accordo: «senza atti di forza, possono attendere al normale sviluppo della loro vita economica, sociale, culturale».
Eppure, fin dall’antichità, “pace” non significa solo assenza di guerra sia riguardo alle nazioni e sia nelle relazioni umane. Nel Novecento, specialmente dal secondo dopoguerra, una rete di organismi internazionali di garanzia, riconosciuti ed efficaci, insieme a un’adeguata difesa militare, nazionale e dell’Alleanza atlantica, avevano consentito una sicurezza globale.

Salute

Il vocabolario Treccani ci informa che “salute” – dal latino salus -ūtis “salvezza, incolumità, integrità, salute”, affine a salvus “salvo” – significa letteralmente salvezza, soprattutto come stato di benessere, di tranquillità, d’integrità, individuale o collettiva. Se etimo (ἔτυμον, “vero, reale”), al modo dei filosofi e grammatici greci e latini, lo assumiamo come il significato “vero”, “reale” di una parola, è tutto questo plesso semantico, che è poi un plesso di realtà, che con la pandemia è andato in crisi.
Un plesso semantico come plesso di realtà basico, costitutivo dell’umano qua talis che non a caso la Costituzione italiana mette al centro dei “diritti e doveri” dei cittadini al titolo dei rapporti etico-sociali: cioè un diritto alla salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” che impegna alla sua tutela, gratuitamente agli “indigenti”, la Repubblica certamente, ma anche i titolari di quel diritto come dovere verso sé stessi almeno nella misura del non pregiudizio all’interesse collettivo, che è il caso tipico dell’evento pandemico.

 

Fede (e passione politica)

Fede è espressione indubbiamente polisemica, dalle diverse valenze a seconda dei contesti in cui viene utilizzata. Deriva dal latino fides, che potremmo tradurre con fiducia, riconoscimento di affidabilità (“mantenere fede”), ma indica pure impegno alla lealtà (“promessa di fede”), attestazione, testimonianza su base etica o giuridica (“fare fede”), aspettativa (“avere fede”, “prestare fede”), osservanza di un principio, adesione a un progetto sulla base di una credenza, di una scelta dovuta al riconoscimento di una autorità, all’ottemperanza a un valore, a un principio, a un’idea dalla quale si trae conforto e rassicurazione, ma pure stimolo all’agire. Esito di una credenza preriflessiva1 che esula dalla sfera della razionalità, la fede dice pure della passione e determinazione con cui si persegue un obiettivo, un fine: passione e determinazione poste al servizio di cause diverse.

 

Democrazia (esportare la)

Se la democrazia fosse inscritta nella linea evolutiva di ciascun popolo, allora basterebbe aspettare per vederla trionfare; se la sua affermazione fosse legata soltanto alla rimozione dei suoi nemici, allora sarebbe sufficiente mandare i marines per abbattere il regime di turno; se coincidesse con il “governo del popolo” scelto mediante elezioni, allora basterebbero i Caschi blu dell’ONU per avviare un regime democratico; se si riducesse soltanto a una questione di ingegneria istituzionale ed elettorale, allora sarebbe sufficiente inviare politologi e costituzionalisti. Ma così non è.

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